Cronache criminali del passato

11 settembre 1844: «Amor ëd frel, amor ëd cotel» (Amor di fratello, amor di coltello)

Oggi parliamo del fratricidio, crimine antico come il mondo. Basti pensare, oltre a Caino e Abele, al mito romano di Romolo e Remo, a quello greco di Eteocle e Polinice nonché iranico di Ormuzd e Ahriman.

A proposito di Caino e Abele, può essere curioso ricordare che alcuni studiosi e cultori della letteratura “gialla” o “poliziesca”, hanno voluto vedere nell’episodio biblico il primo thriller di tutti i tempi, con Dio nel ruolo del primo detective (curiosa affermazione di Luciano Stupazzini).

Così, per questa ricostruzione di un fratricidio ottocentesco, anche per alleviare l’efferatezza del racconto, lo presentiamo secondo lo schema introduttivo tipico dei Gialli Mondadori degli anni Sessanta del Novecento.

 

Titolo: Il moderno Caino: fratelli, coltelli (e sassate)

 

Personaggi (Dramatis personae):

Giovanni Battista Fea, contadino di cinquantasei anni.

Andrea Fea, suo fratello.

Conte Placido Nuvoli, senatore.

Giuseppe Baudana Pucci, relatore

 

Dove: siamo a San Sebastiano della Communia, popolosa borgata di Fossano, capoluogo di mandamento, nella provincia e nella divisione di Cuneo, come scrive Goffredo Casalis (Dizionario, vol. VI, 1840), che aggiunge: la popolazione è di 16.041 abitanti, molto robusti, di mente aperta e di carattere generoso, «schietti e fedeli a casa Savoja». Fra questi fossanesi troviamo i protagonisti della nostra storia, Giovanni Battista Fea e suo fratello.

 

Quando: il fattaccio avviene nella notte dall’8 al 9 ottobre 1843.

 

Come: Andrea Fea, mentre dorme sul fienile della sua casa, viene aggredito a tradimento dal fratello Giovanni Battista che è andato sul fienile, armato di uno stiletto e con questo lo ha barbaramente pugnalato al torace, per dieci volte. Cinque fendenti sono penetrati nel polmone. Poi, per essere sicuro della morte del fratello, gli ha schiacciato il capo con un grosso sasso, colpendolo per otto volte.

 

Perché: tanto odio origina da una questione di interesse, di «roba».

Andrea cercava di costituire a suo favore una rendita vitalizia mediante la cessione di ogni sua sostanza. Da questo contratto, Giovanni Battista si vedeva tolta ogni speranza di conseguire la sua eredità, nella sua posizione di «consuccessibile» al fratello.

 

Le indagini e il processo: La Giustizia inizia le indagini. Fossano ospita il giudice di mandamento ed una stazione di Carabinieri a cavallo.

Il perito medico sottolinea nel suo referto la ferocia dell’aggressione: l’assassino ha causato alla sua vittima diciotto ferite, dieci al petto, con uno stiletto, ed otto al capo, con un grosso sasso. Questa violenza ha causato la presenza di schegge ossee nelle meningi e nel cervello. Una ferita si estende dalla tempia destra fin contro il naso, le sassate hanno lacerato la pelle con scoprimento del globo oculare e del cervello; l’osso temporale, l’orbita, l’arco zigomatico ed il molare sono schiacciati e frantumati. Le ferite alla testa sono considerate causa di morte immediata.

Giovanni Battista viene arrestato e incarcerato a Cuneo. È accusato di assassinio premeditato del fratello, ma non confessa.

Il Senato di Torino (Tribunale penale) presieduto dal Conte Placido Nuvoli, l’11 settembre 1844, sentite la relazione del relatore Giuseppe Baudana Pucci, dichiara Giovanni Battista Fea «convinto» cioè colpevole e lo condanna a morte.

 

Si conclude così questa tragica storia di «roba», termine che abbiamo usato nel senso indicato dallo scrittore Beppe Fenoglio nel suo romanzo La Malora (Torino, 1954).

La «roba» è costituita da denaro, case e terreni: chi non li possiede li desidera in modo ossessivo e inoltre invidia morbosamente chi li possiede.

È d’obbligo la citazione della novella «La roba» di Giovanni Verga, troppo nota per richiedere ulteriori commenti.

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Articolo pubblicato il 11/09/2020