Tavio Cosio: "Apie ’d pera – Conte dl’età dla pera seulia o neolìtica"

di Dario Pasero

Tra i tre Grandi scrittori della Provincia Granda attivi nella seconda metà del secolo scorso, Barba Tòni Bodrìe, Bep Ross, Tavio Cosio (nella foto a sinistra), quest’ultimo è stato quello che meglio si è distinto nella prosa. Non che non fosse anche poeta – e basterebbe leggere il suo “testamento”, nel senso latino del termine (testimonianza), degli anni della sua giovinezza a Villafalletto, cioè “Mia gioventura”, per capire la sua grandezza anche come poeta –, ma certamente il prosatore par excellence era proprio lui, lou spessiaire dou Mel o, se preferite, lë spessiari dël Mel (“il farmacista del Melle”).

Barba Tòni era certo anche grande prosatore, ma indulgeva ad un certo narcisismo, barocco nel suo essere didascalico, mentre Bep Ross tendeva a sottolineare l’aspetto “magico” della realtà, lasciando tuttavia parzialmente in ombra l’aspetto più concreto. E poi i due “maestri” di Frassino e di Borgo erano scrittori sia in piemontese che in provenzale, ma solo raramente essi hanno saputo – come sempre Tavio – sintetizzare in un unicum linguistico (vogliamo definirlo “occintese”?) le sue esperienze vissute tra la piana cuneese e la vallata di Varacho.

Non solo, ma questa sua lingua, al limite dell’idiolettico, è diventata (pasolinianamente) una lingua ancestrale, quam Faunei Vatesque canebant, per dirla, pur parafrasandolo, col poeta latino arcaico Quinto Ennio, lingua utilizzata un tempo dai faunèt e dagli “sciamani”. Così, dopo la pubblicazione degli altri due libri di prose di Cosio (Pere, gramon e lionsa del 1975, ma ristampato nel 2016, e Sota ‘l Chinché del 1980), vediamo ora come questa sua lingua da strumento di riacquisizione della memoria del passato in generale e dell’infanzia in particolare passi a strumento di creazione, tra fantasia preistorica e realtà vissuta. Si tratta dunque dell’aver raccolto, grazie alla volontà dell’“Associazione Tavio Cosio” di Melle ed al lavoro attento ed appassionato dell’amico Giuseppe Goria, una serie di prose inedite facenti parte di un progetto tra l’etnico, lo storico ed il letterario che Tavio aveva nel cassetto, dove è rimasto (tranne per la pubblicazione di qualche stralcio) fino ad ora, quando ha finalmente visto la luce.

In questo libro sono dunque raccolte 19 prose (capitoli) in cui lo scrittore immagina la vita di una comunità, che potremmo definire “proto-piemontese” in senso geografico, durante l’età del neolitico, in cui vengono tracciate immagini di attività e situazioni che potrebbero essersi sviluppate così come raccontano seguendo un filo linguistico che, se non realistico (per forza di cose), lascia aperte le porte ad un “sognare” (come sarebbe piaciuto tutto ciò a Barba Tòni!) di una vita “piemontese” immersa, anche linguisticamente, in una sorta di Arcadia dell’anima più che dell’esperienza esistenziale.

Oltre alla nota introduttiva del raccoglitore, in cui si illustra la genesi di questo libro, dovuto anche alla abnegazione alla causa delle “radici” dell’Editore Fusta di Saluzzo, ne leggiamo altre due: una, linguistica, dell’amico Nicola Duberti, che meriterebbe certamente un respiro più ampio (e ce lo auguriamo), completata in appendice da un Glossario; l’altra, archivistica, della dottoressa Elisa Magalì Tonda, in cui, aldilà dell’acribia dell’aspetto squisitamente “scientifico”, ci spiace leggere (purtroppo) “lingua” occitana in specchio a “dialetto” piemontese. Non ci stancheremo mai di ripetere, a costo anche di sfinire i nostri lettori, che, se si gratificano della definizione di “lingua” le parlate d’oc (cosa giusta, ma anche qui l’argomento meriterebbe un più ampio respiro), non si vede perché tale definizione non si possa attagliare anche a quelle di ambito piemontese. In altre parole, se il patois occitanico di Melle (e della Valle Varaita, in genere) è “lingua”, è “lingua” anche la parlata piemontese di Villafalletto e poi della media Valle Varaita. O meglio: esiste una lingua occitanica (quella trobadorico-mistraliana) con i suoi patois locali ed esiste una lingua piemontese (codificata dal Pipino) con le sue varianti dialettali locali.

Dario Pasero

Dario Pasero è nato a Torino nel 1952. Laureato in Filologia Classica presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Torino, fino al 2015 è stato docente di ruolo di Italiano e Latino al Liceo Classico "C. Botta" di Ivrea. Collabora con la Regione Piemonte per i corsi di lingua e letteratura piemontese.

Dai primi anni Ottanta del secolo scorso ha iniziato la sua attività di scrittore (sia in prosa che in poesia) in lingua piemontese: sue composizioni sono state pubblicate su varie riviste specializzate in Piemonte e altrove (a.e.r.).

 

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Articolo pubblicato il 08/07/2023