La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Il «delitto di Capodanno», 31 dicembre 1971

Il racconto della “Torino noir” che conclude l’anno 2019 ci porta nella Torino del 1971, in quella che il cronista definisce «una vecchia casa di corso Vercelli», dove nella sera del 31 dicembre una furiosa lite da ballatoio tra due donne si complica per l’intervento dei rispettivi mariti fino a tragiche conseguenze.

Un episodio di quelli che al tempo venivano classificati con la rassicurante etichetta di «ròbe da nàpoli» che viene ricostruito sapientemente dal cronista de “La Stampa” del 2 gennaio 1972, con l’occhiello «Tragica notte di Capodanno in una vecchia casa di corso Vercelli», col titolo «Ucciso da una coltellata al ventre sul ballatoio / per separare la moglie che litiga con una vicina» e il sommario «Le liti tra le due donne erano frequenti, l’ultima è avvenuta perché uno dei bimbi faceva chiasso - Si strappano i capelli e si bastonano, intervengono i mariti e un cognato - La vittima, un operaio padre di due bimbi, ha l’intestino straziato dalla lama ed è colpito al capo con un’accetta - Muore durante un’operazione durata 5 ore, appena è incominciato l’anno nuovo - Gli assassini arrestati, uno ha 4 bimbi».

Leggiamo:

L’anno e finito tragicamente in una vecchia casa di corso Vercelli 22: un uomo è morto accoltellato e due sono stati arrestati. Ora c’è il pianto e la disperazione delle mogli e dei figli, tutti piccini. Abitano allo stesso plano, le loro porte si aprono su uno di quei lunghi ballatoi troppo popolati, dove i rapporti sono difficili, c’è spesso insofferenza e fastidio per gli altri, per i loro bambini rumorosi che corrono su e giù. per il televisore ad alto volume, per i panni stesi. Rancori, chiassate, litigi. Non è questa la prima volta che ci si ammazza per «futili motivi» su un ballatoio.

La vittima si chiamava Vincenzo Bruzzese. 41 anni, calabrese di La Grotteria, operaio Fiat. Un tipo quieto e che amava vivere in pace, ma con una moglie poco arrendevole. La donna - Incoronata [Fiore] di 31 anni, madre di Giuseppe di 4 anni e di Michele di 40 giorni - forse perché esaurita dall’ultima maternità, è stata sovente protagonista di litigi più o meno clamorosi e di risse. Questo, almeno, è quanto affermano gli inquilini.

Gli assassini sono due cognati pugliesi, di Cerignola. Uno è Aniello Mazza di 37 anni, la moglie Luisa ha 27 anni, hanno | quattro figli: Sebastiano di 10 anni, Maria di 8, Giuseppina di 6 e Antonio di 10 mesi. L’altro è Orazio Braschi di 28 anni, fratello di Luisa Mazza. È scapolo abita con la madre e il fratello Vito di 14 anni, studente. Anche Mazza e Braschi sono descritti come bravi lavoratori, gente tranquilla, che se qualche volta è intervenuta in una delle beghe del ballatoio è stato più che altro per separare le donne rissose.

Il Natale non ha portato la pace sull’irrequieto ballatoio. Giovedì scorso esplode il litigio che sarà la causa delia tragedia. Nel | pomeriggio Incoronata Bruzzese strapazza aspramente Sebastiano, il figlio maggiore dei Mazza, perché. giocando con altri bimbi, fa baccano, non lascia dormire il piccolo Michele. Luisa Mazza accorre a prendere le parti del figlio. Questa volta le due donne non vengono alle mani, ma strillano. Volano insulti tremendi, minacce sanguinose, che lasciano gli animi eccitati.

A tarda notte rincasa dal turno Vincenzo Bruzzese. È stanco, casca dal sonno, ma la moglie non gli dà requie: si sfoga, dice che i figli del Mazza lo fanno apposta a fare chiasso davanti alla sua porta, dice di essere stata insultata dalla loro madre, insulti che non si possono ripetere.

Il mattino dopo Vincenzo Bruzzese va da Luisa Mazza. Secondo una versione, le dà un ceffone. Secondo un’altra le dice: «Donne, almeno oggi state buone. Cerchiamo di finire l’anno in pace». E lei: «Con tua moglie non si può ragionare. La conosci». Le due rivali si rivedono nel pomeriggio alle 17 mentre stendono la biancheria. Altri insulti e minacce: «Ti rompo le ossa». La smettono dopo pochi minuti, ma non si placano.

Alle 19,45 lo scontro fatale. (Anche qui, le versioni sono diverse, naturalmente, ora, ognuna accusa l’altra di avere incominciato). Piove, la lampadina sul ballatoio dà una luce fioca. Le due madri rivali si trovano, per caso, a faccia a faccia sul pianerottolo. Si sentono in tutto il caseggiato i loro strilli e urla. Un’inquilina, Francia Fiore, racconterà di averle viste accapigliarsi, strapparsi i capelli, schiaffeggiarsi, afferrare le scope e menare colpi.

Intervengono gli uomini. Vincenzo Bruzzese afferra la moglie, cerca di portarla via di peso. Ma la situazione si aggrava, perché anche Aniello Mazza e il cognato Orazio Braschi entrano nella mischia, dove ci sono randellale e pugni, calci e graffi. Mazza è colpito non si sa da chi e sanguina da un orecchio, anche Braschi è ferito al capo. Corre in casa a prendere un’accetta, mentre Mazza pianta nel ventre del Bruzzese un coltello. (È un coltello da cucina, del quale si sbarazzerà dopo il delitto. Dirà: «Non so come, me lo sono trovato in tasca»).

Inferto il colpo, Aniello Mazza non estrae la lama dalla ferita, ma la gira e la rigira, straziando orrendamente i visceri. Arriva Braschi con l’accetta e colpisce il rivale alla testa: non di taglio, di piatto. Bruzzese crolla sul pianerottolo, mentre tutti scappano meno sua moglie, che lo trascina in casa, lo adagia su un divano. Si comprime il venire dal quale sgorga molto sangue, geme: «È finita, mi hanno ammazzato!». Dopo un quarto d’ora lo trasportano al Martini.

Qualcuno ha telefonato alla polizia ed il primo ad arrivare è il maresciallo Rizzo del commissariato Vanchiglia che arresta Braschi in corso Vercelli mentre scappa e ha ancora l’accetta. Mazza invece è scomparso. All’ospedale le condizioni di Vincenzo Bruzzese appaiono subito disperate. Alle 20.45 incominciano ad operarlo. Alle 22, mentre continua l’intervento, una Volante a sirena innestata corre alla Banca del sangue a prelevare quattro flaconi. I chirurghi continuano il lavoro mentre nasce l’anno nuovo. Ma è inutile: all’1,45 lo sventurato muore, ancora in camera operatoria, per choc emorragico.

Ieri mattina. In questura, i marescialli Veneziano e Calò convincono i familiari di Mazza a rivelare dove egli si è nascosto. È rifugiato in casa del padre. Il maresciallo Patera va ad arrestarlo. Non sa ancora che Bruzzese è morto. Quando glielo dicono, scoppia in pianto: «Sono rovinato, ho rovinato la mia famiglia. Ho quattro bimbi: che cosa sarà di loro?». E che sarà dei due bimbi della vittima? Mazza viene portalo alle Nuove, dove c’è già il cognato, entrambi accusati di omicidio volontario.

Il tutto è illustrato da una serie di fotografie che ritraggono i protagonisti della vicenda: Vincenzo Bruzzese, 41 anni, la vittima; la moglie, Incoronata, con l’ultimo figlio Michele, di 40 giorni (nel 1971 non esistono norme a tutela dei minorenni nel mondo della comunicazione!), i due omicidi, Aniello Mazza, 37 anni, e il cognato Orazio Braschi, 28 anni, considerato ancora corresponsabile dell’omicidio.

Il 4 gennaio, dopo l’esecuzione dell’autopsia, si chiariscono le modalità del tragico scontro. Le indicazioni fornite dal perito settore accertano che l’uccisore è uno solo, perché la vittima è stata colpita soltanto al ventre e non alla testa. Così Orazio Braschi esce dalle indagini: è corso a prendere una scure ed è tornato quando la tragedia era ormai terminata. Viene anche escluso che l’omicida abbia rigirato più volte la lama dal coltello nella ferita «straziando orrendamente i visceri» come detto in un primo tempo.

Questa accusa di incrudelimento viene dalla moglie e dalla cognata della vittima, Incoronata e Franca Fiore, che lo sosterranno anche al processo. Le due donne accusano anche la moglie di Mazza di aver colpito il loro congiunto con un bastone: per questo Luisa Braschi verrà incriminata per lesioni e processata a piede libero.

Il processo si svolge il 25 ottobre del 1973, in Corte d’Assise. “La Stampa” del giorno seguente ne riporta questo conciso riassunto che per noi rappresenta la conclusione della vicenda.

Sul banco degli imputati, difesi dall’avv. Delgrosso, sedevano Aniello Mazza, 39 anni, di Cerignola e, a piede libero, sua moglie Luisa Braschi, 32 anni. I familiari della vittima, Vincenzo Bruzzese, si erano costituiti parte civile (avv. Rodio e Treggiari, di Foggia). […]

Mazza ha detto: «Tornai sul ballatoio perché mia moglie venne e dirmi che Bruzzese l’aveva picchiata. Per difendermi raccolsi un coltello. Bruzzese si avventò su di me, che tenevo il coltello appoggiato al fianco. Si infilò da solo la lama nel ventre». […]

Il p.m. ha chiesto 16 anni. La corte ha condannato Agnello Mazza a 14 anni, con le attenuanti generiche, per omicidio semplice. I giudici, nel sancire il diritto al risarcimento dei danni, hanno stabilito una «provvisionale» di 2 milioni per ciascuno dei due figli minori del Bruzzese. La stessa cifra è stata riconosciuta alla vedova. Luisa Braschi è stata assolta per insufficienza di prove.

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Articolo pubblicato il 31/12/2019