La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Brigadiere Luigi Rovelli, comandante la stazione dei Carabinieri del Regio Parco

La cronaca domenicale che lunedì 10 ottobre 1887 viene riportata dalla Gazzetta Piemontese non ha il tono consueto di bollettino di guerra: si apre con la Mostra internazionale di macchine e attrezzi per i Pompieri che il Municipio ha prorogato al 1° novembre e descrive un serraglio di animali feroci che esibisce anche un elefante ammaestrato.

La nera annovera una rissa in via Madama Cristina n. 89, risultata fatale per un sellaio di Novara venuto in visita per pochi giorni al fratello residente a Torino. È stato ucciso con un colpo di zappa alla testa, inferto lungo le scale da un vicino di casa, poi arrestato. Si registra, oltre ad un cavallo imbizzarrito alla Barriera di Milano, un modesto furto all’Ospedale di San Luigi e l’arresto di alcuni ricercati.

Quello che sarà il caso più rilevante, inizialmente è sfuggito ai cronisti a causa della sua apparente banalità.

Nella mattina di domenica, infatti, è stato trovato nelle vicinanze del Regio Parco, in un prato della regione Maddalene, il carrettiere Luigi Rachetto, di 37 anni, originario di Chivasso, gravemente ferito. È stato raccolto da una guardia campestre e da un carabiniere e trasportato d’urgenza all’Ospedale di San Giovanni, dove è morto il giorno seguente, senza poter pronunciare parola.

La morte di Rachetto viene inizialmente attribuita a una disgrazia: il carrettiere era un forte bevitore, nel mattino di domenica ha esagerato con le libagioni ed è così caduto al suolo battendo la testa su un sasso. È rimasto così gravemente ferito, tanto da venire a morte. Questa versione è ribadita dalla stessa Gazzetta Piemontese di giovedì 13 ottobre 1887, sotto il titolo Ancora sulla morte del Rachetto:

Ieri abbiamo annunciato la morte del carrettiere Rachetto Luigi, […] in principio si supponeva che si trattasse di un delitto, ora si è messo in chiaro che il Rachetto fu vittima d’una disgrazia, poiché essendo ubbriaco fradicio, cadde più volte al suolo battendo colla testa sui sassi.

Entra in scena a questo punto il brigadiere Luigi Rovelli, comandante la stazione dei Carabinieri del Regio Parco, un sottufficiale dalle indubbie capacità investigative, attivo e diligente, che nel mese di settembre ha saputo scoprire gli autori di un incendio, appiccato volontariamente al fienile di un lavandaio e da tutti ritenuto fortuito.

Anche in questo caso, in regione Maddalene è opinione diffusa che Rachetto sia stato vittima dell’alcoolismo: «Si è ferito cadendo e ricadendo per la sbornia che aveva», ripetono tutti concordi.

Le indagini svolte dal brigadiere Rovelli accertano che nel mattino del 9 ottobre Rachetto si è accapigliato con la moglie, Anna Cena, di 34 anni. Un’altra donna è accorsa in aiuto della moglie e così Rachetto è stato più volte gettato a terra.

Sulla base di queste informazioni, il giudice istruttore emette un mandato di cattura contro la moglie di Rachetto e contro la seconda donna, Maria Saglio, di 54 anni. Le due sono arrestate e condotte nella camera di sicurezza della stazione. Abilmente interrogate dal brigadiere, finiscono per confessare che il vero autore delle percosse inferte a Rachetto è Giuseppe Rolle, lavorante in tabacchi di 50 anni. È stato Rolle a colpirlo con una bastonata in testa che ha prodotto la ferita mortale, loro lo hanno soltanto aiutato nell’impresa criminosa, così almeno sostengono le due arrestate.

Questa essenziale ricostruzione dell’omicidio di Luigi Rachetto appare sulla Gazzetta Piemontese del 3 novembre 1887 sotto il titolo La scoperta di un delitto. Il giorno seguente il giornale annuncia l’arresto di Giuseppe Rolle, fino ad allora latitante, effettuato mercoledì 2 novembre dai Carabinieri di Regio Parco. Alcuni aspetti della vicenda sono lasciati in ombra, in particolare la natura dei rapporti tra la moglie e l’omicida. Emerge per contro la capacità investigativa del brigadiere, che riceve un ben meritato encomio solenne dalla Legione di Torino per la duplice soluzione di due delitti che potevano restare impuniti.

La notizia compare su Il Carabiniere del 30 giugno 1888, N. 26.

Da questo giornale apprendiamo le informazioni a proposito delle indagini per identificare l’autore dell’incendio doloso a cui si è prima accennato. È avvenuto nella notte fra il 13 e il 14 settembre 1887, ed è così descritto dalla Gazzetta Piemontese del 14 settembre 1887, col titolo Fuoco all’Abbadia di Stura.

La scorsa notte la stazione delle guardie rurali di Bertoulla fu avvertita d’un incendio che si era manifestato nel fienile della casa Converso Pietro, in regione Magra (Abbadia di Stura), tenuta in affitto dal [lavandaio] signor Scarafiotti Domenico. Si recarono immediatamente sul luogo tre guardie rurali colla pompa di cui sono provviste tutte le stazioni suburbane, nonché il dottore del distretto signor Magnetti, ed al loro giungere al diede subito mano al lavori di isolamento. Le guardie riuscirono non solo a domare l’incendio, ma impedirono che si estendesse alle case abitate.

Arrivarono intanto i pompieri da Torino, guidati dal loro comandante cav. Spezia, e compirono le operazioni di estinzione. Alle ore 2 tutto era finito, e pompieri e guardie rientrarono alle loro caserme.

Sono meritevoli di speciale encomio i terrazzani Corgiat Bernardo, Dutto Giovanni, Fenoglio Michele e Massa Gervasio per l’efficace aiuto prestato alle guardie ed ai pompieri.

Non si hanno a deplorare disgrazie gravi, tranne due guardie campestri che riportarono leggiere lesioni alle gambe con lacerazione dei calzoni.

Il danno sofferto dal fabbricato si calcola di un migliaio di lire, quello dell’affittavolo a L. 300 circa.

Le indagini condotte dal brigadiere Rovelli sono così descritte dal giornale Il Carabiniere prima citato:

Da principio fu comune opinione che tale incendio fosse stato fortuito, ma il solerte sottufficiale abilmente, e con perseveranza, indagando, seppe scoprirne l’autore nella persona di tal lavandaio Pozzi e mettere in chiaro il movente e le modalità dell’incendio, movente determinato da rancori a cagione di confine di terreno, modalità riassumentisi nell’aver gittato un tizzone acceso su nel fienile mentr’egli la notte dell’incendio faceva il bucato in vicinanza del fienile stesso.

Né giovò al Pozzi il recarsi subito nel comune di San Mauro Torinese onde allontanare i sospetti a suo carico, ché il brigadiere le denunziò alla giustizia ed egli venne arrestato il 3 novembre 1887.

Questa nostra rievocazione delle abili investigazioni del brigadiere Rovelli dei Carabinieri del Regio Parco nel 1887 è anche occasione per riportare alla luce, almeno per un momento, due gravi episodi della microstoria del periferico quartiere torinese.

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Articolo pubblicato il 16/06/2023