Governo Meloni, chi ben comincia…

Ieri alla Camera dei Deputati l’esordio di Giorgia Meloni che presenta il governo ed ottiene il voto di fiducia, con 235 SI.

Al suo debutto da Presidente del Consiglio davanti alla Camera dei Deputati, Giorgia Meloni si lascia alle spalle gli auguri non solo formali di capi di Stato e dei vertici dell’UE che hanno apprezzato lo stile ed il modo con il quale intende confrontarsi con le Istituzioni dalle quali è sempre stata messa all’indice, in quanto ritenuta al di fuori del conformismo del pensiero unico.

Avremo modo di ritornare in modo maggiormente dettagliato su specifici punti del suo programma. Ci ha colpito come sui temi caldi all’ordine del giorno, dalla crisi energetica, ai rapporti con l’UE, alle politiche comunitarie, non abbia alzato un muro invalicabile, e tanto peggio sia partita allo scontro, caratterizzando le sue aperture, nel confermare che l’Italia ed il governo sono ben collocati nel solco dell’Occidente e dell’Atlantismo, con pari dignità e consapevolezza.

Giorgia Meloni, pur giovane di età, non ha certo chinato il capo, ma si è rifatta ai presupposti che dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, partendo dal Manifesto di Ventotene e mirando alla pace, portarono i sei Paesi fondatori, tra cui l’Italia a far nascere la comunità Europea, ove libertà e pari dignità la facevano da padroni. E se nei palazzi di Bruxelles qualcuno dovrà riflettere sulle derive insane del percorso fatto, da oggi sarà chiaro che l’Italia si muove rivendicando dignità ed attenzione, nel solco del Trattato di Roma, pur non ricalcando la ventennale servitù ed appiattimento al volere degli altri, accettati in anni passati e da governi diversissimi.

Oggi, confortati dal voto popolare chiaro e netto, si volta pagina!

Al centro del discorso programmatico di Giorgia Meloni, durato un’ora e 10 minuti e intervallato da 72 applausi ed ovazioni non solo da parte della maggioranza, risaltano, l’economia e l’Europa.

E proprio dai grandi mali del Vecchio Continente il premier ha voluto dare il là al suo intervento. Un’Europa in cui il governo italiano crede fermamente ma che oggi sconta ancora troppe divisioni, troppe fratture e troppi egoismi.  Emerge subito il tema caldo che angoscia imprese e famiglie.

Meloni ha in questo senso citato: “Come è possibile che un progetto comunitario nato oltre 70 anni fa come unione dell’energia e del carbone, oggi ancora non sia riuscito a dare vita a una convergenza sui grandi temi dell’energia. Questo è un problema che non possiamo ignorare”, ha messo in chiaro la leader di Fratelli d’Italia.

“Non concepiamo l’Europa come un circolo elitario con soci di serie a o b, o come una società per azioni con un cda per tenere i conti in ordine, ma come la casa comune dei popoli europei. I segnali arrivati dall’ultimo Consiglio europeo rappresentano un passo avanti, raggiunto anche grazie all’impegno del mio predecessore e del ministro Cingolani, ma sono ancora insufficienti. L’assenza, ancora oggi, di una risposta comune lascia spazio alle misure dei singoli governi nazionali, che rischiano di minare il mercato interno e la competitività delle nostre imprese. Sul fronte dei prezzi, se da un lato è vero che il solo aver discusso di misure di contenimento ha frenato momentaneamente la speculazione, dall’altro dobbiamo essere consapevoli che se non si darà rapidamente seguito agli annunci con meccanismi tempestivi ed efficaci la speculazione ripartirà”.

Il fulcro del programma del governo Meloni non poteva non essere il buco nero dell’inflazione e della crisi energetica che tra pochi mesi inghiottiranno la ripresa post-pandemica, spazzando via il capitale accumulato in termini di Pil nel 2022.

Qui, il premier ha preso la questione partendo dal fattore tempo: “siamo nel pieno di una tempesta, la nostra imbarcazione ha subito dei danni importanti e adesso gli italiani ci hanno dato un mandato preciso, ovvero portare la nave in porto. Ma attenzione, non dimentichiamoci mai una cosa. La nostra, da qualunque parte la si voglia vedere, rimane la nave più bella del mondo”.

Poi, l’inciso sulle bollette, il grande spauracchio di famiglie e imprese. “Sarà necessario mantenere e rafforzare le misure nazionali a supporto di famiglie e imprese, sia sul versante delle bollette sia su quello del carburante. Un impegno finanziario imponente che drenerà gran parte delle risorse reperibili, e ci costringerà a rinviare altri provvedimenti che avremmo voluto avviare già nella prossima legge di bilancio. Ma la nostra priorità deve essere mettere un argine al caro energia e accelerare in ogni modo la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e la produzione nazionale”.

Altro caposaldo, la crescita, vero rimedio contro la recessione. “La strada per ridurre il debito non è la cieca austerità imposta negli anni passati e non sono neppure gli avventurismi finanziari più o meno creativi. La strada maestra è la crescita economica, duratura e strutturale. Ci è stato chiesto come intendiamo tranquillizzare gli investitori a fronte di un debito al 145% del Pil, secondo in Europa soltanto a quello della Grecia. Potremmo rispondere citando alcuni fondamentali della nostra economia, che rimangono solidi nonostante tutto: siamo tra le poche nazioni europee in costante avanzo primario, ovvero lo Stato spende meno di quanto incassa, al netto degli interessi sul debito. Il risparmio privato delle famiglie italiane ha superato la soglia dei 5 mila miliardi di euro e, in un clima di fiducia, potrebbe sostenere gli investimenti nell’economia reale. Ma ancor più di questi dati, già significativi, sono importanti le potenzialità ancora inespresse che ha l’Italia”.

Dunque, “mi sento di dire che se questo governo riuscirà a fare ciò che ha in mente, scommettere sull’Italia potrebbe essere non solo un investimento sicuro, ma forse perfino un affare. Perché l’orizzonte al quale vogliamo guardare, non è il prossimo anno o la prossima scadenza elettorale, quello che ci interessa è come sarà l’Italia tra dieci anni”.

Ma c’è un passaggio che più di tutti ha dato la cifra della melonomics. Quella di un ritorno dello Stato al centro dell’industria. Il premier, al termine dell’ennesimo applauso, ha fatto una premessa. “Il Pnrr non si deve intendere soltanto come un grande piano di spesa pubblica, ma come l’opportunità di compiere una vera svolta culturale. Archiviare finalmente la logica dei bonus, per alcuni, utili spesso soprattutto alle campagne elettorali, in favore di investimenti di medio termine destinati al benessere dell’intera comunità nazionale. Rimuovere tutti gli ostacoli che frenano la crescita economica e che da troppo tempo ci siamo rassegnati a considerare mali endemici dell’Italia”.

E proprio sugli investimenti Meloni ha messo in chiaro le cose, chiamando indirettamente in causa quei Paesi che negli anni hanno fatto man bassa di imprese italiane. “Basta con i predoni, ben venga chi decide di venire qui e investire, ma per il bene e il benessere dell’Italia. Non accetteremo più logiche predatorie”. Poi, l’affondo, a cominciare da Tim e dalla rete unica. “Intendiamo tutelare le infrastrutture strategiche nazionali assicurando la proprietà pubblica delle reti, sulle quali le aziende potranno offrire servizi in regime di libera concorrenza, a partire da quella delle comunicazioni. La transizione digitale, fortemente sostenuta dal Pnrr, deve accompagnarsi alla sovranità tecnologica, al cloud nazionale e alla cyber-security”.

Non è finita. “Vogliamo finalmente introdurre una clausola di salvaguardia dell’interesse nazionale, anche sotto l’aspetto economico, per le concessioni di infrastrutture pubbliche, come autostrade e aeroporti. Perché il modello degli oligarchi seduti su dei pozzi di petrolio ad accumulare miliardi senza neanche assicurare investimenti non è un modello di libero mercato degno di una democrazia occidentale”.

E che non ci sia crescita senza un allentamento fiscale, nel governo Meloni lo sanno bene. Per questo un altro passaggio chiave ha riguardato le tasse e la lotta senza quartiere ai bonus a pioggia. “Il reddito di cittadinanza, oggi possiamo dirlo è una sconfitta. Semmai, è l’ora di una rivoluzione copernicana da cui dovrà nascere un nuovo patto fiscale, che poggerà su tre pilastri. Il primo: ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie attraverso una riforma all’insegna dell’equità, con la progressiva introduzione del quoziente familiare l’estensione della tassa piatta per le partite Iva dagli attuali 65 mila euro a 100 mila euro di fatturato. E, accanto a questa, introduzione della tassa piatta sull’incremento di reddito rispetto al massimo raggiunto nel triennio precedente”.

Si tratta, ha spiegato Meloni, di “una misura virtuosa, con limitato impatto per le casse dello Stato e che può essere un forte incentivo alla crescita. Il secondo: una tregua fiscale per consentire a cittadini e imprese in difficoltà di regolarizzare la propria posizione con il fisco. Il terzo, una serrata lotta all’evasione fiscale a partire da evasori totali, grandi imprese e grandi frodi sull’Iva con una vera lotta all’evasione e non caccia al gettito”, “accompagnata da una modifica dei criteri di valutazione dei risultati dell’Agenzia delle Entrate, che vogliamo ancorare agli importi effettivamente incassati e non alle semplici contestazioni, come incredibilmente avvenuto finora”.

Ancora, un taglio secco al costo del lavoro, ribadisce Giorgia Meloni. “Imprese e lavoratori chiedono da tempo, come priorità non rinviabile, la riduzione del cuneo fiscale e contributivo. L’eccessivo carico fiscale sul lavoro è uno dei principali ostacoli alla creazione di nuova occupazione e alla competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali. L’obiettivo che ci diamo è intervenire gradualmente per arrivare a un taglio di almeno cinque punti del cuneo in favore di imprese e lavoratori, per alleggerire il carico fiscale delle prime e aumentare le buste paga dei secondi”.

Non poteva mancare, un riferimento alla madre di tutte le battaglie della Lega, azionista di governo insieme a Forza Italia: le pensioni e lo stop al ritorno alla legge Fornero, ovvero all’uscita dal lavoro a 67 anni. “Tutele adeguate vanno riconosciute anche a chi dopo una vita di lavoro va in pensione o vorrebbe andarci. Intendiamo facilitare la flessibilità in uscita con meccanismi compatibili con la tenuta del sistema previdenziale, partendo, nel poco tempo a disposizione per la prossima legge di bilancio, dal rinnovo delle misure in scadenza a fine anno”.

Nella serata di ieri, lo scontato voto di fiducia che si ripeterà oggi al Senato con 235 voti favorevoli, 154 voti contrari e 5 astenuti. Hanno votato 389 deputati su 400.

Tra gli interventi dell’opposizione, Enrico Costa per Azione, pur rivendicando il diritto di critica, ha manifestato attenzione per i provvedimenti che il suo partito riterrà di condividere.

Distruttivi e privi di spunti originali, l’intervento di Giuseppì Conte e, farcito di luoghi comuni quello di Enrico Letta. C’è poi stato un botta e risposta fra la presidente del consiglio, Giorgia Meloni e la capogruppo del Pd, Debora Serracchiani che, nel corso del dibattito, aveva parlato di donne che stanno un passo indietro agli uomini. Quando Meloni le ha risposto che il suo ruolo dimostra che lei non è così, dai banchi del centrosinistra si è alzata qualche voce di protesta, e l’affondo è stato avvertito netto e deciso.

Ora, la prova dei fatti, perché l'unica cosa che non può permettere, e permettersi, il centrodestra è che questo Paese rimanga fermo.

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Articolo pubblicato il 26/10/2022