Quarta cronaca dall’ospedale: Ringraziando l’aria

Aria naturale, aria artificiale, un respiro ogni 4-7 secondi. Cosa si inala e cosa si spera dentro l’ospedale, mentre si aspira a ritornare fuori

Entrando ci si immette in un corridoio coperto da volte a crociera che ne dichiarano la vetusta età. Ad un certo punto una targa sul muro ricorda i fondatori di questo nosocomio risalente al XIV secolo. Tra di loro ben due portano lo stesso cognome di mio padre. È molto probabile che queste longeve mura siano state edificate anche grazie a qualche remoto mecenate, radice e ramo della mia piemontese stirpe.

Dopo due mesi trascorsi in questo edificio custode di emozioni e sentimenti estremi, annodati a doppio filo ai misteri ed ai segreti della vita, del tempo e del valore di ogni respiro, ho deciso che prima o poi dovrò scrivere e descrivere qualcosa di importante, un concentrato ed un estratto di incontri, di momenti, di promesse e giuramenti, di vite raccontate da amorevoli parenti sconcertati da certi appuntamenti.

Questo ed altro ho annotato sul mio taccuino di ricordi e ci proverò, ma prima devo ritornare a respirare all'infuori di questo severo reparto d'ospedale. Ci sto provando, con tutta una sopita e risvegliata voglia di respirare l'aria umida e calda della città bersagliata da questa soffocante estate del 2023.

È dell'aria che voglio narrare in questa quarta cronaca dall'ospedale. Negli spazi ristretti della stanza ingombra di carrelli e impianti sanitari d'ogni genere, l'aria è fresca, climatizzata con rispetto ed attenzione alla salute del paziente e altrettanto verso il personale.

Ci si abitua, è un'aria circoscritta, corta e densa di rumori, bisbigli e dialoghi, che rimbalzano di stanza in stanza. Macchinari sospingono l'ossigeno per chi non ce la fa da solo. Il saturimetro segna ossigenazione 98%, l'apparecchio non mente, il respiro si fa lungo e più contento.

È un'aria senza odori. Aria che trasporta suoni, colpi secchi, echi di storie, ricordi di gioventù sussurrati tra i denti, ognuno meritevole di un singolo racconto, e poi, passi furtivi e leggeri degli infermieri che nella notte si aggirano per controllare i letti. È un'aria mono temperatura e ci si abitua in fretta, è quasi piacevole se pur si sa intrisa da ogni sorta di invisibili batteri. In genere, chi viene da fuori si lamento del caldo e del tempo, di questo luglio arsura e temporali, apprezzando il clima in scatola, fresco e artificiale, avvolto dal quale non si soffermerà che per qualche manciata di minuti o al massimo di ore. Altra cosa è per i pazienti stesi sui giacigli di questo reparto di terapia semi-intensiva. Gli occhi di chi è vigile, attento e lucido, perforano i vetri e si impossessano di quei frammenti d'aria percepiti all'esterno: diapositive immobili di qualche fabbricato, movimenti di nubi e volo degli uccelli, prospettive di cornicioni immobili, rumori dalla strada , campane che suonano, che affidano all'aria il rintocco delle ore.

Il desiderio di cambiare aria soffia da dentro e l'unico obbiettivo è un sogno ricorrente, l'unica cosa che conta: fuggire, tornare a casa anche per un giorno soltanto, e respirare l'aria vasta e disordinata che ci regala il mondo e la complessa quotidianità. Azoto, CO2, ossigeno, polveri sottili… profumi di boschi e di risacca del mare…

Da qualche giorno, calato dal sollevatore, ho riconquistato il sedile della mia fedele carrozzina motorizzata. Ho ripreso a manovrare i pulsanti e la leva con cui padroneggiare la spinta del motore. Ho guadagnato ogni volta un po' di spazio lungo un breve corridoio, sull'angolo vi è una porta finestra da cui filtra il sole. È una uscita di sicurezza chiusa da due maniglioni antipanico e oggi non mi è sfuggito il particolare: era socchiusa per far entrare un poco di corrente. Ho chiesto il permesso e mi sono avvicinato. Con le pedane della carrozzina ho ampliato il varco e finalmente l'ho sentita entrare!

Ho sentito l'aria calda di sole e di cortile venirmi a cercare. Mi ha sfiorato la faccia, mi ha risvegliato i sensi e riscaldato il cuore.

È stata un'aria tantissima, senza muri e senza un tetto, grande quanto l'atmosfera, zeppa di odori, di rumori vicini e suoni lontani, dello stormire di rondini, del tubare di piccioni. Aria che sale da un cortile stretto e lungo di un grande ospedale. Un furgoncino parte e va, brucerà ossigeno e un po' inquinerà.

Quell'ossigeno che mi è stato sparato nei polmoni per ristabilire gli equilibri del corpo e della vita, permettendomi di sostare qua. E mentre penso, respiro l'aria calda e umida che si fa spazio dentro ai miei rabberciati polmoni. Magnifica aria! Un respiro ogni 4 fino a 7 secondi, 24 ore al giorno, 12.000 litri d'aria quotidiana per ogni essere umano, non sono cose di poco conto. Respirare, distratto gesto abituale che si impara ad apprezzare quando si fa corto ed affannato, quando si corre in ospedale con i polmoni in cerca d'aiuto.

Buon respiro a ogni lettore. Per quanto mi riguarda, domani non ancora, ma forse presto potrò sperare di tornare a respirare la vecchia aria di casa, lasciando andare lo sguardo dentro l'aria fin oltre l'orizzonte.

Aria, la stessa che tiene vive flora e fauna di questo magico pianeta dall'atmosfera sfruttata e poco rispettata.

 

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Articolo pubblicato il 16/07/2023