La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Un imbecille – una megera – tenerezze coniugali – uxoricidio, nella Torino del 1876 (prima parte)

Lunedì 29 maggio 1876 i torinesi apprendono dell’uccisione di una donna da parte del marito dalla Gazzetta Piemontese e dalla Gazzetta del Popolo.

L’uccisione è avvenuta in via della Consolata, al civico 24, ovvero nel tratto di questa via al tempo compreso tra corso Regina Margherita e via Cottolengo, che oggi ha preso il nome di via Ludovico Ariosto: la si può quindi approssimativamente collocare al civico 4 di questa via, in Borgo Dora.

Leggiamo che a questo indirizzo: «abitava da pochi mesi in una camera al piano terreno una donna sui trentott’anni, bruttina anzichenò, e che i vicini guardavano con una cert’aria di diffidenza, per alcune voci che correvano sul suo conto.

Questa donna che si chiamava Molinari Catterina [sic!, N.d.A.], di Rocca di Corio, viveva da qualche tempo divisa dal suo marito, certo Ceirano Matteo, addetto alla ferrovia dell’Alta Italia.

Si ignorano i motivi di tale separazione coniugale; però da alcune settimane la Molinari e il Ceirano tornarono a frequentarsi, il marito soccorreva la moglie e tutto faceva presagire che ben presto i due coniugi avrebbero di nuovo vissuto assieme.

Sembra che la pace dovesse stabilirsi nella giornata di ieri; tirato un velo sul passato, si sarebbe inaugurata un’altra condotta per l’avvenire».

La cronaca prosegue spiegando che nella modesta camera, oltre ai coniugi riconciliati si trovava un terzo misterioso personaggio, il quale dormiva saporitamente su un piccolo letto preso in affitto dalla Molinari. Non si sa bene cosa sia successo tra marito e moglie durante la preparazione del pranzo della riconciliazione. Si suppone che sia scoppiato un feroce litigio, forse perché Ceirano ha rinfacciato alla moglie i suoi trascorsi. È certo che l’uomo, armato di un lungo coltello, si è avventato sulla moglie e l’ha colpita tre volte, provocandole una profonda ferita vicino al collo, un’altra altrettanto grave al seno sinistro e una terza al braccio. La morte della donna è stata immediata. Nessuno dei vicini si è accorto dell’uccisione, evidentemente compiuta senza scontro fisico, tanto che Ceirano ha potuto allontanarsi indisturbato. Anche il misterioso personaggio che dormiva nella camera se n’è andato senza dare l’allarme.

Il delitto è stato scoperto più tardi, visto che le indagini sono iniziate alle quattro pomeridiane. Il cronista raccoglie altre versioni della genesi del fatto di sangue: si parla di un delitto d’impeto, ma vi è anche chi sostiene una premeditazione da parte del marito, mentre altri asseriscono la partecipazione di complici: «Spetta alla giustizia di appurare quel che vi sia di vero in simili ipotesi - scrivono i giornali per poi descrivere «Il pranzo che doveva suggellare la pace fra i due coniugi [...] trovato ancora quasi intatto, solo i piatti erano sprizzati del sangue della povera vittima!».

Ceirano, ricercato dalla Questura, viene arrestato verso le 8:30 del mattino di lunedì 29 maggio mentre è al lavoro nelle officine ferroviarie di Torino. Queste sono le informazioni fornite dalle cronache nell’immediatezza del fatto di sangue.

Si torna a parlare dell’uccisione di Catterina Molinari in occasione del processo celebrato al Tribunale Correzionale di Torino il 28 agosto 1876 contro Matteo Ceirano, di 52 anni, di Savigliano, residente a Torino, accusato di uxoricidio. La cronaca giudiziaria compare nella Rivista Giudiziaria della Gazzetta del Popolo del 2 settembre 1876, a firma Z. Un pezzo giornalistico che riteniamo interessante riportare nella versione originale perché a 150 anni di distanza ci propone una visione piuttosto diversa da quella attuale a proposito di quello che oggi chiameremmo “femminicidio”.

Il cronista, dopo aver parlato di uxoricidio, scrive a proposito dell’accusato Ceirano:

«Già ognuno immagina un Otello dagli occhi fulminei, dalle labbra tumide, e spirante fuoco dalle nari e ferocia da tutta la persona. Niente di tutto questo. La sua fisionomia esprime una cosa sola: che egli è un buon uomo nel senso derisorio della espressione, vale a dire un imbecille. Difatti il dottore S. Laura1, che presenziava il dibattimento in qualità di perito presentato dalla difesa, ebbe a dichiarare che se lo stato mentale dell’imputato non raggiungeva la imbecillità perfetta, vi si trovava però molto da vicino. Ma la imbecillità non è di ostacolo all’amore; che anzi, appunto per la quasi completa assenza di ragione, le passioni si fortificano maggiormente nel cuore di questi infelici, ed assumono talvolta tali caratteri di violenza, quali difficilmente si riscontrano negli esseri dotati di maggior forza volitiva.

Dunque, non se ne adontino i poeti, Matteo Ceirano, l’imbecille, amava fino al delirio la sua seconda moglie Catterina Molinari vedova Raet. In qual modo costei corrispondeva all’amore del marito? L’imputato stesso ebbe a dire all’udienza, che dessa non era quasi ancora sua moglie (sic!) che già cominciava ad essergli infedele. E perché dopo cotali prove di affetto ti disponesti, o Matteo, a renderla tua moglie sul serio? Oh, l’amore! l’amore!

Intanto, poiché di costei dobbiamo pur descrivere il carattere, diciamo addirittura che non c’è abbietta sgualdrina che al paragone di Catterina Molinari non possa chiamarsi donna onesta.

Ora ognuno può facilmente immaginarsi quali potessero essere le conseguenze di così infausto matrimonio, che la Molinari contrasse (e lo disse a parecchie persone) coll’unico intento di consumare in bagordi i guadagni del povero Matteo, cui ella chiamava sempre col dolce nome di brut macaco!

Di corna è meglio non parlarne; giacché di tali ornamenti Matteo ne possiede di più che mille cervi. Né si creda già che l’amabile consorte tentasse di occultare al marito le sue tresche vergognose. Che anzi un giorno giunse perfino al punto di legarlo ad una seggiola perché potesse accertarsi che le infamie di cui ella si vantava, non erano del tutto immaginarie. Ma la Catterina, bisogna dirlo ad onor del vero, non era poi sempre crudele verso il suo Matteo; basti a provarlo il fatto, che quando egli le consegnava la intiera paga settimanale (e guai se non l’avesse fatto!), la moglie lo regalava di sei soldi perché si provvedesse il tabacco per tutta la settimana.

Fra tali delizie matrimoniali Matteo Cerano si passò allegramente alcuni mesi, vale a dire fino verso agli ultimi giorni dell’anno 1875.

Verso i primi di gennaio del corrente anno la Catterina si presentò al portinaio della casa n. 24 in via della Consolata, e prese da lui in affitto due soffitte, che ella disse sarebbe andata ad abitare in compagnia del padre e di due fratelli; e il nuovo alloggio venne arredato colle mobiglie che la Molinari tolse dalla camera del marito, che fu completamente vuotata di ogni masserizia.

Credereste voi che la fuga della dolce metà ed il furto dei mobili di casa abbiano bastato ad attutire la passione del povero Ceirano?

Fine prima parte - Continua

Note

(1) Secondo Laura (1833 -1902) si è laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Torino dove è allievo di Carlo Demaria, professore di Medicina Legale. Quando il suo maestro è gravemente malato, dal 1870 al 1873, lo sostituisce nelle lezioni e, dopo la sua morte, nel 1873, è incaricato dell’insegnamento. Nel 1874 pubblica un trattato di Medicina Legale e concorre alla cattedra di questa materia in competizione con Cesare Lombroso, il quale risulta vincitore. La gestione del concorso appare poco limpida, tanto che viene ripetuto nel 1876, con la conferma di Lombroso. Deluso, Laura abbandona la Medicina Legale e si dedica con successo alla Pediatria. È il fondatore dell’Ospedale Infantile Regina Margherita.

 

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Articolo pubblicato il 01/12/2023