La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Un bacio alla bambina e due colpi di revolver

È appena trascorso il Natale del 1870 e la “Gazzetta Piemontese” di lunedì 26 dicembre tira le somme della cronaca nera del periodo appena trascorso con queste affermazioni: «Altro non abbiamo a registrare nelle scorse 48 ore che un furto di oggetti di vestiario a domicilio, di diverse treccie e chignons a danno di un parrucchiere, un borseggio a danno di un massaio ed una vendetta privata fuori la cinta [daziaria, N.d.A.].

Gli arrestati nelle due giornate ascesero a 19 comprese le solite donne.

Possiamo contentarci!».

Affermazione che viene smentita nella stessa giornata, visto che il giorno seguente la Cronaca Nera deve registrare questo fatto:

«- Ecco un atto d’amor coniugale! Ieri, verso le 10 ant., in un 3° piano di una casa nel vicolo della Campana, G… Francesco, d’anni 34, commesso di negozio, mentre era in compagnia della propria moglie, G… Isabella, d’anni 25, divisa da lui da circa due anni, tentò d’ucciderla scaricandole addosso un colpo di revolver, che la ferì nella spalla sinistra. Al rumore del colpo ed alle grida della donna corsero le guardie di P. S. ed arrestarono il perfido marito». Il vicolo della Campana si trovava nell’attuale via Viotti, prima dei rifacimenti legati al taglio di via Pietro Micca e alla costruzione degli isolati della nuova via Roma.

Per apprendere l’evoluzione di questa vicenda e conoscerne i protagonisti, i lettori del giornale devono attendere sabato 26 ottobre 1872 quando la Rivista dei Tribunali riporta il ruolo delle cause delle due Corti di Assise torinesi. Per martedì 19 novembre è previsto il processo a «Guglianetti Francesco, di anni 35, da Torino, commesso di negozio, arrestato il 26 dicembre 1870, accusato di assassinio mancato, per essersi in Torino nel mattino del 26 dicembre 1870 introdotto con prodizione nella casa della di lui moglie Grassi Isabella, dalla quale erasi separato, e quivi coll’animo deliberato di ucciderla, aver sparato contro di essa due colpi di pistola a rivoltella, causandole una ferita alla regione posteriore della spalla sinistra sanata in giorni quindici. I testimoni sono 11. […]».

 

In termini moderni, Francesco Guglianetti è uno stalker e, tutto sommato, il suo comportamento persecutorio, aggressivo e violento, non ha provocato danni troppo gravi. La cronaca dei nostri giorni ci permetterebbe di riportare episodi ben più splatter. Ci siamo soffermati su questa vicenda perché disponiamo della cronaca del processo, apparsa sulla Rivista dei Tribunali della “Gazzetta Piemontese” di sabato 23 novembre 1872. Dal Sommario di questa cronaca deriva la frase «Un bacio alla bambina e due colpi di revolver» che fa da titolo al nostro articolo. Il cronista giudiziario, che si firma Curzio, è in realtà l’avvocato Matteo Bertone, Vice-Pretore urbano. Quindi la mentalità e i giudizi espressi provengono da un “addetto ai lavori” oltre che esprimere il comune sentire di un borghese benpensante di quel tempo.

Scrive Curzio:

Veniamo ad un processo di mancato assassinio per gelosia, che

Con guancie smunte e rabbuffato il ciglio,

In ceffo appare triste, orrido e brutto,

Che strazia il cor, di pietà priva in tutto,

E chiama all’opra ogni crudel consiglio.

[È la citazione, un po’ approssimativa, dei versi iniziali di una poesia di Antonio Zampieri dedicata alla Gelosia (Bologna, 1711), N.d.A.]

Questo fantasma apparve, invase ed acciecò Guglianetti Francesco, il quale ravvisa in chiunque guardi la sua giovane sposa, un amante da lei corrisposto. E qualsiasi movimento ch’essa faccia vien subito interpretato per un segno d’illecito amore.

Non può la infelice donna soffiarsi il naso, non può tossire, non può voltarsi, non può toccarsi gli occhi, non può abbassare od alzare il capo in pubblico, senza che il geloso marito non vegga in ciò infedeltà coniugali.

Donde rimproveri, diverbi e sevizie.

Con un uomo di tal fatta la infelice Isabella non può più vivere, e fugge perciò colla bambina in casa della madre, per quindi intentare una lite di definitiva separazione.

La gelosia del Guglianetti giunge al sommo grado. Egli si arma di un revolver, e col pretesto di rivedere la sua bambina s’introduce nella casa della suocera. Si trova di fronte alla moglie, sente l’amabile di lei voce, la sua mano si rifiuta di entrare In saccoccia e di impugnare l’arma micidiale.

Quasi fuor di sé fa un bacio alla bambina e quindi parte in fretta, lanciando a bello studio l’ombrello in quella casa. Discende le scale: la sua mano non si rifiuta più d’impugnare il revolver: ritorna sui suoi passi, suona il campanello: la suocera gli apre la porta; egli domanda l’ombrello: la moglie glielo porta con tutta affabilità ed il barbaro marito in contraccambio le spara contro due colpi. La infelice donna cade boccone, ed egli credendola morta fugge e va a costituirsi volontariamente in carcere. [Questo particolare appare in contrasto con le cronache e con la sentenza che parlano di «arresto», N.d.A.]

Per fortuna un colpo andò sbagliato, e l’altro ferì soltanto la vittima in una spalla causandole una ferita guarita in giorni quindici.

Il Guglianetti è confesso davanti il giudice istruttore o davanti la Corte di Assisie.

Per cui il Pubblico Ministero, rappresentato dal cav. Masino, chiede un verdetto di colpevolezza.

E l’avv. Demaria, se non può salvare pienamente il suo difeso, tanto dice e tanto fa che ottiene dai giurati un verdetto assai mite, e dalla Corte la tenue pena di due anni e dieci mesi di carcere, da computarsi dal giorno della volontaria costituzione in carcere.

Questa la cronaca di Curzio dove si può cogliere, oltre all’ammirazione per l’abilità dell’avvocato difensore, anche una certa indulgenza per l’accusato. La stessa indulgenza concretamente dimostrata dai giurati del processo che hanno ridotto l’assassinio mancato dell’atto di accusa a ferimento semplice con arma da fuoco, ispirato da una forza non giunta però a un punto tale da renderlo non imputabile. E gli hanno concesso pure le attenuanti. La sentenza è del 19 novembre 1872.

Grazie alla rete apprendiamo che il protagonista di questa vicenda aveva omonimi importanti.

Il primo è l’avvocato Francesco Guglianetti (1818-1872), originario di Campello Monti, oggi frazione di Valstrona (VCO). Deputato dal 1848, segretario generale del Ministero dell’Interno del Regno di Sardegna (1859), membro del Consiglio di Stato e del Consiglio di Amministrazione delle Ferrovie dell’Alta Italia, muore suicida a Torino il 7 ottobre 1872, poco tempo prima della sentenza.

Il secondo Francesco Guglianetti, di famiglia walser di Campello Monti, nella prima metà dell’800, ha fatto fortuna in Germania, come commerciante in chincaglieria, cristallerie di Boemia, giocattoli di Norimberga ed è l’antenato di Anna Calissoni Bulgari, appartenente alla dinastia di gioiellieri romani, vittima di un rapimento insieme al figlio Giorgio, il 19 novembre 1983, ad Aprila (Latina).

Tornando al protagonista della nostra storia, il mancato uxoricida torinese ha avuto la soddisfazione (?) di una citazione da parte di Cesare Lombroso, nel suo testo “L’uomo delinquente”. Possiamo leggere questa poco comprensibile affermazione: «Guglianetti tentò rapire e ferì la moglie per cause di amore e gelosia, ma aveva da mesi meditato il delitto, aveva usato mezzi proditori e cercato complici, e dopo il delitto mostravasi calmo». Considerazioni - pare di capire - espresse dall’illustre studioso per dimostrare che quello di Guglianetti non poteva essere annoverato fra i delitti ispirati dalla passione!

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Articolo pubblicato il 16/09/2020