Cronache criminali del passato

Un «tristo soldato» e «Un orribile misfatto a Vercelli»

Navigando in rete, in particolare in Google Libri, capita di imbattersi in vecchie pubblicazioni ottocentesche che altrimenti risulterebbero di fatto inarrivabili. È il caso del Bullettino (sic!) Ufficiale della Direzione Generale delle Carceri, anno XII – 1882.

Oltre alla raccolta di leggi del settore, disposizioni sul personale, relazioni sulle prigioni nazionali e di altre nazioni, studi scientifici, il Bullettino dispone di una Parte Non Ufficiale, dove sono riprese dalla cronaca dei giornali episodi più o meno clamorosi di cronaca nera che possono incuriosire il lettore – che si suppone un addetto ai lavori – anche al di là del suo mero interesse professionale.­

Nel Bullettino del 1882 troviamo due di queste notizie riguardanti personaggi piemontesi, in verità assai poco raccomandabili, notizie che curiosamente provengono dal quotidiano romano Il Fanfulla.

La prima notizia riguarda un grave episodio di ammutinamento da parte di un soldato del Reggimento Cavalleria Piacenza (18°), al tempo di stanza a Lucca. La leggiamo nel datato linguaggio dell’epoca, che usa l’aggettivo “tristo” come sinonimo di “malvagio, perverso”:

Tristo soldato. - Scrivono da Lucca, li 4 maggio al giornale Il Fanfulla: Ieri a sera nella caserma del reggimento cavalleria Piacenza avvenne uno di quei fatti che, secondo l’articolo 125 del codice militare, si puniscono con morte.

Il soldato Parrini Giovanni, nato a Lenta, del distretto militare di Vercelli rientrava in quartiere un’ora dopo la ritirata.

Il tenente di picchetto Messina Francesco di Bari lo puniva con la consegna in quartiere.

Il Parrini, borbottando, andò a spogliarsi e frattanto si armò di un coltello da tavola; tornò poi vicino alla stanza di picchetto o disse al sergente che voleva parlare coll’ufficiale. Il sergente, che forse immaginò qualche sinistra intenzione nel Parrini, si oppose e lo redarguì severamente. Il tenente Messina, udito che si altercava, saltò fuori ed anch’esso rimproverò il Parrini del suo contegno, minacciandogli la prigione, ma questi estratto il coltello si faceva addosso al tenente e gli ammenava un forte colpo all’inguine.

Il sergente di servizio e i soldati di guardia si fecero addosso ai Parrini per arrestarlo, ma egli, afferrato un moschetto, si dispose a difendersi contro tutti; non fu senza difficoltà che il Parrini poté essere disarmato e condotto in prigione; nella mischia egli riportò una ferita leggiera di sciabola alla testa ed una contusione alla guancia sinistra.

Il tenente Messina fu ferito dalla parte interna ed anteriore della coscia destra, distante circa dieci centimetri dalla piega dell’inguine corrispondente, con lesione dei tessuti sottoposti e coll’interesse della vena safena interna, da cui la gran quantità di sangue perduto.

La ferita del Messina è grave, ma è certo che guarirà se non sopravvengono complicazioni. Egli fu trattenuto nella stanza di picchetto e curato prontamente.

A questo punto il cronista de Il Fanfulla si lancia in considerazioni che potremmo definire lombrosiane per delineare ai suoi lettori la personalità patologica del soldato feritore:

Il soldato Parrini fu già condannato per diserzione ad un anno di carcere ed a cinque anni di reclusione per insubordinazione con vie di fatto contro un sergente. Egli è della classe del 1851 e trovasi ancora sotto le armi; ha passato quasi tutti questi undici anni fra la reclusione, la prigione e la consegna. Era insomma un cattivissimo soggetto.

Il Parrini ha gran parte del corpo tatuato; attraverso al petto, dal lato destro, si legge: «amo la libertà». Alla larga da certi amori!

Undici anni di servizio militare trascorsi «fra la reclusione, la prigione e la consegna»! Decisamente un record che ci autorizza a pensare che Parrini fosse sicuramente un cattivissimo soggetto, ma anche un po’ fuori di testa.

Interessante il riferimento ai tatuaggi del feritore, visti come preciso sintomo di devianza: oggi, a 140 anni di distanza, una valutazione del genere sarebbe improponibile... A proposito di confronti col presente, sottoponiamo questo racconto all’attenzione di tutti coloro che nei social sostengono l’idea di rimettere in vigore la leva militare obbligatoria perché risulta formativa per i giovani.

Questa la conclusione dell’articolo:

Il tenente Messina ebbe ieri a sera una dimostrazione d’affetto da tutti i suoi commilitoni che in un istante si strinsero intorno a lui per circondarlo di tutte quelle cure di cui potesse abbisognare.

L’intero reggimento si dimostrò dispiacente dell’accaduto e così pure la cittadinanza, nella quale il Messina conta già molti amici.

Non conosciamo come si sia risolta questa vicenda, se il tenente Messina sia guarito senza complicanze e se il soldato Giovanni Parrini sia stato effettivamente condannato a morte e fucilato. Non è un’ipotesi remota, due anni dopo, il 21 giugno 1884, a Napoli verrà fucilato Salvatore Misdea (Girifalco, 1862), militare del 19º Reggimento Fanteria, condannato dal Tribunale Militare di Napoli come colpevole di strage, per aver ucciso alcuni commilitoni e ferito diversi altri, mentre era in preda a un raptus.

Se questo primo racconto presenta un cattivo soldato originario della provincia di Vercelli, il secondo si svolge addirittura in questa città:

Un orribile misfatto a Vercelli - Un mostro di venti anni, Giuseppe Pagliasso, uccise la vecchia madre che dormiva nel suo letto, frugò nel pagliericcio per rubare trenta lire che la poveretta vi aveva nascoste, e andò freddamente all’osteria, dove le trenta lire furono consumate con alcuni compagni di stravizi.

Questo mostro ebbe il coraggio di tornare in quella stanza, e muovere sua madre dal letto, per vendere il pagliericcio a un ebreo [al tempo l’attività di rigattiere era molto spesso esercitata da persone di religione ebraica, il termine non è usato in senso dispregiativo, N.d.A.]. Ma l’ebreo, viste le macchie di sangue, non ne volle sapere.

Il giorno dopo, l’assassino andò a trovare suo fratello, un onesto operaio, al quale raccontò la scena, come nulla fosse. - Mi direte che era matto - Non so ma è certamente uno dei più tranquilli scellerati che si siano mai visti.

- La vita ha di queste orrende anomalie. (Capitan Fracassa)

Il cronista narra questo tragico episodio in modo da colpire la fantasia dei suoi lettori con le malefatte di questo uccisore della madre. Un anticipo del comportamento malvagio di Franti nei confronti della madre (E quell’infame sorrise), che sarà descritto da Edmondo De Amicis nel 1886. Non sono riportate notizie sull’iter giudiziario di questo delitto, pare scontato che sia stato arrestato e che sarà severamente giudicato e adeguatamente punito. E su questo tema non intendiamo fare confronti col passato...

Ricordiamo in conclusione che il comune di Lenta ha avuto un attimo di celebrità tra novembre e dicembre del 1974, quando una disagiata caserma posta nel suo territorio freddo e brumoso era stata ribattezzata “caserma delle nebbie” e si diceva che molti militari vi si fossero ammalati di tubercolosi.

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Articolo pubblicato il 01/01/2023