Partiti politici: il trionfo del nulla

L’acqua ormai scorre sui referendum e si temono i ballottaggi

Per i nostri politicanti da avanspettacolo, i referendum sono ormai acqua passata. Tra i promotori non è emersa nessun esame critico sull’ermeticità dei quesiti, nel non aver risposto adeguatamente ai detrattori, né essersi impegnati in modo fattivo per invitare gli elettori al voto e spiegare la posta in gioco.

Si è consumata la solita fuffa cui siamo purtroppo, da tempo abituati.

Ora, seppur in modo felpato è giunto il tempo delle faide.  Perché i nostri saltimbanco non badano alla crisi energetica, alle prospettive nere che si preannunciano in autunno. Il prossimo  e unico miraggio, per la loro sopravvivenza, è rappresentato dal  voto delle elezioni politiche.

Non anticipato, ma possibilmente ritardato, per organizzare le truppe e cercare di acquisire qualche illusione in più, per imbonire gli elettori

Si alzano le difese dei fortilizi e si mettono in moto i mezzi d’assedio.

Nel turpiloquio dei minus habens la finta più grossa è che ci siano vincitori e vinti, destra e sinistra, giustizialisti e garantisti. C’è più semplicemente un pubblico che ha voltato le spalle alla compagnia di giro, disertando il voto.

Pochi elettori alle comunali, pochissimi per i referendum. C’è una sconfessione massiccia della rappresentazione e degli attori. La partecipazione è stata così modesta come neanche accadeva nelle elezioni a esito obbligato nei comuni a trazione mafiosa di una Sicilia tutto sommato meno ipocrita della realtà odierna.

Quanto meno fuori luogo  appare il trionfalismo  del segretario del PD, quel Enrico Letta dalla mente  inutilmente spaziosa che si autoincensa come il ” primo partito”.

Come appaiono irreali  le dichiarazioni dei leader di un minicentro, iperdimensionato soltanto nei sogni dei sostenitori. Centro che a conti fatti, avrebbe un consenso in assoluto pari allo 0, 3/0, 5 %.

Neppure Giorgia Meloni sfugge alla recita. Di fronte alla Waterloo generale, senza neppure aver conseguito risultati eclatanti per il suo partito ove presente in solitaria, si autoproclama leader di una coalizione che in realtà non esiste da tempo.

Palazzo in disfacimento naturale, dove ognuno va per suo conto e in direzioni opposte. Pare che non si colga il cuore del problema: a questi partiti credono in pochissimi.

Di questi leader, portatori di significativi fallimenti o predicatori di velleità oniriche non si fida più nessuno o quasi.

Dove le cose sono andate meno a picco si è disvelato un fenomeno, peraltro positivo del periodo post94.

Sindaci bravi e stimati, con le loro liste hanno fatto il pieno fra i superstiti del voto, limitando l’emorragia, ma evidenziando la crisi irreversibile dei partiti sulla scena.

Riprova a posteriori che quello che fu il partito dei sindaci si presentava come la migliore alternativa possibile.

Non fu dunque un caso se quella scelta fu castrata sul nascere togliendo loro l’autonomia finanziaria di cui godevano (80/90% di risorse proprie).

Da una parte si riformava la Costituzione in senso autonomista e dall’altra si chiudevano i rubinetti. Prevalse  lo spirito di conservazione e autoreferenziale di quella classe dirigente tanto inadeguata da aver ceduto il passo a questa che oggi ci sta portando agli inferi.

Il fiasco dei referendum non dovrebbe far gioire i seguaci di questa giustizia gestita da una magistratura arroccata e autoreferente. Dice in chiaro che la disaffezione e la condanna di un sistema sono corroborati da altri elementi.

Fra i quali la constatazione che le decisioni referendarie sono state sistematicamente disattese e aggirate. Partecipare più che inutile, potrebbe significare sottoporsi a una nuova presa di giro.

La riforma della giustizia compete a azioni costruttive del Parlamento non a cassazioni iniziatiche dei quesiti referendari.

Tra una settimana si terranno i ballottaggi. Ci sono partire aperte con conseguenti regolamenti di conti (Alessandria docet) che non lasciano dormire sonni tranquilli ai leader.

Il ribaltamento delle amministrazioni civiche, a responsabilità esclusiva dei leader che hanno imposto nominativi non graditi agli elettori,  potrà costituire l’inizio del sovvertimento del centralismo romano a vantaggio dei partiti regionali che si ergano con autorevolezza sul territorio e producano l’annientamento degli “evirati cantori”.

 

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Articolo pubblicato il 18/06/2022