La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Faccia d’Angelo

La Piazza C.L.N., dietro le due chiese “gemelle” di piazza San Carlo, lungo via Roma, è stata resa celebre dall’ambientazione del film Profondo Rosso di Dario Argento (1975).

In particolare, il Maestro del brivido ha utilizzato il lato della piazza che corrisponde alla Fontana del Po dove è stata allestita la scenografia che vi colloca il Blue Bar che evoca il quadro I nottambuli (Nighthawks) di Edward Hopper del 1942.

Molto meno noto il fatto che l’altro lato della piazza, in corrispondenza della Fontana della Dora, mercoledì 4 dicembre 1974, è stato teatro di un grave episodio di cronaca nera avvenuto nello studio di un notaio, al civico 243 di via Roma.

Alle 17:00 di quel giorno, tre giovani mascherati fanno irruzione nell’ufficio, convinti di trovarvi forti somme di denaro contante. Maldestri e nervosi, ordinano di aprire la cassaforte, ma vi trovano soltanto una somma di poco valore: 7.000 Lire. Sulle scrivanie riescono ad arraffare banconote per un importo di poco più di 800 mila Lire, ma non sono soddisfatti dell’esiguo bottino. Uno dei rapinatori, fortemente agitato, si mette ad inveire agitando la pistola, poi fa fuoco. Viene così uccisa un’impiegata, Maria Grazia Venturini, di soli 19 anni: il proiettile le trancia la giugulare poi ferisce al petto un’altra addetta dell’ufficio, Elisabetta Povero, che si ristabilirà in breve tempo.

I tre fuggono poi sotto i portici, a viso scoperto, dividendosi all’altezza di via Giolitti.

Sulla base di alcune testimonianze, la Polizia scientifica prepara due photo-fit, dove la fisionomia dei due rapinatori è ricostruita con sovrapposizione di foto e non di disegni come nel caso dell’identikit. Non saranno purtroppo di aiuto nelle indagini.

La Polizia annuncia, il 9 dicembre, che i rapinatori sarebbero due diciassettenni di Francavilla Marittima, in provincia di Cosenza: Angelo Lo Fiego e Antonio Macrino, giunti da poco tempo a Torino, dove si muovevano nell’ambiente malavitoso della zona di Porta Nuova. Vivevano in una pensione di San Salvario: rimasti senza soldi, si erano visti trattenere il loro modesto bagaglio.

Lo Fiego è arrestato il 10 dicembre a Porta Nuova e, nello stesso giorno, Macrino a Biella, dove si è rifugiato. I giornali locali riportano il clamoroso arresto e ricordano le origini biellesi di Maria Grazia Venturini. 

I cronisti torinesi concentrano le loro attenzioni su Lo Fiego, soprannominato Faccia d’Angelo: giovane, bello e intraprendente. La sua ragazza, Liliana Rupolo, di 16 anni, ne era tanto innamorata che per raggiungerlo è fuggita dalla sua casa di Cambiano il giorno prima della rapina. È stata trovata a Biella, insieme a Macrino, e ha accettato di prostituirsi per procurare qualche soldo al suo ragazzo e agli amici.

Liliana diviene la principale testimone di accusa, insieme al rosticciere quindicenne Tonino Manuppelli, che lavora in un esercizio di via Nizza, il quale rivela che Lo Fiego gli ha proposto un buon colpo in un ufficio di via Roma, nel quale lavoravano alcune ragazze.

Sul finire dell’anno la Polizia annuncia che la rapina è stata commessa da cinque giovani, dei quali due non sono entrati nello studio notarile restando per le scale. Il numero degli arrestati è elevato, si parla di una vera e propria banda, di un travestito detto “Gilda” che avrebbe fornito la pistola 38 special usata per l’omicidio, si dice che un amico di “Gilda” sarebbe la mente del colpo. I due sono arrestati, senza tangibili risultati.

Il 18 dicembre del 1974, La Stampa pubblica un’intervista al ministro dell’Interno Luigi Gui, soddisfatto per la cattura e per la rapidità delle indagini. Con una logica che ci sfugge, il ministro conclude l’intervista sottolineando la pericolosità delle trame eversive di matrice fascista.

Col nuovo anno 1975 iniziano le dolenti note.

Nessuno degli accusati viene riconosciuto dai testimoni nei confronti all’americana. Non viene rintracciato il bottino che sarebbe stato trattenuto da un basista, mai identificato, e neppure la pistola 38 special usata per l’omicidio.

L’accusa è principalmente sostenuta dalle dichiarazioni di Liliana Rupolo e si inizia a parlare di processo “indiziario”. Oltre a Faccia d’Angelo e Macrino, sono in carcere sei arrestati variamente coinvolti nella rapina. Fra questi, Vito Lorenzo, di 23 anni, di Albano Lucano (Potenza), abitante a Torino in piazza Bodoni, che sarà accusato di essere il terzo partecipante alla rapina.

Sempre nel 1975, emergono aspetti dell’antagonismo fra le forze dell’ordine. Il 23 aprile una negoziante di via Gobetti telefona a un maresciallo del Nucleo Investigativo dei Carabinieri dicendo di avere scorto in via Roma uno dei giovani che aveva visto fuggire con un complice il 4 dicembre 1974, quando si era sparsa la voce della sanguinosa rapina. Viene così arrestato Enrico D’Angiuro, di 26 anni, nato a Montemilone (Potenza), ma a Torino da oltre dieci anni. D’Angiuro abita in una misera soffitta di Piazza della Repubblica 1 bis con la giovane moglie e un bimbo di tre anni; a dicembre era disoccupato, ora lavora come saldatore in una officina. Già il 26 aprile viene scarcerato per mancanza di indizi. Tornerà però ad affacciarsi nella triste vicenda.

Al 14 maggio 1975 il giudice istruttore compie un sopralluogo nello studio notarile. La Stampa riferisce che l’istruttoria è quasi conclusa e che nel giro di una ventina di giorni gli atti saranno trasmessi al Pubblico Ministero. Ad agosto, invece, si annunciano nuove indagini richieste dai difensori. L’iter processuale va per le lunghe. Il 3 gennaio 1977, nel carcere della Castiglia di Saluzzo, Lo Fiego, con un altro detenuto (Ercole Pilone detto Lino il foggiano, accusato dell’uccisione della convivente Angela Ippolito), sequestra due guardie carcerarie per una clamorosa protesta. I due chiedono di parlare con i difensori, con l’onorevole Pannella, con i familiari e invocano l’accelerazione dei rispettivi giudizi.

Dopo tre anni di indagini, il processo inizia in Corte di Assise il 6 dicembre 1977. Angelo Lo Fiego, Antonio Macrino e Vito Lorenzo sono accusati della rapina e Lo Fiego anche dell’uccisione di Maria Grazia Venturini. Vi sono alcuni altri imputati minori.

Si tratta di un processo indiziario, tanto più che i due testimoni principali, il rosticciere Manuppelli e Liliana Rupolo, la ragazza di Faccia d’Angelo, ritrattano le loro dichiarazioni, con l’evidente scopo di aiutare gli accusati, ma col rischio di comprometterli. In ogni caso, le testimonianze di accusa paiono essere state estorte con pressioni psicologiche a due minorenni. Emergono ombre: si parla di schiaffi, di minacce. I testimoni minorenni sono stati trattenuti nella camera di sicurezza per adulti, in contrasto con le disposizioni di legge, interrogatori a raffica sono stati condotti nel cuore della notte.

Entra in scena don Sergio Menardi, cappellano del carcere minorile Ferrante Aporti, che ha condotto indagini personali allo scopo di scagionare Lo Fiego e Macrino.

Secondo don Menardi, ad uccidere è stato un certo Enrico Dangiuro, anche lui soprannominato Faccia d’Angelo, amico di Maria Grazia, che lo ha riconosciuto. Per questo lui le ha sparato il colpo mortale. I genitori negano però risolutamente che la figlia conoscesse e frequentasse un malavitoso.

È doveroso sottolineare come i genitori di Maria Grazia abbiano sempre tenuto un atteggiamento ammirevole. Fin dall’arresto di Faccia d’Angelo non hanno manifestato accanimento nei suoi confronti e hanno parlato di perdono. Hanno evitato speculazioni politiche in occasione del funerale della figlia. Al processo, non si costituiscono parte civile e don Menardi riferisce che hanno ricevuto telefonate anonime fortemente critiche per questa loro scelta.

Non è chiaro se il Dangiuro di don Menardi sia quell’Enrico D’Angiuro prima citato, ma il personaggio evocato dal cappellano è stato interrogato dal giudice istruttore che lo ha scagionato per il convincente alibi.

Gli agguerriti avvocati difensori smontano le dichiarazioni del rosticciere e di Liliana, ma sostengono in particolare che gli imputati sono dei balordi sbandati, non degli assassini. Evidenziano le discrepanze tra le risultanze dell’inchiesta e i fatti indicati dai testimoni: questi hanno descritto l’uccisore come mancino, un aggressore corpulento e uno vestito di grigio, tutti tre privi di inflessioni dialettali, caratteristiche molto diverse da quelle degli accusati. Sottolineano anche la loro totale mancanza di denaro, anche se dall’ufficio erano sparite 800.000 Lire.

Il 23 dicembre 1977, a mezzanotte, dopo quattro sole ore di camera di consiglio, la Corte condanna Faccia d’Angelo a 27 anni, Antonio Macrino a 26 e Lorenzo Vito a 24. Il cronista de La Stampa non pare condividere troppo questa sentenza. Ricorda che non tutti i giurati erano concordi sulla colpevolezza degli accusati e sottolinea le gravi anomalie delle indagini.

Il 3 luglio 1978 si apre il processo di Appello, ma il 14 deve essere rinviato per la ritrattazione di un teste di accusa: Eros Blanc, in carcere per rapina, afferma di non essere mai stato interrogato dal giudice istruttore. Le accuse che ha rivolto a Lo Fiego gli sono state estorte con la violenza.

Il dibattimento riprende in ottobre e, il 20, viene confermato il precedente verdetto.

Il 23 febbraio 1982, la Cassazione annulla questa sentenza per insufficienza di motivazioni. I tre, scarcerati, dopo otto anni di reclusione, attendono in libertà il nuovo processo. Il 25 maggio 1983 sono assolti per insufficienza di prove.

Chi ha ucciso Maria Grazia Venturini? A quasi mezzo secolo di distanza bisogna tristemente constatare che il caso è rimasto irrisolto e che la giovane vittima e i suoi esemplari genitori non hanno ottenuto verità e giustizia. Da sottolineare che il sito della sua efferata uccisione è divenuto celebre a seguito del film Profondo Rosso, le cui riprese torinesi erano iniziate il 9 settembre 1974 per concludersi dopo quattro mesi, al 19 dicembre dello stesso anno, quasi in concomitanza con la sanguinosa rapina. Una di quelle coincidenze che soltanto la realtà sa proporre.

In rete possiamo reperire un’ulteriore notizia concernente Angelo Lo Fiego, pur senza la certezza che si tratti proprio del nostro Faccia d’Angelo. Nella sera del 27 ottobre 1987, nella provincia di Cosenza, una ragazza viene uccisa in un agguato da un colpo di fucile caricato a pallettoni. Il fidanzato Angelo Lo Fiego, di 30 anni, rimasto gravemente ferito da un pallettone conficcato nella testa, muore dopo il ricovero in ospedale.

 

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Articolo pubblicato il 27/10/2023