La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Quando la coppia scoppia (nel 1951) DUE

Proseguiamo nella nostra analisi della “coppia che scoppia” esaminando due casi di mariti fedifraghi sia pure con modalità profondamente diverse da un caso all’altro, verificatisi nel mese di gennaio dell’anno 1951, a distanza di pochi giorni.

Le due storie appaiono su Stampa Sera, edizione pomeridiana de La Stampa, che nella sua Cronaca Cittadina raccoglie anche notizie frivole e curiose, proposte con stile brioso e arguto. Un esempio viene dal caso del 3 gennaio, che appare col il titolo Vani sortilegi d’una pitonessa per riconquistare un fuggiasco. Il cronista, evidentemente, nel narrare un caso che si potrebbe riassumere nel detto popolare Vecchio innamorato, pazzo spacciato, intende attrarre i lettori evocando scenari di un esoterismo decisamente ante litteram tramite la figura della chiaroveggente ironicamente definita “pitonessa” nel titolo (*).

Leggiamo:

La scomparsa di un uomo di cinquantatré anni abitante in via Vincenzo Monti, padre di 5 figli, ha avuto spunti drammatici e talvolta comici.

Si concluderà venerdì in Pretura dove il maturo dongiovanni sarà processato per abbandono del tetto coniugale. Nel fascicolo processuale si trovano la denuncia presentata dalla moglie e numerosi verbali di sedute spiritiche. Con le sentenze della medium in «trance».

Nell’esposto a carico dello scomparso si precisa che egli fino al 1949 esercitò la professione di mediatore con un avviatissimo ufficio in via Cavour. In quell’anno però cominciò a diventare agitato e il suo comportamento si fece sempre più strano. Gli affari non lo interessavano più, anzi lo irritavano.

I figli già adulti che lo aiutavano nello svolgimento del lavoro si dimostravano sempre più meravigliati del suo inspiegabile cambiamento. La moglie e la figlia, più alta già sposata riuscirono a scoprire che il rispettivo marito e padre si era perdutamente innamorato di una donna trentenne.

 

Come anticipato, Vecchio innamorato, pazzo spacciato. Ma è interessante considerare l’atteggiamento della moglie, più che disposta a perdonare il marito purché si ravveda: siamo nel 1951 e molte donne sono disposte a sacrificarsi pur di salvare l’unione familiare.

 

Naturalmente la moglie rimproverò il maritò per la relazione, ma senza tono severo. Mirava più che altro a convincerlo della ridicolaggine che andava addensandosi intorno alla sua figura di uomo ormai adulto dai capelli grigi e soprattutto in procinto di diventare nonno.

Il mediatore rispose che era completamente schiavo della sua amante. Non poteva trovare pace alla sola idea che un giorno una qualsiasi causa avrebbe potuto separarlo da lei. Affermò che essa lo aveva ammaliato «curandolo con liquori di sua fabbricazione» e suggestionandolo «con una interminabile serie di sedute spiritiche».

 

A parte le curiose modalità impiegate dalla giovane donna per stregare il maturo mediatore, si conferma un’affermazione di Pietro Aretino: «Lo innamorarsi è la ricetta che usano i vecchi contra il tempo; e ha cotanta virtù il lor far ciò, che tanto ritornano giovani quanto ciò fanno». Ed ecco il prosieguo della vicenda:

Dopo questo colloquio il mediatore scomparve. Come primo risultato del suo allontanamento misterioso fu la visita di un suo fratello, il quale affermò che gli aveva imprestato proprio allora un milione in contanti. Di questi denari egli si era servito per attuare il piano della fuga.

Ora il fratello ne chiedeva la immediata restituzione. Si chiarì tuttavia che il mediatore aveva regolato poco prima le sue faccende lasciando alla moglie, con scrittura privata, gli alloggi di via Monti e via Cavour e un regalo in contanti.

 

Una soluzione accettabile, almeno dal punto di vista economico, e che dimostra come il mediatore non sia stato ammaliato al punto di derubare i suoi familiari. Ma a questo punto emerge la parte più esoterica della vicenda, quando la moglie, preso atto del suo mancato rientro a casa, desidera capire i meccanismi che hanno portato all’allontanamento del marito:

 

La famiglia sperò che egli tornasse presto al focolare domestico: ma i desideri andarono tutti delusi.

La moglie volle allora constatare attraverso quali vicende lo scomparso fosse passato prima di abbandonare i suoi cari e per avere tali notizie si recò dalla stessa chiaroveggente che aveva consigliato i due amanti fuggiaschi.

In uno dei verbali delle sedute di attrattiva la medium fa dire allo spirito dell’uomo scomparso frasi di questo genere: «L’anima che mi richiama è buona e santa. È mia moglie. Mi consiglia con devozione; ma non mi tormenti più». E poi ancora: «Comprendo tutto; ma la mia esperienza personale è superiore ad ogni considerazione. Non chiamatemi, non fatemi maggiormente soffrire. Vado penando fra Como e Milano».

 

Viene il sospetto che la chiaroveggente, ancora affezionata ai suoi primi clienti, abbia cercato di convincere la moglie col tramite dello spirito, affinché non insistesse nella ricerca del marito!

Questo messaggio non è stato recepito: la moglie ha denunciato il consorte per abbandono del tetto coniugale e, come si è detto in esordio, nel successivo venerdì 5 si svolgerà il processo in Pretura. Non ne conosciamo l’esito ma dubitiamo che l’intervento della Legge abbia saputo portare una soluzione ai problemi sentimentali di questa coppia “scoppiata”.

Dopo nemmeno una settimana un nuovo caso ci porta addirittura nel mondo dell’alta sartoria cittadina, quando Torino, dopo la Seconda Guerra Mondiale, aveva ripreso il suo ruolo di Capitale della Moda: erano numerosi i piccoli laboratori artigianali e i rinomati atelier che si spartivano una clientela composta da esigenti signore dai gusti raffinati.

Veniamo immessi in questo ambiente da un articolo pubblicato da Stampa Sera il 9 gennaio 1951, sotto il titolo «All’amante i “modelli” della moglie».

Con piglio brillante è evocato un litigio avvenuto presso un ufficio di Polizia che coinvolge i tre protagonisti della vicenda: la moglie, il marito e la sua giovane amica.

 

Una clamorosa scenata tra moglie, marito ed un’amica di questi ha avuto il suo epilogo negli uffici della squadra giudiziaria del commissariato di P.S. Vanchiglia.

I protagonisti della tragicomica vicenda sono: Angela Scagliotti di 32 anni, proprietaria e direttrice di una casa di mode di corso Firenze 87, il marito di costei Mario Sciabelli, di 38 anni e la graziosa signorina Maria Cristina Ladelli, di 25 anni.

Il fatto che ha determinato la situazione incresciosa risale a circa due mesi or sono.

Lo Sciabelli aveva incontrato nell’atelier della moglie la giovane Maria Cristina. Naturalmente se n’era innamorato e la sua qualità di marito della proprietaria di una casa di mode era stato motivo più che sufficiente per decidere la Ladelli a corrisponderlo.

E la passione aumentava nella giovane donna ogni volta che essa si recava a fare acquisti di abiti «autentici modelli» presso la Scagliotti. Poiché costei glieli ideava appositamente ed il suo ineffabile marito provvedeva al pagamento.

Una tale piacevole situazione - per Maria Cristina s’intende - pareva non dovesse incontrare alcuna difficoltà quando interveniva un fatto che la sconvolgeva irrimediabilmente.

 

Il nostro Mario, innamorato, per far sempre più colpo sulla bella Maria Cristina, non esita a “rubare” i modelli esclusivi di abiti femminili che la moglie realizza per le clienti della sua casa di mode. Ladro per amore, sì, ma nei fatti attua una sorta di spionaggio industriale.

Cosa non si fa per amore! Ma «Un uomo innamorato è sempre uno spettacolo penoso», parola di Agatha Christie in Poirot a Styles Court (1920).

Duplicare modelli esclusivi non è una sciocchezzuola. Le signore della buona società ci tengono (e pagano) per questa esclusività. L’offesa nei confronti della moglie non consiste soltanto nell’infedeltà coniugale ma anche in un vulnus alla sua credibilità professionale.

 

Un giorno, infatti, una cliente si lamentò presso la Sciabelli di aver visto indossare dalla Ladelli un vestito che le era stato garantito esclusivo.

La Scagliotti iniziava una minuziosa inchiesta che portava a un esito davvero imprevisto: a scoprire cioè sul Ponte Mosca il marito e Maria Cristina teneramente abbracciati.

Conseguenze della scoperta la scenata di gelosia, il ricovero dello Sciabelli al Maria Adelaide per ferite al viso lacero contuse, tentativo di denudamento di Maria Cristina che indossava il modello copiato.

 

Alla scoperta della tresca, la signora Scagliotti si rivela una vera furia scatenata! Manda il marito in ospedale e tenta di strappare l’abito copiato alla rivale. Ha abbandonato i modi suadenti e manierosi che impiega con le sue clienti di rango. Vero è che è stata tradita come donna e ingannata come professionista del settore sartoriale e si è fatta giustizia con le sue mani. La sua vendetta si completerà al momento dell’incontro coi fedifraghi nell’ufficio di Polizia:

 

In Commissariato si è avuto l’ultimo atto della vicenda.

Un marito ravveduto implorante con le lacrime agli occhi, la moglie decisa ad ottenere la separazione legale.

Una giovane e avvenente donnina, infuriata come una tigre, che ha visto sfumare troppo presto, la possibilità di vestirsi con gusto e eleganza senza spendere un soldo.

 

Così, con l’immagine questa «donnina infuriata» che è facile evocare osservando le foto d’epoca delle indossatrici di Torino capitale della moda, concludiamo questo excursus tra i mariti fedifraghi del 1951.

 

(*) Pitonessa è il nome di una maga consultata da re Saul, secondo la Bibbia (I Samuele, 28, 7), e anche un altro nome che indica la Pizia, sacerdotessa di Apollo.

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Articolo pubblicato il 31/08/2021