
Un articolo nostalgico del papà del nostro editorialista Giancarlo Guerreri dedicato a mio padre
Mettendo ordine in un cassetto ho finalmente trovato un foglio che cercavo da tempo: è a quadretti, ingiallito dal tempo, scritto con una grafia minuta e precisa. Leggendo i versi torno alla Torre del Mare di un tempo, quando tutti conoscevano tutti, dove le vie non avevano nome eppure la posta arrivava comunque, dove ogni rumore, a parte quello del mare, era rigorosamente bandito. Tant’è che quando comparvero i primi motorini, non era così strano per noi ragazzini essere piacevolmente “rinfrescati” da chi stava innaffiando il suo giardino e trovava il nostro passaggio poco consono alla pace che voleva godersi nella nostra Torre. Una magia che per fortuna continua in molti dei figli e nipoti di noi torremarini veri; quando sento gli amici dei miei figli definire Torre del Mare un posto magico, quando li sento combinare scherzosamente matrimoni tra i loro bambini, quando ne sento qualcuno disperarsi perché la casa di famiglia viene venduta o qualcun altro raccontare con soddisfazione che ne ha comprata una nuova, sento che va tutto bene e che i problemi si risolveranno.
Nella Torre del Mare degli anni sessanta, in una calda mattinata d’agosto, mio padre e il dottor Guerreri s’incontrarono per strada, probabilmente dopo uno di quegli acquazzoni che non rinfrescano, ma lasciano solo tanta umidità. E altrettanto probabilmente, immagino, mio padre, voleva insegnare a mia sorella Donatella che dopo la pioggia è facile imbattersi in lumache che scivolano silenziosamente tra i fili d’erba; e naturalmente la bambina avrà voluto prenderne qualcuna per osservarla meglio.
Ecco come l’autore ha scherzosamente rivisitato la scena.
Dai “Ricordi della giovinezza”
Era un mattin d’agosto caldo e afoso
E tu scendevi lentamente a valle
Sparuto in viso, curvo sulla spalle
Lo sguardo assente, forse timoroso.
Lessi negli occhi tuoi pieni di pudore
Il segno della fame e del dolore.
Azzurro il cielo era, il mare chiaro
io ti ricordo, Nando er lumacaro.
A dritta a manca tu posavi il guardo
Tra le sozzure del giardin fiorito
E nella terra tu cacciavi il dito
Senza ritegno alcun senza riguardo.
Ai piedi delle piante e dell’amaca
Avido ricercavi la lumaca.
Azzurro il cielo era, il mare chiaro
io ti ricordo, Nando er lumacaro.
Pallida una bimbetta ti aiutava
Sognando desinare di molluschi
E perdonando i modi tuoi sì bruschi.
Cattiva consigliera è mamma fame
E dure da placar son le sue brame.
Tu Nando nascondevi nel secchiello
L’animaletto in guscio oppure nudo
Che l’avria, Lella, mangiato pure crudo.
Azzurro il cielo era, il mare chiaro
io ti ricordo, Nando er lumacaro.
Son cinque quelle bocche spalancate
Che pel languor se ne vengon meno;
ohibò m’ero scordato poi del Treno.
Tanto per completare l’esegesi, si fa per dire, del testo, Nando è ovviamente mio padre e Treno era il nome del nostro cane. Ma ora mi chiedo: erano a spasso o nel nostro giardino? Peccato non poterlo più chiedere a nessuno dei due.
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Articolo pubblicato il 08/10/2022