La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Un capo ameno davanti il Conciliatore - Combinazione di un matrimonio - Senseria negata

È un breve episodio della “Giustizia che diverte” che il cronista giudiziario Curzio propone ai lettori della sua rubrica Rivista dei Tribunali nella Gazzetta Piemontese di martedì 14 gennaio 1873.

Questa sorta di “comica finale” fa seguito al racconto di un grave fatto di sangue e si svolge nell’ufficio del Giudice Conciliatore di Torino. Questo magistrato, istituito nel 1865 presso ogni comune, ha il compito di appianare, su richiesta delle parti, le controversie minori.

Scrive Curzio:

Andiamo ora nell’ufficio del Conciliatore di Torino, dove troviamo una vecchia male in arnese, unta e bisunta, per nome Givone Giuseppina.

- Che cosa avete voi? le domanda il Conciliatore, avv. Edoardo Pautas.

- Voglio 30 lire da questo signore.

- Per qual causa le volete?

- Perché l’ho ammogliato molto bene.

- Avete pattuito le lire 30 a titolo di senseria?

- Senta bene, signor Conciliatore; io a questo signore ho fatto ogni sorta di servizi, e di quei servizi che madama Givone sola era capace di fargli, e di far bene e con prudenza. Il signore era indebitato sino agli occhi, non trovava più un soldo di credito, a l’avia un aptit da sonadour [aveva un appetito da suonatore].

Per poter campar la vita andava in cerca d’una pingue dote, ed incaricò certa Boetti Caterina perché gliela trovasse. La Boetti si rivolse a me onde l’aiutassi a feie fè un bon matrimoni [a fargli fare un buon matrimonio]; ed io tic tac in poco tempo gli trovai un foumnin bel, gentil e grassios come un coeur. Coul foumnin a l’ha pagaje 60 mila lire d’ debit, e a j’à gavaje l’aptit. Ch’a dia chiel adess, sor Conciliator, se mi im merito nen le 30 lire! Im contentni nen d’ poc? [una donnina bella, gentile e graziosa come un cuore. Quella donnina gli ha pagato 60.000 lire di debiti e gli ha tolto l’appetito. Dica lei adesso, signor Conciliatore, se non mi merito le 30 lire! Non mi accontento di poco?]

(Ilarità in tutto l’uditorio).

- E lei, signore, che cosa ha da osservare alla domanda di questa donna? dice il Conciliatore al convenuto.

- Questa donna ha delle storie per il capo: se mi sono ammogliato, ho sposato una donna di mia scelta senza il concorso della Givone.

- Vuol dare volontariamente qualche cosa a questa donna?

- Nossignore, non le voglio dar nulla perché conta troppe bugie.

- A mi c’am dis lon, adess chi l’hai butalo all’onor del mond? a l’era danà com un coup, e mi j’eu trovaje col bel toc d’ foumna con tanti dnè... [A me dice questo, adesso che l’ho messo all’onore del mondo? Era dannato come una tegola, e io gli ho trovato quel bel pezzo di moglie con tanti soldi...]

- A quanto sembra, voi non avete aspetto di poter combinare un matrimonio della fatta come lo descrivete, dice il Conciliatore.

- O sour giudice, chiel a l’è un bel fieul da mariè [O signor giudice, lei è un bel ragazzo da sposare] (e difatti il signor Pautas è un bell’avvocatino ancor celibe) s’a ven da mi, mi i son coula d’ troveie una bela foumna ch’a fassa për chiel: i servo tante poste com as dev. A jè mac coust sgnor si ca l’ha trocioname [se viene da me, io sono quella che le trova una bella moglie che faccia per lei: io servo tante signore come si deve. C’è solo questo signore qui che mi ha truffato].

La Givone continua di questo passo finché il Conciliatore le intima silenzio e sentite le sode ragioni del convenuto, assolve il medesimo.

- Parei a lo condana nen? [Così non lo condanna?]

- No.

- Eben se chiel a ven da mi, lo fass nen mariè [Ebbene se lei viene da me, non lo faccio sposare]. (Risa generali).

- Ed io, piuttosto che andare da voi, rimarrò sempre celibe.

- Dapërtut ant coust mond a j’è dii Pilat [Dappertutto in questo mondo ci sono dei Pilati].

- Tacete, se non volete andar incontro ad un giudizio penale.

Così il nostro cronista si diverte a delineare la macchietta della vecchia megera che vanta le sue capacità di sensale e chiede, invano, la sua ricompensa a uno scostante ed enfatico antagonista.

E poiché questo personaggio nel racconto viene lasciato in ombra, anche se si fa capire che è dalla parte della ragione («le sode ragioni del convenuto») il protagonista maschile diventa lo stesso Giudice Conciliatore, l’avvocato Pautas.

La conclusione è però amara, la vecchia, delusa nelle sue aspettative, evoca Ponzio Pilato che, nella cultura popolare del tempo, è il simbolo di una giustizia inefficiente e fin troppo ben disposta verso le persone benestanti (oggi diremmo “malagiustizia”). Ma su questo aspetto Curzio non si sofferma più di tanto.

Per commentarlo, ricorriamo alle parole di un suo collega di qualche anno dopo, l’avvocato Giovanni Saragat, cronista giudiziario col nome di “Toga-Rasa”.

Questi, nel suo libro “La commedia della Giustizia nell’ora presente. Ricchi e poveri” (Torino, 1898), spiega come nei poveri sia radicata la convinzione «non priva di fondamento, che coi ricchi non si può lottare e che la giustizia è come la carne, alimento solo dei signori, e da ciò l’origine di tutta una letteratura di proverbi popolari che rispecchiano il suo scetticismo: Giustizia falsa. Ubbriaco come la giustizia. Cieco come la giustizia. Né a torto né a ragione non lasciarti mettere in prigione; ed altri ed altri che rivelano il disprezzo supremo del popolo per la giustizia come gli è amministrata».

In particolare, Toga-Rasa ricorda che le Preture, al tempo la struttura base dell’organizzazione giudiziaria del Regno, erano state battezzate dal popolo «con lo spregiativo di “Tribunali di Pilato” con offesa patente alla giustizia di Pilato, che era giustizia romana».

Qualche anno dopo, Alberto Viriglio conferma questo modo di esprimersi popolare e ne evoca ulteriori espressioni piemontesi: «[...] là dove poco riverentemente la voce “Tribunal ‘d Pilat” si sostituisce a quella di “Pretura Urbana”, ecco affacciarsi sotto mentite spoglie il Negôssiant da fià (l’avvocato), il Peila Crist o causidico; il Pluca psëte (pilucca monetine) ovverosia Mozzorecchi, Paglietta, Cavalocchi e procuratore “di muraglia”; il Porta papè (spedizioniere d’ufficio), il Saôta bussôn o scarabôcin, cioè lo scrivanello».

E oggi cos’è cambiato?

Le Preture sono state soppresse nel 1998 e, anche a Torino, gli avvocati di scarso valore sono chiamati col termine napoletano di “paglietta”.

 

Giovanni Saragat (Toga-Rasa), La commedia della Giustizia nell’ora presente. Ricchi e poveri, Roux-Frassati, Torino, 1898.

Alberto Viriglio, Voci e cose del vecchio Piemonte, Lattes, Torino, 1917.

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Articolo pubblicato il 21/10/2020