Il lavoro cognitivo stanca come il lavoro fisico.

Una ricerca lo dimostra.

Spesso si pensa alle professioni intellettuali come a impieghi poco stancanti. Per alcuni, addirittura, l’idea preminente è: “ma che è un lavoro quello? Vai a scaricare cassette o cemento, quello sì che è lavoro”

Oppure ci si imbatte l’idea dell’immaginario collettivo genitoriale: “studia che così non dovrai faticare per vivere”.

Ebbene, ora la ricerca scientifica ha decretato quanto, in effetti, il lavoro intellettuale o cognitivo, sia stancante al pari del lavoro manuale.

I ricercatori dell'Università Pitiè-Salpetrière di Parigi, lo hanno dimostranto. La ricerca dimostra, valutando i processi di scambio biochimichi cerebrali, la correlazione, in termini di stanchezza, esistente tra un lavoro cognitivo prolungato per diverse ore, e il suo corrispettivo in attività manuale. Lo studio, descritto sulla rivista Current Biology, condotto dagli scienziati Mathias Pessiglione e Antonius Wiehler, ha utilizzato, come riferimento oggettivo, la spettroscopia di risonanza magnetica (MRS). Questo tipo di approccio ha permesso di monitorare le variazioni chimiche processate nel cervello durante una giornata di lavoro intellettuale intenso.

La modalità di esecuzione dello studio ha visto impegnati i volontari in compiti cognitivamente stancanti comparando i risultati con altri volontari impegnati in attività rilassanti. Stando a quanto scoperto dagli studiosi, comparando i dati, il lavoro mentale provoca l’accumulo di glutammato nelle sinapsi della corteccia prefrontale del cervello e di altri sottoprodotti considerati tossici.

Ciò avviene per fare in modo che ci si senta spinti a svolgere altri compiti più rilassanti e meno affaticanti. Uno dei segnali di tale sovraccarico di sostanze tossiche è la miosi (restringimento della pupilla). Pessiglione dichiara; "Diverse teorie hanno suggerito che la fatica rappresenta un'illusione generata dal cervello, per farci impegnare in azioni meno impegnative e più gratificante. I nostri risultati mostrano che il lavoro cognitivo si traduce in una vera alterazione funzionale che avviene allo scopo di preservare l'integrità del funzionamento del cervello".

"Le evidenze indicano che basta un pò di sano riposo per eliminare il glutammato dalle sinapsi - conclude Wiehler - per questo è fondamentale garantire che il cervello non subisca burnout. Il monitoraggio dei metaboliti prefrontali potrebbe quindi aiutare a rilevare un grave affaticamento mentale, il che potrebbe essere utile in caso di pianificazione di strategie e programmi di lavoro. Nei prossimi step, cercheremo di capire perchè la corteccia prefrontale sembra particolarmente suscettibile all'accumulo e all'affaticamento dovuto al glutammato. Valuteremo anche l'ipotesi che questi indicatori di affaticamento possano predire il recupero di condizioni di salute come depressione o cancro".

In più risulterbbe come tale affaticamento e il rpocesso di difesa cerebrale conseguente producente un controllo ridotto favorisca la scelta di azioni a basso sforzo con ricompense a breve termine. Anche a livello economico.

Link dell'articolo https://www.cell.com/current-biology/fulltext/S0960-9822(22)01111-3

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 16/08/2022