La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Il ladro sfortunato

Nel mattino del 14 novembre 1872, alla Sezione di Pubblica Sicurezza “Monviso” arriva una soffiata: nella vicina via Oporto, oggi corso Matteotti, nel corridoio degli ammezzati della casa di proprietà Aghemo, oggi nota come “Casa delle colonne”, sta girando uno sconosciuto dal contegno sospetto che, forse, sta studiando qualche brutto tiro a danno degli inquilini.

 

L’ufficio di Polizia si trova a pochi isolati di distanza, in via San Quintino al piano terreno del civico 3, e i poliziotti giungono rapidamente sul posto. La loro azione è favorita dall’intervento di un benemerito cittadino. Il malfattore, infatti, usando un grimaldello è riuscito a penetrare nell’alloggio del commesso Gaspare Battisti. Ma, sfortunatamente per il malfattore, un muratore che lavorava al piano superiore si è accorto della forzatura della porta e lo ha bloccato nell’alloggio.

 

Il ladro arrestato viene identificato come Angelo Mazzoleni, di 22 anni, nato a Osio (Bergamo) e residente a Torino dove dice di lavorare come fabbro ferraio. Nell’alloggio di Battisti, Mazzoleni ha si è impossessato di una giubba di panno del valore di venti lire.

 

Il suo arresto viene annunciato dalla Gazzetta Piemontese del giorno successivo e subito lo si definisce «autore di altri furti consumati in Torino».

 

In effetti viene accertato che Mazzoleni ha commesso un altro furto, in via Cernaia 20, nel mattino del 1° novembre precedente.

 

La Gazzetta Piemontese del 3 novembre lo ha così descritto:

 

Ieri mattina ignoti ladri penetrarono, mediante chiavi false e grimaldelli, nell’abitazione d’un ufficiale del 60 reggimento fanteria, in via Cernaia n. 20, e vi derubarono parecchi oggetti di vestiario pel valore di lire 80 circa.

 

Si tratta in effetti di quello che la Giustizia del tempo definisce un furto aggravato dallo scasso della porta di entrata, commesso nell’abitazione di Roggero Cominacci, e la refurtiva è composta da una giubba di lana, un paio di calzoni, un panciotto, cinque bottoni d’oro, due fazzoletti da naso in filo per un complessivo valore di ottanta lire.

 

Evidentemente una perquisizione ha permesso di trovare tutti o almeno una parte di questi oggetti in possesso di Mazzoleni perché è assai poco probabile che il giovanotto abbia confessato e tantomeno fatto il nome di eventuali complici.

 

Così viene rinviato a giudizio per i due furti aggravati dalla forzatura della porta, commessi rispettivamente il 1° e il 14 novembre 1872.

 

Il suo processo si svolge alla Corte di Assise di Torino nel dicembre dell’anno successivo.

 

Il cronista giudiziario della Gazzetta Piemontese ritiene questa vicenda troppo banale per farne una cronaca da proporre ai suoi lettori. Così dobbiamo accontentarci delle sintetiche indicazioni della sentenza che viene emessa il 17 dicembre 1873.

 

Mazzoleni, giudicato dalla giuria come colpevole dei due furti aggravati, anche in considerazione della sua recidività in quanto ha già subito una precedente condanna, viene condannato a sei anni di reclusione. Dopo aver scontato questa pena, sarà sottoposto a cinque anni di sorveglianza da parte della Polizia. È anche condannato all’interdizione dei pubblici uffici, al risarcimento dei danni ai derubati ai quali vengono restituiti gli oggetti di loro proprietà sequestrati, che hanno rappresentato i corpi di reato. Viene anche ordinata la confisca delle chiavi false, del grimaldello e del coltello sequestrati all’accusato. 

 

Torniamo così a considerare la tematica dei “ladri sfortunati” ovvero, nel linguaggio ottocentesco dei cronisti della Gazzetta Piemontese, i ladri che non riescono ad attuare il furto che intendono compiere e spesso vengono arrestati. In effetti, il giovane pregiudicato Angelo Mazzoleni è andato a rubare nei pressi di un Commissariato di Polizia, si è fatto sgamare per il suo contegno sospetto e, soprattutto, ha trovato sulla sua strada un volenteroso cittadino!

 

Questa vicenda è anche occasione per ricordare una zona di Torino che ha subito nel tempo profonde modificazioni.

 

Va premesso che la Torino ottocentesca è divisa in quattro Sezioni, indicate con i nomi di Po, Dora, Moncenisio, Monviso alle quali si aggiungono i Borghi, cioè i sobborghi ormai inglobati nella compagine urbana: Borgo Po, Borgo Dora e Borgo Nuovo.

 

La Sezione Monviso ha come asse centrale la via Roma, tranne il primo isolato, fino a Porta Nuova e piazza San Carlo ed è delimitata dal corso Re Umberto e dalla via Carlo Alberto. È poi circoscritta dalle vie Monte di Pietà e Cesare Battisti (per chiarezza usiamo i nomi attuali delle varie vie) e dal corso Vittorio Emanuele II. Inizialmente comprendeva anche il nascente Borgo San Secondo e si allargava fino alla zona di Piazza Adriano. Ancora oggi, nella via Fréjus di Borgata Cenisia, il palazzo ai civici 5, 7 e 9 mostra delle curiose targhe viarie di aspetto bronzeo che nella parte superiore portano l’indicazione “Sezione Monviso”. Targhe analoghe si trovano nelle vie Lombriasco e Cavallermaggiore che delimitano l’isolato.  

 

Nella Sezione Monviso, si trovano il Palazzo Carignano, il Palazzo dell’Accademia delle Scienze, il Teatro Carignano. La Sezione di Pubblica Sicurezza Monviso, citata nella nostra storia, è situata in posizione eccentrica perché collocata via San Quintino n. 3, al piano terreno, nel secondo isolato dalla piazza Paleocapa, delimitato dalle attuali vie Arsenale e Alessandro Volta, che al tempo si chiama ancora Giovanni Camerana come il suo prolungamento nel Borgo San Secondo, al di là del corso Vittorio Emanuele II.

 

La casa Aghemo è oggi nota come “Casa delle colonne”. Costruita nel 1853 su progetto dell’architetto Alessandro Antonelli, si trova ai civici 13 e 15 dell’attuale corso Matteotti e ha una facciata prospicente il corso Re Umberto (al tempo corso del Principe Umberto).

 

Concludiamo ricordando che corso Matteotti fino alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale era intitolato a Oporto, città del Portogallo dove morì il Re Carlo Alberto il 28 luglio 1849, dopo aver abdicato in favore del figlio Vittorio Emanuele. Il tratto iniziale dell’attuale corso, da via XX Settembre al corso Re Umberto, dove la larghezza è minore e non vi sono alberi, era indicato come “via Oporto”.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 25/11/2020