La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

31 dicembre 1985: «Ho ucciso mio marito» ... «Manca una cultura del matrimonio»

A Torino, martedì 31 dicembre 1985, poco dopo le 11:00, una donna si presenta alla caserma dei Carabinieri di via Guido Reni 62. È Clorinda O., di 40 anni, e allo stupefatto piantone dice: «Arrestatemi. Ho avvelenato mio marito».

Gli accertamenti su queste dichiarazioni sono immediati. Un sottufficiale dialoga con la donna e intanto una pattuglia del nucleo radiomobili si avvia alla sua abitazione, sita in via Fratelli Passoni in Borgata Parella.

Questo delitto di fine anno 1985 ci viene così narrato da un anonimo articolo de La Stampa del successivo 2 gennaio1986, a pagina 12:

 

I militari suonano a lungo, bussano ripetutamente senza ottenere risposta. Proprio quando stanno per abbattere la porta a spallate, ecco che l’uscio si apre. «Chi è?», chiede un uomo con la voce assonnata. I militari lo identificano per Luigi P., 47 anni, il marito della donna che ha appena «confessato» di averlo ucciso.

L’uomo dice di sentirsi un po’ assonnato, ma di stare benissimo. I carabinieri, a scanso di equivoci, lo accompagnano al Nuovo Martini; una rapida visita, una prognosi di tre giorni per lieve «intossicazione da farmaci», poi la dimissione.

La donna è incredula. Al sottufficiale che le racconta la situazione, replica: «Ho versato trenta gocce di tranquillante nel vino della cena. Come mai non è morto?». Ed è ancora più incredula quando il carabiniere le spiega che non l’arresterà, e che anzi può tornare subito a casa. A suo carico, per il momento, non c’è nulla.

Il delitto, in realtà, è un «reato impossibile»: con trenta gocce di quel tranquillante non avrebbe mai potuto uccidere.

Solo il pretore (*), valutato il referto dell’ospedale e una probabile perizia sul farmaco, stabilirà se procedere d’ufficio per «lesioni personali» ai sensi dell’articolo 682 del codice penale. Un’eventuale condanna sarà comunque lieve, quasi certamente inferiore al periodo minimo previsto dal codice (tre mesi), anche perché pare che il marito abbia già perdonato.

 

Tutto bene quel che finisce bene? Ne sappiamo troppo poco per ipotizzare i successivi scenari della vita della coppia formata da Clorinda e Luigi. Mettendosi nei panni di questo marito, viene da chiedersi se ogni tanto - al momento del pranzo e della cena - non si sia, almeno per un attimo, chiesto se Clorinda avesse perfezionato le sue nozioni tossicologiche...

È curioso che nella stessa pagina de La Stampa del 2 gennaio1986 compare un articolo, a firma di Massimo Boccaletti, intitolato «Manca una cultura del matrimonio».

L’autore si chiede se Torino sia capitale delle separazioni e dei divorzi. Pare proprio di sì, secondo i dati emersi da un dibattito che si è svolto qualche settimana prima al Club Turati: «nella nostra città la percentuale delle famiglie in crisi è sensibilmente più alta di quella registrata in altre regioni: su un totale di 10-11 mila divorzi l’anno in Italia, 4-500 si decidono nella sola Torino. Nell’84 ne sono stati registrati addirittura 1264». Boccaletti prosegue ricordando che nel 1985 «a tutto ottobre, i divorzi erano già oltre un migliaio» mentre le separazioni «sono invece circa 3500 l’anno: lo stesso numero di una città come Milano che ha una popolazione più numerosa».

Triste primato, certamente, ma divorzio e separazione paiono sempre meglio delle «gocce di tranquillante nel vino»...

 

(*) Il pretore era il magistrato al tempo competente per giudizi civili e penali di limitata entità; è stato soppresso nel 1998 e sostituito con il tribunale monocratico (giudice unico di primo grado).

Un piccolo giallo al vaglio dei carabinieri / «Ho ucciso mio marito» Ma l’uomo è a dormire, La Stampa 02/01/1986 - pagina 12.

Massimo Boccaletti, «Manca una cultura del matrimonio», La Stampa 02/01/1986 - pagina 12.

 

Foto di Gutife e di Mohamed Hassan da Pixabay.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 31/12/2022