La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Il «gobbo di Vanchiglia»

Il Borgo Vanchiglia ha ospitato nel tempo un variegato ventaglio di personaggi illustri che comprende l’architetto Alessandro Antonelli, autore del simbolo di Torino, la marchesa Giulia di Barolo, lo storico conte Gian Francesco Galeani Napione, la Maestrina dalla penna rossa del libro Cuore, il medico Giuseppe Gradenigo, l’architetto Carlo Mollino, la pittrice Carol Rama, il cantante Fred Buscaglione, lo sceneggiatore Leo Chiosso.

Propone per contro esponenti della malavita cittadina che nel loro soprannome evocano il Borgo, come i proletari Cit ëd Vanchija e Bersalié ëd Vanchija, nonché il misterioso avventuriero russo Alessandro Giovanni Tchernadieff, sedicente conte, truffatore, ma anche filantropo, ribattezzato dal popolo torinese come “Re di Vanchiglia”.

Dobbiamo ora prendere in considerazione il «gobbo di Vanchiglia».

La sua storia è racchiusa in una manciata di ritagli di giornale de La Stampa e della Gazzetta del Popolo del gennaio 1905, in occasione del suo arresto.

Il protagonista della nostra storia si chiama Ernesto Giovanni Cafasso ed è un giovanottone di 26-27 anni, alto e grosso, robusto e agile. Negli ambienti della mala lo chiamano ‘l gheub perché ha le spalle un po’ curve.

Poteva diventare un bravo operaio, ma aveva pochissima voglia di lavorare. Era poi noto, e temuto, in Vanchiglia a causa del suo carattere litigioso, violento e autoritario. Dare una coltellata, per lui, era cosa da nulla. Cafasso è già stato più volte condannato per risse e ferimenti, quando, in corso Casale, è venuto a contesa con l’operaio elettricista Felice Cucco, si è avventato contro di lui e lo ha colpito con una terribile coltellata all’addome che, pochi giorni dopo, ne ha provocato la morte.

È riuscito a eludere le ricerche della Polizia e si è rifugiato in Francia. È stato condannato, in contumacia, a tre anni e sei mesi di reclusione e a un periodo di sorveglianza da parte della Polizia, per ferimento seguito da morte. Le date di questo suo percorso criminale, precedente all’arresto del gennaio 1905, sono indicate in modo contrastante dai due quotidiani (*).

Nel dicembre del 1904, Cafasso, credendo forse di aver ottenuto l’impunità, ha fatto ritorno a Torino. Il maresciallo Pietro Soro, il miglior poliziotto della Questura torinese, dopo aver saputo da alcuni suoi confidenti di questo rientro, si prodiga per rintracciarlo.

Nella sera del 4 gennaio, il maresciallo Soro è di pattuglia con alcuni agenti della Squadra Mobile in corso San Maurizio. Riconosce il «gobbo di Vanchiglia», lo avvicina senza farsi scorgere e, dopo averlo afferrato, lo dichiara in arresto. Gli altri agenti gli prestano man forte e tutti insieme lo accompagnano alla Questura centrale.

Al mattino del 5 gennaio Ernesto Giovanni Cafasso viene rinchiuso alle Carceri Nuove, dove dobbiamo lasciarlo, in mancanza di ulteriori notizie giornalistiche.

Dopo 44 anni, nel 1949, il «gobbo di Vanchiglia» torna alla ribalta: se ne parla sulla Gazzetta del Popolo e su La Stampa, rispettivamente del 24 e 25 marzo 1949, nell’ambito di un rastrellamento delle prostitute irregolari, ovvero che “lavorano” al di fuori delle case chiuse, organizzato nella notte del 23 marzo, dalle squadre del buon costume, in collaborazione con la Mobile, nelle zone di Porta Nuova, del Palazzo di Città e di Porta Palazzo.

I due quotidiani raccontano i «curiosi episodi» e le «scene cinematografiche» che l’intervento poliziesco ha provocato. In particolare, due ragazze, sorprese mentre adescavano i passanti nella zona del Municipio, sono state caricate dagli agenti di P. S. su una «jeep», ma sono riuscite a saltare improvvisamente dal mezzo e sono fuggite.

Sono state inseguite da alcuni poliziotti attraverso cortili, scale e androni, dove le due ragazze si sono via via infilate. A un certo punto, sono salite sui tetti di uno stabile di via Quattro Marzo e di qui si sono calate nella soffitta che usavano come alloggio, dove si sono barricate. Per snidarle, gli agenti devono condurre un lungo assedio e, soltanto dopo aver sfondata la porta, riescono ad acciuffarle. Ma i poliziotti restano veramente sorpresi quando scoprono, nascosto sotto un letto, un vecchietto calvo e sbilenco, padre di una delle catturate, che risulta essere «il famigerato “gobbo di Vanchiglia” temuto scassinatore, da anni ricercato», come scrive La Stampa.

I due giornali non riportano il nome dell’arrestato, ma soltanto il suo soprannome, e quindi non abbiamo la certezza che si tratti proprio di Ernesto Giovanni Cafasso, anche perché La Stampa lo definisce «sessantenne», mentre avrebbe dovuto avere settant’anni. Ma ci fa piacere crederlo, in attesa di ulteriori approfondimenti con ricerche di archivio, tanto più che il protagonista di questa vicenda reale emerge, dalla notizia del 1949, con una certa analogia col personaggio di Capannelle, interpretato da Carlo Pisacane nel film I soliti ignoti del 1958, diretto da Mario Monicelli.

(*) È curioso notare che nel racconto di Edmondo De Amicis intitolato “Due di spade e due di cuori”, apparso su L’Illustrazione Italiana n. 29 del 22 luglio 1900, si parla di un avvocato che deve fare la sua arringa in Corte d’Assise per la causa del gobbo di Vanchiglia, in anticipo sui tempi reali della vicenda.

Note

L’arresto del «gobbo di Vanchiglia», La Stampa, 6 gennaio 1905.

L’arresto del «gobbo di Vanchiglia», Gazzetta del Popolo, 6 gennaio 1905.

Il “gobbo di Vanchiglia” tra le allegre donnine, Gazzetta del Popolo, 24 marzo 1949.

Il gobbo di Vanchiglia nascosto nella soffitta, La Stampa, 25 marzo 1949.

© 2023 CIVICO20NEWS - riproduzione riservata

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 22/06/2023