La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Padre e figlio, ladri di merluzzo inglese

Già più volte ho sottolineato come alcune vicende tramandate dalla cronaca giudiziaria ottocentesca potrebbero costituire una buona traccia per la trama di film di stile neorealista, sia per gli aspetti curiosi delle vicende sia per la caratterizzazione di alcuni protagonisti. È il caso di questa cronaca apparsa nella Rivista dei Tribunali della Gazzetta Piemontese del 15 novembre 1873, a firma del cronista giudiziario Curzio.

La storia inizia con un furto commesso nella notte fra il 16 e il 17 marzo 1873, nel magazzino del droghiere Enrico Ballor posto sullo stradale di Vercelli, al di fuori della cinta daziaria, presso la barriera di Milano, oggi piazza Crispi. I ladri sono entrati dopo aver scalato un muro e hanno portato via più di 170 chilogrammi (17 miriagrammi come si diceva allora) di merluzzo inglese.

Nel mattino del 17 marzo il signor Ballor si accorge del furto e corre subito a sporgere denuncia. Gli inquirenti interrogano diversi testimoni e così emergono gravi indizi a carico di due cattivi soggetti, Felice e Secondo Allegranza, padre e figlio. Felice Allegranza, di 57 anni, già condannato per furto, e suo figlio Secondo, di 20 anni, ufficialmente risiedono a Collegno ma in realtà campano di espedienti a Torino.

Allegranza padre è solito andare a dormire introducendosi di nascosto nel fienile di un certo Cioccato, in vicinanza del magazzino di Ballor. Sentendo l’odore del merluzzo - ritengono gli inquirenti - gli sarà venuta l’idea di rubarlo. E per portarne via la gran quantità sparita, ha coinvolto suo figlio Secondo, cattivo soggetto anche lui, dotato di una forza straordinaria, che di solito vagabonda per la città. Nella sera del 16 marzo si sono nascosti nel fienile e nella notte hanno fatto il colpo. Questa ipotesi investigativa è molto verosimile. Così viene subito emesso un mandato di cattura nei confronti degli Allegranza padre e figlio e i Carabinieri si mettono sulle loro tracce.

Nel frattempo, gli Allegranza hanno confermato questi sospetti. Hanno proposto di comperare del merluzzo a vari negozianti. Tra questi all’energica commerciante Angela Baratto che è stata subito messa in sospetto dal prezzo molto basso richiesto dai due: cinque soldi ovvero 25 centesimi al chilo quando il prezzo medio è di 16 soldi (80 centesimi). La Baratto li ha quindi messi alla porta accusandoli di vendere merluzzo rubato. I due, vedendo che non potevano tener testa alla risoluta donna, sono andati a offrire la loro merce ad altri negozianti più avidi e disonesti, che l’hanno acquistata a cinque e addirittura a quattro soldi al chilo.

Sono trascorsi alcuni giorni dal furto, quando i Carabinieri riescono ad arrestare gli Allegranza nella loro misera abitazione. Li trovano intenti a friggere merluzzo e cipolle in una padella e intimano loro l’arresto. Il cronista Curzio si diverte a ricostruire la scena evidenziando l’atteggiamento da spaccone strafottente mostrato in particolare da Allegranza padre.  

- Perché arrestarci?

- Perché avete rubato merluzzo.

- Noi neghiamo e diciamo di non aver mai rubato merluzzo.

- E se ne avete nella padella!

- Questo l’abbiamo comperato coi nostri santi denari.

- Comprato o rubato, dovete venire con noi.

- Lasciateci almeno fare il nostro pranzo: non vedete che la tavola è apparecchiata? Volete condurci in carcere digiuni!

- Ebbene sbrigatevi, mangiate, in fretta due bocconi e poi andiamo.

Mentre il merluzzo frigge, gli Allegranza mangiano pane e prosciutto comprato coi proventi della vendita di parte del loro bottino. Si bevono alla svelta un litro intero di vino e poi si accingono a assaporare il merluzzo.

A questo punto uno dei Carabinieri dice al compagno:

- Questo merluzzo può fornire una prova specifica del furto: confrontandolo con quello rimasto nel magazzino del Ballor, la giustizia può avere elementi per stabilire la reità di costoro: sarà bene che lo sequestriamo.

- Sequestrarlo! - osservano gli Allegranza - noi abbiamo ancora fame e ce lo vogliamo mangiare.

- Lo sequestriamo come corpo di reato.

- Volete sequestrarlo per poi mangiarlo voi stessi.

- Non insolentite, noi facciamo il nostro dovere.

Nel frattempo, gli Allegranza guardano la porta per fuggire. I Carabinieri se ne accorgono e, prudentemente, li ammanettano. Mentre escono di casa, il figlio cerca un pretesto per farsi togliere le manette. Dice al padre che sono rimasti tre litri di vino: è meglio berlo subito, per evitare che diventi acido, come è già successo per un precedente arresto seguito da un periodo di più mesi di detenzione. Ma i Carabinieri non si lasciano convincere e gli Allegranza finiscono in carcere, mentre la padella col merluzzo fritto assume il ruolo di corpo di reato. È il 21 marzo 1873.

Il processo si svolge alla Corte d’Assise di Torino il giorno 11 novembre 1873.

Di nuovo il cronista sottolinea il teatrino che i due accusati mettono in scena in aula. Con aspetto tranquillo, negano il furto loro addebitato.

- Ma dove avete preso il merluzzo che avete venduto ai diversi negozianti? Domanda il Presidente.

- Io l’ho comperato da un ignoto di Carmagnola, risponde il padre.

- Ed io da uno sconosciuto sul ponte Mosca, risponde a sua volta il figlio.

- Io sono passato più volte sul ponte Mosca, - dice il Presidente - e non ho mai veduto a vendere del merluzzo.

- Vostra Eccellenza è passata quando non vi erano venditori di merluzzo, io per contro passai quando ve ne erano.

- Ma nei vostri interrogatori avete detto una cosa ed ora ne dite un’altra, osserva il Presidente.

- È il giudice istruttore che ha scritto male, risponde il padre.

- È il giudice che ha sbagliato, risponde il figlio.

- Vedremo ciò che diranno i testimoni.

- Io non temo nessuno, grida forte il padre.

- Meglio per voi.

Fra i molti testimoni vi è Angela Baratto. Queste le sue riposte al Presidente:

- Anche voi avete comprato del merluzzo dagli accusati?

- Nossignore, non fui così minchiona: mi sono subito accorta che quel merluzzo puzzava di furto; me lo ha esibito a troppo buon prezzo, ed io marameo! non volli saperne di quel ladro.

- Io ladro? grida impetuosamente Allegranza padre, io ladro? Sei tu una ladra, sei una bugiarda: io ti conosco da lungo tempo per una imbrogliona, che te la fai colle guardie.

La teste ride ed il Presidente, congedandola, le dice di non dar retta alle calunnie dell’accusato. Poi aggiunge: - Vi faccio i miei complimenti perché avete saputo resistere alla tentazione di comprare quel merluzzo rubato: se tutti facessero così, se non vi fossero ricettatori, compratori di cose rubate, non si commetterebbero più tanti furti e i ladri diminuirebbero notevolmente! (E gli avvocati morirebbero di fame, questo il commento espresso con un “a parte” teatrale dal cronista Curzio).

Dopo l’interrogatorio dei testimoni prende la parola il Pubblico Ministero che sostiene con energia l’accusa di furto aggravato perché commesso di notte e con scalata del muro.

L’avvocato difensore Paretti nega che i suoi clienti siano gli autori del furto. Sostiene che, al massimo, si possono considerare colpevoli di ricettazione dolosa, ovvero di aver acquistato il merluzzo rubato pur conoscendo la sua furtiva provenienza!

Ipotesi bizzarra, alla quale non crede nemmeno il cronista Curzio. Eppure, l’avvocato, Dio sa come, riesce a intortare i giurati che, si noti bene, condividono la condizione sociale del derubato Ballor e dalle malefatte di soggetti come i due Allegranza hanno tutto da perdere.

Con il loro verdetto, i giurati accettano l’ipotesi strampalata della difesa: ritengono gli accusati colpevoli soltanto di ricettazione dolosa senza un precedente accordo con gli autori del furto. Così la Corte d’Assise infligge loro unicamente la pena del carcere, per tre anni al padre e per un anno al figlio, perché ancora di età minore di ventun anni.

Questa la sentenza dell’11 novembre 1873 che ordina anche la restituzione al droghiere Enrico Ballor del merluzzo sequestrato.

Pur con questo favorevole esito del processo, i teatrini non sono ancora terminati. Al momento di lasciare la sala d’udienza, Allegranza padre si mette a imprecare contro la giustizia, dice di essere innocente e di voler ricorrere in Cassazione: «Poveretto! Non sa che fu fin troppo favorito dai giurati», questo il commento finale di Curzio, che pare la più appropriata conclusione di questa vicenda che offre uno spaccato sulla giustizia “minore” ottocentesca.

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Articolo pubblicato il 20/11/2020