La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Il macabro quiz di via Camerana: la maestra assassinata

L’uccisione dell’anziana maestra Luisa Guiguet, avvenuta nella serata di martedì 14 settembre 1976 a Torino, è un esempio di quanto la realtà sappia superare la fantasia. Questo crimine mi ha subito richiamato il titolo italiano di un romanzo poliziesco di Agatha Christie del 1959 che ha come protagonista Hercule Poirot: Macabro quiz.

Location dell’omicidio è via Camerana, parallela a via Sacchi, nel tratto più vicino alla Stazione di Porta Nuova, dietro il Turin Palace Hotel. Al civico 8 troviamo un vecchio stabile, di soli tre piani fuori terra, incuneato e quasi soffocato da quelli che si elevano sui due lati. Un’ala dell’edificio prospicente il cortile presenta una fila di soffitte alle quali si accede da un corridoio fiocamente illuminato da una lampadina coperta di polvere.

Martedì 14 settembre 1976, poco dopo le 23:00, un inquilino, il cameriere Felice Saia, di 24 anni, rientra in compagnia dell’amico Giacomo Pellegrino di Cuneo. I due vedono del fumo uscire da sotto la porta della soffitta in fondo al corridoio, occupata dalla maestra in pensione Luisa Guiguet. L’uscio della soffitta è accostato, si scorge un bagliore.

Ai due si presenta uno spettacolo orrendo. La donna sta rantolando sul pavimento in mezzo alla camera, col corpo martoriato e con lingue di fuoco sulle gambe e sul bacino.

Danno l’allarme. L’anziana maestra viene portata al Centro grandi ustionati dove i medici non possono salvarla. È stata massacrata e bruciata viva nella sua soffitta.

Iniziano le indagini, condotte dal dottor Piero Sassi, vicecapo della Squadra Mobile.

A mezzanotte la Polizia ferma il nipote, portato in questura per essere interrogato a lungo.

Al complicato quadro investigativo si contrappone l’assoluta trasparenza della vita della vittima. La maestra in pensione Luisa Guiguet, di 75 anni, viveva da sola, non aveva niente di oscuro nella sua lunga vita, nessuno che potesse diventare un nemico mortale.

Luisa Guiguet ha svolto più di quarant’anni d’insegnamento nelle scuole elementari, prima nelle frazioni tra Oulx e Salbertrand, poi a Chianocco, Trofarello, infine a Torino. Ha ricevuto la Medaglia d’Oro della Pubblica Istruzione.

Quando è andata in pensione, nel 1966, ha così organizzato la sua pacifica esistenza di donna sola: trascorreva i mesi invernali a Sanremo, sua residenza abituale, dove aveva acquistato un appartamentino al secondo piano di via Zefiro Massa. Qui si godeva la pensione e una piccola rendita.

Trascorreva la bella stagione in montagna, a Salbertrand, suo paese d’origine, dove abitava in un alloggetto ereditato dalla madre, in una costruzione rustica nel centro del paese. Anche qui un’esistenza tranquilla, quasi tutti i giorni a pranzo dal nipote Giovanni Guiguet e dai suoi figli. In primavera e in estate aiutava i nipoti a curare il giardino e si occupava dell’orto.

A Torino aveva affittato la soffitta di via Camerana, dove si fermava non più di tre o quattro giorni al mese. L’ambiente era un po’ squallido, molte soffitte sfitte, ma lei la utilizzava soltanto come pied-à-terre in città. L’aveva ripulita, arredata con vecchi mobili dignitosi, un armadietto con lo specchio, la cucina a gas, una branda mascherata con le coperte, il telefono.

Domenica 12 settembre, è partita da Salbertrand per Torino, dove pensava di fermarsi alcuni giorni per controllare i lavori di riparazione del tetto della sua soffitta.

È andata a trovare, nel loro appartamento di via Asinari di Bernezzo 101, i nipoti torinesi, genitori di Aldo, pronipote di 21 anni molto affezionato a lei. Appariva desiderosa di risolvere in fretta la questione del tetto per ritornare in montagna. Lo conferma la portinaia Margherita Scarzello.

Anche a Torino, Luisa scambiava volentieri quattro chiacchiere coi vicini. Nella sera di martedì è restata mezz’ora dall’anziana Cesira Borelli, abitante nella soffitta confinante con la sua, per parlare di argomenti banali fin verso le otto e mezzo, quando si è ritirata a casa sua. Rimasta sola, Cesira Borelli ha chiuso a doppia mandata ed è andata a dormire. È stata svegliata dalle grida di Felice Saia e Giacomo Pellegrino, quando nel corridoio vi era un fumo soffocante e un odore terribile.

Riprendiamo il filo delle indagini. L’autopsia, eseguita dal professor Baima-Bollone, accerta che lo sconosciuto ha infierito con furia selvaggia sulla donna, menando almeno quindici terribili fendenti con una scure, forse una mannaia da macellaio dalla lama affilatissima, o un grosso coltello, che hanno provocato profondi tagli al collo e al ventre.

Prima di perdere conoscenza, la maestra deve aver urlato dal dolore. L’assassino ha poi infierito sadicamente su di lei, cospargendola di liquido infiammabile e appiccandole il fuoco senza neppure accertarsi che fosse morta.

Questi risultati portano a considerare un particolare aspetto di questo omicidio: l’incredibile silenzio in cui è avvenuto. L’inquilina vicina, Cesira Borrelli, non lo sente bussare, né entrare. Non si accorge dell’orrido macello che si consuma nella stanza attigua.

Cesira Borrelli dovrebbe essere il teste chiave. Invece non ha sentito i colpi, le grida d’aiuto della maestra. La Borelli, ottantenne, vedova da diciotto anni e abituata alla vita solitaria, non è sorda, dimostra anzi maggiore lucidità di quanto ci si attenda dalla sua età, dal suo aspetto.

I cronisti la descrivono come donna sensibile, intelligente, poetessa e scrittrice. Vive in una soffitta rimessa a nuovo come quella della maestra, dalla quale è separata soltanto da una parete solida e spessa, secondo le tecniche costruttive di un tempo. È ancora impaurita per una brutta esperienza di due anni prima, quando di notte, hanno tentato di sfondare la sua porta. Lei era dentro e i ladri, forse teppisti, facevano come se non ci fosse. Per fortuna, la porta aveva resistito.

«È incredibile - dicono gli inquirenti - Di rumore l’omicida deve averne fatto, non si uccide così barbaramente una persona, anche se è una donna anziana, in silenzio».

Anche la fortuna ha avuto il suo ruolo.

L’assassino pare essere venuto dal nulla e nel nulla essere scomparso. Nessuno lo vede entrare nel buio androne di via Camerana 8, salire le scale fino al quinto piano, imboccare lo stretto corridoio delle soffitte, fermarsi davanti alla porta della maestra. Neppure quando si allontana l’omicida s’imbatte in qualcuno. «Una fortuna maledetta lo ha aiutato - racconta la portinaia dello stabile - Verso le 22 nelle scale c’è sempre un discreto andirivieni, è difficile passare inosservati». L’uccisore invece se ne va tranquillo. Il caso gioca in suo favore. Con un ritardo di qualche minuto si sarebbe trovato faccia a faccia col cameriere Felice Saia che rincasava con un amico e ha scoperto l’omicidio.

Chi poteva odiare la maestra fino al punto di ammazzarla? Per rispondere, gli inquirenti hanno dovuto frugare impietosamente nel passato di Luisa Guiguet, alla ricerca di un indizio per un valido movente. Per un momento pare emergere una traccia quando viene trovato su un armadietto un registro di plastica colmo di scartoffie. Sui fogli, con grafia precisa e nitida, sono vergate colonne di cifre, in fondo a una è scritto: «Un milione, interessi 23 per cento». Che l’insegnante prestasse soldi ad alto interesse e abbia così attirato l’odio di un cliente? Gli investigatori hanno preso in considerazione anche questa possibilità, ma dopo brevi accertamenti l’hanno scartata.

Nulla, nella vita senza ombre della donna, giustifica una vendetta così feroce, un così sadico accanimento.

Ben presto emergono le difficoltà delle indagini e le perplessità degli investigatori. Se ne fanno portavoce due articoli, pubblicati il 16 settembre, rispettivamente da La Stampa (a firma Claudio Giacchino) e da Stampa Sera. Saranno anche gli ultimi riferiti a questo caso.

L’ipotesi iniziale di un ladro è oscurata dal sadismo. Chi va a rubare, non appicca il fuoco alla vittima. Poi, il misterioso assassino, anche se ha messo tutto a soqquadro e ha persino tagliato il materasso, non ha portato via il denaro presente nella soffitta, 220 mila lire contenute in una busta nascosta in una valigia, dove ha rovistato. Probabilmente è una messa in scena per sviare le ricerche. L’ipotesi che pare assumere più concretezza è quella della vendetta che però non trova motivazioni nella vita della vittima.

Resta anche senza risposta la domanda come abbia fatto l’assassino a farsi aprire la porta.

Chi conosceva bene la maestra la definisce una donna riservata, che non dava confidenza, tale da non farsi ingannare dal primo venuto. Negli ultimi tempi, poi, dopo un tentativo di scassinare la serratura della soffitta, viveva nell’incubo dei ladri e non apriva a nessuno. Come mai martedì ha aperto al suo assassino? L’individuo che ha bussato doveva esserle noto - affermano gli inquirenti - diversamente non l’avrebbe fatto entrare.

Una questione che sarà una tragica costante di questi omicidi.

I cronisti scrivono che quella di un parente o di un amico resta l’ipotesi più probabile. Ma in questo caso appare non percorribile, a meno di evocare inconfessabili segreti nel passato della maestra.

Viene considerata anche l’ipotesi del maniaco, secondo le limitate vedute dell’epoca. Un maniaco, che di solito agisce in preda a un raptus, non avrebbe organizzato il delitto come in questo caso. «Il maniaco - secondo il dottor Sassi - agisce senza rendersi conto di quanto fa, l’uccisore dell’insegnante invece si è comportato con una freddezza disumana». Ha portato con sé sia l’arma che il liquido infiammabile per bruciare il corpo, perché l’anziana maestra non teneva nella soffitta utensili come una scure o un coltellaccio e contenitori di petrolio. L’assassino aveva già programmato di bruciare il cadavere, forse in segno di spregio, oppure, più facilmente, per cancellare con le fiamme le tracce del delitto. Nel timore che l’incendio non potesse occultare l’assassinio, ha messo tutto in disordine per far credere a una rapina.

Questa è l’oscura situazione delle indagini, al 16 settembre, nei momenti immediatamente successivi all’omicidio, momenti in cui - secondo un consolidato assioma - o si scopre il colpevole o il caso resta insoluto. I cronisti se ne rendono conto. Claudio Giacchino scrive: «Autore e movente di questo crimine hanno le caratteristiche di una tremenda sciarada» e il cronista di Stampa Sera: «Per il momento l’autore di un omicidio così “anormale” nella sua dinamica e nelle sue origini resta nell’ombra».

Nei giornali cittadini non compaiono ulteriori notizie riferite alle indagini sul delitto di via Camerana.

Come ha titolato Stampa Sera del 15 settembre 1976, L’ha ammazzata un mostro.

E questo mostro è rimasto sconosciuto.

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Articolo pubblicato il 03/08/2021