La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Le furie d’un sanguinario

Nella zona di Porta Palazzo una via è intitolata a Gianfrancesco Fiochetto, nato a Vigone nel 1564 e morto a Torino nel 1642, noto come archiatra di Casa Savoia e soprattutto, come medico della peste del 1630. La via Fiochetto va dalla attuale piazza della Repubblica al Rondò Rivella di corso Regina Margherita, attraversa il corso XI Febbraio e l’ultimo tratto è obliquo rispetto al restante asse della via.

Nella Torino del 1908 il nome della via si è popolarmente modificato in “via del Fiocchetto” e così la indica «La Stampa» di martedì 28 luglio 1908 con questo titolo in Cronaca:

Gravissima e clamorosa rissa in via del Fiocchetto.

Terribile distribuzione di coltellate.

Due guardie e tre operai feriti – Un uomo in pericolo di vita.

 

Il giornale esordisce con questo quadro poco rassicurante:

«La via del Fiocchetto ha un nome abbastanza famoso nella cronaca nera. Non è raro il caso che all’ombra delle casupole che la fiancheggiano qualche ferito venga raccolto, e sovente la quiete degli edifici che l’attorniano è turbata da alte grida di rissanti, i quali, forse per la sua posizione e la semi-oscurità, la scelgono a teatro delle loro meschine battaglie. Di più essa è la comunicazione diretta tra il corso Regina Margherita e quel gruppo di vecchie case nascoste, un po’ là in basso, dietro piazza Emanuele Filiberto, tra cui spesso si aggirano figuri sospetti con pochissima gioia delle famiglie abitanti colà.

Non è dunque a meravigliarsi se laggiù, nella breve e stretta contrada sia avvenuto questa volta un fatto assai più grave del consueto, che destò nel popoloso rione, e soprattutto a Porta Palazzo, molto fermento e molta curiosità».

Il 27 luglio 1908 una Società di venditori ambulanti sta festeggiando nel modesto locale di via Fiochetto dove ha la sua sede. Per questo si è allestita una osteria, sono stati disposti dei tavoli all’esterno sulla via e si serve molto vino, anche a persone estranee.

Verso le ore 20 arrivano i fratelli Acino, entrambi calzolai, Tommaso di anni 29, abitante in via San Giobbe n. 12, e Michele, di 26 anni, abitante in via San Donato n. 80. Sono due pessimi soggetti, pregiudicati, sottoposti a vigilanza della Polizia e già più volte condannati. Ubriachi e litigiosi, propongono una sfida di canto a quattro uomini che stanno tranquillamente bevendo, seduti a un tavolo. Nasce così un litigio e un primo atto di violenza quando Tommaso Acino scaglia un bicchiere contro uno dei quattro avventori, Tancredi Suppo, pulitore meccanico di 25 anni, abitante in via Franco Bonelli n. 2. Suppo cerca di bloccarlo per impedirgli altre violenze ma allora interviene il fratello Michele, che, armato di un trincetto e protetto da Tommaso, ferisce più volte Suppo alla natica destra.

A questo punto i fratelli Acino escono dal locale, inseguiti da varie persone vocianti, fra questi Pietro Calligaris e il giovanissimo Mario Casalegno, quella sera di servizio alla Società, che vorrebbero disarmarli. Giunti sull’angolo delle vie Fiochetto e Genè, Michele Acino, sempre assistito dal fratello, ferisce a colpi di trincetto anche Mario Casalegno, poi riprende la fuga.

Inseguiti e inseguitori sono giunti sul corso Regina Margherita. Michele Acino impugna il trincetto, gridando «Avanti chi ha il coraggio! Ammazzo tutti!». La guardia municipale Antonio Gallea, di 28 anni, lo affronta con l’aiuto di un passante, Felice Gerbino di 58 anni, abitante in corso Regina Margherita n. 100, addetto alle tranvie della Belga.

Furibondo, Michele Acino li ferisce tutti due, Gallea all’addome e Gerbino al fianco e al basso ventre causandogli lesioni tanto gravi da portarlo alla morte dopo pochi giorni. Poi riprende a correre.

Michele Acino non fa altre stragi grazie all’energico intervento di Camillo Marcellino che lo afferra con forza alle spalle, lo disarma e lo consegna ai poliziotti sopraggiunti. Michele Acino oppone una feroce resistenza all’arresto e insulta i poliziotti. Suo fratello Tommaso accorre per liberarlo con lo stesso contegno ribelle e oltraggioso e viene fermato.

Quando gli arrestati sono finalmente portati in Questura, a Michele Acino vengono tolte le manette. Ne approfitta per afferrare una bottiglia a portata di mano su un tavolo e, gridando «Voglio almeno ammazzare una guardia!», la scaglia in faccia al poliziotto Ettore Muti, di 22 anni, che sta passando in quel momento e che resta leggermente ferito.

Nell’istruttoria, oltre alle dichiarazioni delle vittime non mancano certo testimonianze delle «furie d’un sanguinario», definizione che «La Stampa» impiega abitualmente per Michele Acino.

Questi ammette di aver ferito col trincetto - che per caso teneva in tasca - varie persone, ammette la resistenza e gli oltraggi agli agenti durante l’arresto ma dice di non ricordare di aver colpito con una bottiglia la guardia Muti.

Suo fratello Tommaso dichiara di non ricordare niente perché del tutto ubbriaco.

Sono accusati di omicidio, lesioni, resistenza, oltraggio e porto d’arma.

Il processo inizia alla Corte di Assise di Torino venerdì 4 giugno 1909. Il giorno successivo sono ascoltati i periti psichiatri – tra questi il dottor Mario Carrara (1866-1937) successore di Cesare Lombroso alla cattedra universitaria – e martedì 8 giugno è pronunciata la sentenza di condanna: 19 anni, 2 mesi e 19 giorni di reclusione a Michele, un anno e 15 giorni di reclusione a Tommaso.

 

Concludo il racconto di questa vicenda illustrando l’ubicazione della via San Giobbe, citata nel testo come abitazione di uno dei due fratelli.

Si trovava in corrispondenza dell’attuale corso XI Febbraio, nato come proseguimento della via XX Settembre, dopo che sono stati sottoscritti i Patti Lateranensi tra il Regno d’Italia e la Santa Sede per regolare i rapporti tra i due Stati (11 febbraio 1929).

Il nuovo corso viene ottenuto, di lato alla Caserma dei Vigili del Fuoco di corso Regina Margherita, con la demolizione delle casupole che fiancheggiano la via Cuorgnè, che da corso Regina va in direzione del corso Savona senza raggiungerlo per la presenza del Gasometro, e la via San Giobbe che va a confluire nella via Cuorgnè.

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Articolo pubblicato il 27/04/2020