Rivelazioni su Giordano Bruno

Il Prof Marco Matteoli ci racconta il filosofo di Nola - terza e ultima parte

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Completiamo la terza ed ultima parte dell'intervista al Prof Marco Matteoli su Giordano Bruno

 

Giancarlo Guerreri: Trattando gli scritti del Nolano, si parla spesso di Magia e di Opere Magiche, di cosa si tratta esattamente? 

 

Marco Matteoli: Durante il suo periodo di soggiorno in Germania, tra il 1586 e il 1591, Bruno elabora alcuni testi di argomento magico che però non pubblica. Tali testi sono stati rinvenuti in forma manoscritta solo nel secolo XIX e editi per la prima volta in un volume delle Opera latine conscripta pubblicate su finanziamento dello stato italiano alla fine dell’Ottocento; recentemente, nel 2000 e su finanziamento del Comitato Nazionale per le celebrazioni del quarto centenario del rogo di Bruno, ne è stata stampata una nuova e migliore edizione critica, accompagnata anche da una traduzione – la prima – in italiano.

 

Questi scritti, in parte, sono una serie di appunti e materiali di lavoro tratti dai più noti scritti magici del suo tempo – in primis il De occulta philosophia di Agrippa – e, più in generale, si concentrano soprattutto sulla cosiddetta magia naturalis. Del resto, nella prospettiva filosofica bruniana dalla quale è esclusa ogni prospettiva antropomorfica e antropocentrica di relazione con il divino – e non è ammesso un cosmo geocentrico né dotato di centro alcuno – è difficile pensare una reale compatibilità con la magia, l’alchimia o con l’astrologia ‘tradizionali’ che, anzi, vengono irrise come discipline inutili, superstizione e infeconde, perché appunto fondate su una prospettiva teorica che egli non condivide.

 

Ciò non esclude, tuttavia, che Bruno non faccia una riflessione magica in senso proprio, che indaghi cioè i rapporti e le relazioni ‘occulte’ tra gli esseri viventi, senzienti e puramente fisici sulla base di uno sfondo ‘metafisico’ e divino comune a tutti che, anzi, egli postula realmente, chiamandolo ‘anima del mondo’ e considerandolo il principio (attivo) della vita e della trasformazione di ogni cosa, al pari della materia universale che ne costituisce il correlato ‘passivo’, la matrice che tutto tiene e sostiene insieme. Bruno, in tutta la sua opera, fa uno sforzo teorico enorme per ricondurre tutti gli ambiti disciplinari alla sua prospettiva filosofica che è centrale ed egemone: lo fa con l’arte della memoria, con il metodo di Lullo, con la magia, appunto, perfino con la geometria e addirittura con il ‘linguaggio’, così come è stato evidenziato dai molti studi sul suo stile di scrittura. In sintesi, posso dire che il cuore teorico della magia di Bruno è profondamente filosofico e si oggettiva nella teoria del ‘vincolo’, che consiste in una tecnica per rafforzare e dominare le relazioni tra persone o tra persone e cose, cercando di comprendere i ritmi vicissitudinali e attivi che dominano l’avvicendarsi e il trasformarsi della natura.

 

Questo particolare sviluppo, tra l’altro, è in linea con quello della tecnica magica del suo tempo, come si può vedere nelle opere magiche di Giambattista Della Porta o di Tommaso Campanella. Diversamente da certi percorsi che torneranno in voga nel XVIII secolo e che riguardano il pensiero ermetico e iniziatico del Rinascimento, l’evoluzione alla quale va incontro la magia tra il Cinquecento e il Seicento è di tipo ‘naturalistico’, oppure ‘retorico’ e risente molto sia degli sviluppi dell’allora nascente metodo scientifico – anzi, certi studiosi ritengono che ci sia proprio una ‘continuità’ o affinità di problemi e di metodo tra magia e scienza –, sia dell’arte della politica, a quel tempo sempre più importante con l’affermarsi delle monarchie e degli stati europei. 

 

GG: Il pensiero di Giordano Bruno è stato influenzato da altri filosofi o studiosi del suo tempo? 

 

MM: Giordano Bruno era un uomo dotato di una memoria naturale straordinaria e che, oggi, potremmo definire ipermnestico. Ciò implica che i suoi scritti siano sempre una sorta di densissimo ipertesto nei quali le citazioni letterali di opere di moltissimi autori siano scritte e sovrascritte una di seguito all’altra, rendendo difficile determinare quali autori siano realmente fonti del pensiero bruniano, oppure semplici materiali per la costruzione di un quadro teorico completamente distante da essi, se non addirittura opposto. Per fare un esempio concreto di tale difficoltà interpretativa, la critica, soprattutto nei paesi anglosassoni, non ha mai stabilito chiaramente quale sia il debito di Bruno nei confronti del neoplatonismo rinascimentale e dell’opera di Ficino, se Bruno possa dirsi in qualche modo un ‘neoplatonico’ oppure no.

 

Vi sono autori e testi, del resto, la cui presenza nelle opere bruniane è fittissima: Aristotele, Tommaso d’Aquino, Ficino, Cusano, la letteratura umanistica, quella mnemotecnica, le Sacre Scritture. Tra questi, come Bruno stesso ammette, ha un debito particolare nei confronti di Tommaso e di Cusano, anche se l’impianto teorico di quest’ultimo, che per certi versi è ripreso fedelmente, ne esce completamente stravolto.

 

Penso che l’originalità di Bruno consista proprio in questo, che nonostante la densissima ripresa di moltissimi autori e fonti, il suo pensiero teorico non sia veramente riconducibile a nessuno di essi, si stagli solitario sopra e oltre tutti loro e Bruno, occorre dirlo, ne è anche ben consapevole! Del resto, una delle ‘immagini’ che Bruno sceglie per autorappresentarsi in tutta la sua opera è quella del Mercurio, un messaggero mandato dagli dèi per annunciare all’umanità l’avvento di una nuova era, della quale egli intuisce il sorgere, l’aurora. C’è un dettaglio, spesso sfuggito ai lettori, che a mio parere è particolarmente significativo: in un espediente mnemotecnico del De umbris idearum, Bruno fornisce un lungo elenco di  inventori celebri nella storia dell’umanità come sistema a cui associare le immagini delle sillabe per la memoria verborum.

 

Gli inventori scelti da Bruno sono tutti antichi e molti di loro appartengono alla mitologia: solo tre di quel lungo elenco – sono 150! – appartiene al ‘tempo’ di Bruno: Raimondo Lullo, Gutemberg e Bruno stesso; il primo perché inventa un tipo di scrittura interiore (l’ars combinatoria), il secondo una forma di memoria esteriore (la stampa) e Bruno una arte che è una memoria e scrittura interiore, unisce cioè le invenzioni di entrambi. Già questo è significativo per descrivere l’immagine che Bruno vuole dare di se stesso, ma lo diviene ancora di più se andiamo a vedere a quali coppie di lettere egli associa il proprio nome: Omega e Alfa, ossia il contrario di Cristo. 

 

GG: Il pensiero del Nolano può essere considerato ancora attuale e condivisibile? Probabilmente oggi si sarebbe risparmiato il rogo… ma sarebbe stato un personaggio popolare?  

 

MM: Come ho detto in precedenza, credo che ci siano ancora cose interessanti, per la nostra sensibilità culturale, da leggere e da scoprire tra le opere e nel pensiero di Bruno, tenendo conto che non proprio tutto è stato bene compreso e studiato. Personalmente io sono abituato a ragionare da storico della filosofia, quindi a valorizzare la storia come «un altro presente», cioè per mostrarci le possibilità inespresse, i fiumi sommersi della storia che, in qualche modo, possono darci strumenti teorici e creativi per rivedere le cose che non vanno nella contemporaneità.

 

Il modo coraggioso, da parte di Bruno, di intendere il ruolo dell’uomo rispetto all’orizzonte naturale infinito può, in questo senso, darci importanti stimoli per rivedere il nostro modo di pensarci nel mondo: provo a immaginare, ad esempio, un confronto (teorico) tra il filosofo più ostile all’antropocentrismo e all’antropomorfismo della prima età moderna e la nozione di antropocene che caratterizza il nostro tempo. Sul destino contemporaneo di un novello e redivivo Bruno non so che dire, sinceramente; abbiamo tanti modi, indubbiamente meno cruenti, per mettere al rogo le persone e annichilirle: ad esempio, renderle un personaggio popolare. 

 

GG: Per Bruno la memoria era considerata una forma d’arte, ma cosa intendeva esattamente per Memoria? 

 

MM: L’arte della memoria è ars in quanto principalmente è ‘tecnica’. In Bruno l’arte della memoria svolge un ruolo fondamentale: è lo strumento principale per conoscere e studiare la realtà, perché trasforma la mente in una sorta di laboratorio fantastico animato secondo principi e ritmi del tutto simili a quelli che agiscono nella natura. È, per Bruno, uno dei modi più efficaci per «unirci all’anima del mondo», ossia pensare ed agire con la consapevolezza di essere una parte attiva della natura stessa. Certamente si tratta di una tecnica difficile – e, nella versione bruniana, ancora più difficile rispetto ai sistemi analoghi –, ma non impossibile da utilizzare: è come imparare una lingua straniera, anche se in fondo, l’arte della memoria serve a comunicare esclusivamente con se stessi.

 

Un punto suggestivo delle intuizioni bruniane – confermato dalle scoperte scientifiche – è che l’arte della memoria, più la si usa e ci si esercita con essa, e più si rafforza la memoria stessa, la si rende ancora più efficace, reattiva e ‘capiente’. In generale, uno degli aspetti più interessanti di queste tecniche è che furono sviluppate da persone che avevano, già di per sé, una memoria molto forte e dunque si basano su un’esperienza diretta, vissuta in prima persona. Questo ha implicato che seppure i mnemonisti antichi o rinascimentali fossero ignari dei modelli descrittivi delle funzioni neurologiche scoperte molti secoli dopo, in realtà i loro espedienti e invenzioni si siano alla prova dei fatti rivelati essere estremamente coerenti con tali modelli.

 

Ma su questi aspetti la bibliografia è molto vasta e, in questo frangente, è sufficiente sottolineare che Bruno si muove con piena consapevolezza dentro la mnemotecnica del suo tempo, la conosce e la ‘riforma’ in modo profondo: tuttavia l’ossessione quasi ‘ideologica’ di rendere anche l’arte della memoria coerente con la sua impostazione filosofica, fa sì che tali tecniche siano molto più complicate delle altre e ciò sancisce la scarsa ricezione dell’arte bruniana da parte dei ‘praticanti’ a lui contemporanei o successivi. Era, evidentemente, un uomo troppo ‘difficile’ per il proprio tempo, sotto ogni aspetto. Diverso, ma poi non così teoricamente distante, è il ragionamento che Bruno porta avanti invece rispetto alla memoria come oggetto culturale e ‘facoltà’ della storia. In questo senso essa si presenta come un tratto costitutivo della natura umana dagli esiti apparentemente ‘contronaturali’, poiché conserva il passato, laddove la vicissitudine naturale è tutta rivolta alla trasformazione e rinnovamento di ciò che è stato. In realtà, i due termini non sono in contrasto, poiché la funzione principale della memoria storica è permettere alla creatività umana di non ripetere gli errori fatti e di migliorarsi, rinnovando ciò che ha fatto, rendendolo sempre più efficace per il potenziale espressivo e creativo dell’uomo stesso e per il suo benessere sociale, secondo quella prospettiva valoriale di carattere etico e civile che abbiamo evidenziato precedentemente. 

 

G.G.

Ringraziamo il Prof Marco Matteoli per la disponibilità e la gentilezza dimostrata nel rispondere puntualmente a delle domande probabilmente ingenue, dettate più dalla curiosità che dalla competenza, il Suo prezioso contributo diventerà oggetto di future riflessioni e, ci auguriamo, di altre puntuali interviste su temi di natura filosofica e culturale. 

 

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Articolo pubblicato il 11/04/2022