La musica nella tradizione ebraica

Esiste una musica etichettabile come ebraica?

In tempi di ecumenismo e dialogo interreligioso si sente parlare di necessità di comunicazione e confronto con le realtà religiose diverse dalla nostra. In modo particolare il mondo cristiano ha sempre subito il confronto con quello ebraico.

In ambito puramente filosofico questo ha scatenato diverse interpretazioni e non poche diatribe, in abito teologico ci sono stati secoli di freddezza e ideologica belligeranza, in ambito musicale le cose sono state leggermente più semplici.

La musica, avendo un linguaggio universale, riesce ad unire anche le persone più radicali rendendole decisamente più malleabili.

Innanzitutto va detto che quando si parla di musica nella tradizione ebraica bisogna tener presente che – come scrive il Professor Enrico Fubini – “della musica dell’epoca del Tempio ben poco si può dire, per mancanza di notizie precise e di qualsiasi documentazione storica attorno a essa, a eccezione della Torà. Tuttavia costituisce nei secoli un punto di riferimento per assenza e per opposizione”.

Chi conosce un poco la storia del Popolo Ebraico sa quanto queste persone tengano alle tradizioni e sa anche che vi sono ritualità che il mondo giudaico si porta appresso da quasi tremila anni. Questo, però, inspiegabilmente, non è avvenuto nel contesto musicale.

Sempre il professor Fubini, infatti, ci fa notare che “la musica della sinagoga o meglio il canto sinagogale non ha nulla a che vedere con la musica del Tempio di Gerusalemme: ne è in qualche modo l’antitesi, vuole essere una presenza che ricorda continuamente l’irrimediabile assenza”.

Entrambe le espressioni musicali usate dagli Ebrei devoti sono fondate sulla Bibbia e sono animate da un amore ed una devozione verso il Signore sincere e commoventi. Ciò nonostante, quando si parla di musica ebraica, la base da cui partire non può e non deve essere la “musica sinagogale”.

Ma quali canoni deve avere allora un brano musicale per essere considerato ebreo?

Nel secolo scorso, nei conservatori e nelle aule di musicologia, questa domanda è stata più volte posta e altrettante volte dissertata ma una risposta unanime e definitiva non è mai stata formulata.

Il professor Fubini, docente di Estetica Musicale all’Università degli Studi di Torino, provando a dare una risposta all’eterna diatriba, formulò questo pensiero: “Dire che la musica di Mahler non ha nulla a che vedere con l’ebraismo può essere altrettanto paradossale che affermare che la musica di Mahler è tipicamente ebraica e lo stesso può valere per Schonberg. D’altra parte questi e tanti altri musicisti ebrei, a partire dal Romanticismo, trovano pacificamente posto in tutte le storie della musica europea, e si può ignorare per lo più la componente ebraica della loro personalità, considerando, forse con ragione, che conta assai di più la loro piena appartenenza al grande fiume della cultura e della musica cristiano-occidentale”.

Analisi interessante e di assoluto buon senso specialmente se si considera che nei conservatori si è sempre fatto lo stesso discorso anche per la musica protestante. Alcuni docenti, specialmente quelli di nazionalità tedesca e di fede luterana, sostengono che il virtuosismo e la solennità delle composizioni di Johann Sebastian Bach siano frutto della sua sequela di Lutero.

Per tutta risposta i docenti cattolici hanno sostenuto che il sinfonista Anton Bruckner abbia partorito delle magnifiche composizioni per via della sua fedeltà al Cattolicesimo Romano.

Dinanzi ad una simile argomentazione diventa impossibile qualsivoglia forma di dialogo.

Tornando alla musica del popolo giudaico il professor Fubini conclude il suo pensiero dicendo che “prima della Rivoluzione Francese a nessuno sarebbe venuto in mente di chiedersi quale fosse la musica ebraica perché era chiaro che essa esisteva, viveva e prosperava, pur nelle sue molteplici manifestazioni, là dove vi era una comunità ebraica: bastava penetrare nel chiuso delle sue mura per ascoltarla, per cogliere la sua specificità e anche le sue più problematiche parentele con l’altra musica, quella che risuonava fuori dai ghetti”.

In parole povere si può dire che la musica suonata e cantata nei ghetti era sicuramente più autentica ed aderente alle tradizioni giudaiche. Con l’apertura di questi anche la musica ebraica ha avuto una contaminazione inevitabile che l’ha uniformata maggiormente alla tradizione musicale non squisitamente giudaica.

Il tutto, com’è ovvio, non si può concludere con queste ultime affermazioni semplici e riepilogative ma andrebbe analizzato nazione per nazione. In Israele, per esempio, vi sono delle forme di musicalità che il mondo ebraico europeo non ha mai conosciuto.

La cosa non deve stupire se si considera che in quello Stato, a maggioranza ebraica, la cultura e la tradizione del Popolo Giudaico hanno un radicamento ed un consolidamento totalmente diverso da quello che possono avere in Italia, in Polonia o in Spagna.

Importante è, quando si parla di arte e di cultura, non fermarsi all’apparenza, al nome dell’autore o alla provenienza dell’opera ma andare in profondità cercando di coglierne la vera essenza ed il significato intrinseco che essa porta con sé.

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Articolo pubblicato il 09/02/2023