La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

I barabba nei dintorni di Piazza d'Armi

Siamo nell’agosto del 1875, nei dintorni di Piazza d’Armi, o meglio della vecchia Piazza d’Armi che dal 1850 al 1872 è stata circoscritta dagli attuali corsi Matteotti, Re Umberto, Stati Uniti e Vinzaglio, e dopo il 1872 è stata spostata nell’area dei corsi Rodolfo Montevecchio, Galileo Ferraris, Luigi Einaudi e Castelfidardo, avvicinandola così al sobborgo della Crocetta.

L’edificazione della vecchia Piazza d’Armi procede però con una certa lentezza come pure la crescita del nascente borgo San Secondo per cui questa zona di Torino resta periferica, mal frequentata e poco controllata dalle forze dell’ordine.

Così nell’estate del 1875 questi dintorni di Porta Nuova diventano il campo di azione di bande di barabba sempre più numerosi e arroganti. Sono formate da giovinastri che aggrediscono passanti, spesso fin troppo remissivi. Secondo il cronista giudiziario Curzioncino (M.) - che racconta la vicenda ai lettori della «Gazzetta Piemontese» l’anno seguente alla conclusione del processo - le vittime dovrebbero dimostrarsi più energiche e coraggiose, reagire e dare una buona lezione al barabba, per natura timoroso e vile quando trova resistenza, in modo da farsi da soli «la miglior giustizia di questo mondo».

I barabba delle bande sono tenuti d’occhio dalla Polizia per il loro comportamento ozioso e per le gozzoviglie, ma senza riuscire a sorprenderli quando commettono gravi delitti. Di giorno i barabba riescono a nascondersi fingendo di esercitare un lavoro qualsiasi e passano poi la notte ad imperversare impunemente per le vie: così per qualche tempo hanno potuto ingannare la giustizia.

Intanto tre aggressioni a scopo di rapina vengono commesse nei dintorni di Piazza d’Armi nel breve spazio di dieci giorni.

Le prime due avvengono a distanza di pochi minuti verso le ore 4 del mattino del 4 agosto 1875.

A quell’ora passa per i viali della Piazza Tommaso Truccone, contadino di 33 anni, di Cercenasco giunto a Torino con una piccola somma. Tre sconosciuti gli vanno incontro, gli chiedono se sia un certo Luigi, negoziante da vino. Lui risponde di no e i tre si allontanano di qualche passo poi gli si riavvicinano e, senza tanti complimenti, gli ordinano di consegnare i soldi, mentre due lo afferrano per le braccia e un terzo, dal fisico snello, rosso in viso e con un cappello floscio in capo, cerca di frugare nei suoi vestiti.

Truccone nasconde nei pantaloni un pacco di biglietti di banca del valore di cento lire, somma per lui considerevole! Vuole difendere il suo tesoro, dà una strappata poi un pugno sonoro a ciascuno dei due che lo afferrano, i quali preferiscono darsela a gambe. Lo scatenato Truccone prende a pugni anche il terzo che lo sta frugando e questo nel fuggire con una coltellata lo ferisce leggermente sotto l’ascella.

Truccone che da solo, e disarmato, ha saputo difendersi e mettere in fuga i tre aggressori, va subito in Questura, per la denuncia e fornisce i connotati precisi di uno dei tre malfattori.

Poco lontano, in via della Ginnastica (oggi via Magenta), e quasi nella stessa ora, avviene un’altra aggressione, attribuita agli stessi autori della prima. La vittima è Onorato Delponte, facchino alla ferrovia di 40 anni. Incontra tre giovinastri che lo fermano e gli intimano di consegnare alla svelta il denaro. E per convincerlo, ostentano le lame di tre coltelli. «Che dné, che dné… i n’hai gnanca për mì… pié pura si lo veule… iv dagh tut lon chi l’hai» (Che soldi, che soldi... non ne ho neanche per me... prendete pure se lo volete... vi do tutto quello che ho), risponde Delponte mentre fa vedere e consegna una moneta da cinque centesimi, popolarmente indicata come “un sòld”.

«Tentlo pura, povr diau, va pié ‘l bibi a la nostra salute» (Tienitelo pure, povero diavolo, vai a prendere un bicchierino alla nostra salute) gli risponde uno degli aggressori restituendogli il soldo. Poi tutti si allontanano.

Anche Delponte va a fare denuncia e descrive i suoi aggressori in modo analogo a Truccone.

In quel mattino i tre rapinatori hanno fatto male i loro conti e sono stati poco fortunati. Da una vittima sono stati picchiati e dall’altra non hanno cavato nemmeno un soldo! Ma nel mattino del 14 agosto si dimostrano più accorti e astuti e non restano a mani vuote. Rivolgono le loro attenzioni a un sempliciotto fin troppo fiducioso nei confronti di persone che non conosce: Giovanni Parussi, garzone panettiere di 29 anni.

Parussi, verso le quattro e mezza del mattino, se ne va pian pianino lungo i portici di Porta Nuova. Uno sconosciuto dai modi gentili ed amichevoli lo invita a passeggiare con lui. Parussi accetta l’invito e vanno insieme a prendere una bibita al caffè Viarengo. Nell’uscire, lo sconosciuto si ferma a parlare brevemente col cocchiere di una vettura pubblica, poi raggiunge Parussi e va con lui alla Trattoria del cervo. Qui si unisce loro un altro individuo e tutti tre insieme mangiano e bevono. Si paga il conto e via. Appena usciti dall’albergo, si sente giungere al passo una vettura pubblica diretta verso di loro. Quando è molto vicina, il primo sconosciuto che fa gli onori di casa, ordina al vetturino di fermarsi e invita gli altri a salire per andare alla Birreria di Prussia. Parussi sale in vettura, senza sospettare dei due nuovi “amici” che vede per la prima volta.

Il cocchiere, giunto all’angolo di piazza d’Armi, invece di dirigersi alla Birreria di Prussia, frusta il cavallo e si lancia al trotto sul viale della Crocetta (corso Galileo Ferraris). Non c’è anima viva: così, visto il momento favorevole, l’amico di destra strappa la catena e l’orologio a Parussi, il quale sorpreso dall’inaspettato colpo di scena, fa notare che questo non è un comportamento da amico. L’altro compagno ha intanto estratto un coltello e gli grida nel gergo dei barabba: «Dio fauss, mi t’inciodo; mi it fas sagé la ponta… mi ‘t foro» (Dio f., io ti inchiodo, ti faccio assaggiare la punta… ti buco).

Parussi riesce a saltare giù dal veicolo ma i due malandrini lo inseguono, gli rubano denari e quanto ha addosso, poi, lo lasciano in mezzo alla strada e fuggono. Il poveretto corre a fare denuncia e dà molte informazioni sui suoi “amici” e sul vetturino, che ritiene un loro complice.

Le indagini della Polizia portano all’arresto dapprima di due e poi di altri individui sospetti. Sono Stefano Cerrato, meccanico di 25 anni, da Villafranca e residente a Torino, e Domenico Pescia, carrettiere di 19 anni, di Torino. Cerrato confessa di aver preso parte alla prima rapina a Truccone e sostiene di non ricordare la seconda. Cerrato, che ha già subito tre condanne per ferimento e per furti, in carcere dà segni di pazzia. Viene portato al manicomio da dove riesce a evadere facendo perdere le sue tracce. Domenico Pescia ammette di essersi trovato con Cerrato e con Giovanni Maretti, parrucchiere di 24 anni di Alessandria abitante a Torino. Dichiara di aver visto Maretti che bloccava il facchino Delponte e gli chiedeva i soldi. Giovanni Maretti è arrestato e con lui un certo D., anche lui barbiere.

Viene identificato anche il cocchiere descritto da Parussi: è Giuseppe Mongero, di 24 anni, nato a Ferrere d’Asti e abitante a Torino. Maretti e Mongero ammettono l’incontro con Parussi al caffè Viarengo, alla trattoria del Cervo e sul viale della Crocetta. Ma il primo nega di averlo derubato, perché l’alterco disse verteva soltanto sul pagamento del nolo della vettura; e il secondo dichiara di non aver visto nulla. Ma viene dimostrato che i due si sono divisi i soldi ricavati dalla vendita dell’orologio poi recuperato dalla Questura in un negozietto di via Nizza.

Mongero, Maretti e Pescia sono riconosciuti dalle loro vittime.

L’anno seguente, al 17 luglio si celebra il processo in Corte d’Assise ai quattro accusati delle due grassazioni. Su di loro vengono fornite informazioni assai sfavorevoli ma non sono mai stati condannati. Vengono riconosciuti dalle vittime, hanno confessato almeno in parte, contraddicendosi fra loro, e diversi testimoni parlano di confidenze sulle loro prodezze ricevute dagli accusati.

Malgrado le valide arringhe dei loro avvocati, la loro condanna è inevitabile. Il quarto accusato, il barbiere D... riesce a convincere i giurati, che lo assolvono.

Maretti è ritenuto colpevole di tutte e tre le aggressioni, Pescia soltanto di quella ai danni di Truccone e il cocchiere Mongero è giudicato complice della rapina di cui è stato vittima Parussi.

A tutti e tre sono concesse le attenuanti.

La Corte, in base a questo verdetto, condanna Maretti a dieci anni di lavori forzati e cinque di sorveglianza speciale della Polizia, Pescia e Mongero a cinque anni di reclusione e tre di sorveglianza.

Si conclude così la cronaca che Curzioncino (M.) pubblica nella sua Rivista dei Tribunali nella Appendice della «Gazzetta Piemontese» del 22 luglio 1876. Ci ha dato l’occasione di rievocare le due Piazze d’Armi oggi sostituite da eleganti palazzi del quartiere Crocetta con l’unico rimpianto di non aver localizzato i locali nominati nel testo perché nelle guide dell’epoca il Caffè Viarengo, la Trattoria del cervo e la Birreria di Prussia non sono menzionate!

 

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Articolo pubblicato il 13/05/2020