Draghi si dimette. “Manca il patto di fiducia”, ma Mattarella respinge le dimissioni e lo rimanda alle Camere

Con il Dl Aiuti, il governo aveva incassato la fiducia al Senato con 172 sì, 39 no

Ieri i palazzi romani della politica e delle Istituzioni, hanno vissuto una giornata incandescente. In serata la situazione è ancora fumosa. Si attendono colpi di scena nei prossimi giorni.

Il governo in mattinata aveva incassato la fiducia al Senato sul decreto legge Aiuti con 172 sì, 39 no e nessun astenuto, con l’uscita dall’aula dei senatori grillini. Il provvedimento che scadeva il 16 luglio è salvo e sarà convertito in legge, pur con l’assenza di tutti i senatori M5S contrari al testo.

La prima conseguenza politica del non voto dei 5 Stelle a Palazzo Madama è la salita al Colle del presidente del Consiglio Mario Draghi per un colloquio con Mattarella.

A confortare gli italiani, prima di ogni mossa o decisione di Draghi,  ci pensa la Borsa. Lo spread tra Btp e Bund arriva ad un massimo di 222 punti, mentre il rendimento del decennale italiano è stabile nell'area del 3,44%.

Poco dopo a conclusione del consiglio dei ministri, Draghi si è recato al Quirinale per rassegnare le dimissioni ed ha dichiarato: “è venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo. In questi giorni da parte mia c'è stato il massimo impegno per proseguire nel cammino comune, anche cercando di venire incontro alle esigenze che mi sono state avanzate dalle forze politiche .Come è evidente dal dibattito e dal voto di oggi in Parlamento questo sforzo non è stato sufficiente”.

Draghi ricorda che “dal mio discorso di insediamento in Parlamento ho sempre detto che questo esecutivo sarebbe andato avanti soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo su cui le forze politiche avevano votato la fiducia. Questa compattezza è stata fondamentale per affrontare le sfide di questi mesi. Queste condizioni oggi non ci sono più”.

Draghi ha infine ringraziato la sua squadra “per i tanti risultati conseguiti. Dobbiamo essere orgogliosi di quello che abbiamo raggiunto, in un momento molto difficile, nell’interesse di tutti gli Italiani”.

All’uscita dal colloquio con il Capo dello Stato, il colpo di scena.

Il Quirinale emette un comunicato che dichiara: Il Presidente della Repubblica non ha accolto le dimissioni e ha invitato il Presidente del Consiglio a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata a seguito degli esiti della seduta svoltasi oggi presso il Senato della Repubblica.”

Lunedì e martedì Draghi si recherà ad Algeri per la firma di accordi inerenti le forniture petrolifere per i prossimi anni. Mercoledì affronterà le Camere per la parlamentarizzazione della crisi.

Intanto i grillini sono riuniti e a tardissima sera, la riunione dei gruppi parlamentari era ancora in corso.

Gli altri partiti stanno valutando gli scenari percorribili, per posizionarsi e non farsi trovare con il cerino in mano.

Lo scenario è quanto mai aperto. Non entriamo nel merito, considerato il momento, se sia un evento positivo la caduta del Governo Draghi, ormai paralizzato da veti incrociati.

Non riusciamo però a comprendere la logica seguita in queste ultime settimane, dal funambolo Conte.

Per interposta persona, mentre Draghi era impegnato a Madrid al summit del G7, si è dichiarato offeso a causa di presunte prese di posizione di Draghi nei suoi confronti.

Ha ribadito fedeltà al programma di governo, ma sottobanco, nonostante gli ingenti stanziamenti previsti dal DL Aiuti, pareva irrigidirsi per ostacolare la costruzione di un termovalorizzatore  idoneo a portar via da Roma il pattume e le incursioni di cinghiali.

Poi, ha negativamente reagito agli scandali ed ai reati connaturati all’elargizione del reddito di cittadinanza,  mentre gli italiani tirano la cinghia, colpiti dalla crisi.

Conte, contro tutti, ha difeso a spada tratta l’efficacia del provvedimento a favore in gran parte dei fannulloni e malfattori. Ora forse ha raggiunto il suo scopo, dimenticando che lui è stato presidente del consiglio per ben due volte.

Le nefandezze approvate dal suo governo (Arcuri, quota cento e reddito di cittadinanza) le ha firmate lui e dovrà risponderne agli italiani.

Ora si illude di poter fare il barricardero in tre mesi, rinnegando se stesso e per invertire la morte del M5S.

Non ha però capito che l’onanismo di Giuseppì Conte è incompatibile con la nuova stagione. Di Battista è già il candidato in pectore per la riscossa del movimento ed ha già enunciato il suo programma con un comunicato intriso di volgarità.

Vada come vada, Conte è finito. Per chi intenderà seguirlo, potrà incontrare Giuseppi Conte, ai giardinetti o sotto il piviale di qualche monsignore.

Gli altri, noi inclusi, ci arrangeremo.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 15/07/2022