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Anni ’40, tempi di guerra, quando le macchine andavano con i motori a legna
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la mancanza di carburante fu affrontata con originali soluzioni poi dimenticate nella storia
Articolo di Carlo Mariano Sartoris
Pubblicato in data 07/04/2022

I tempi di guerra hanno sempre obbligato le popolazioni a ridimensionare il proprio stile di vita per far fronte a inevitabili sacrifici, ma il detto: “La necessità aguzza l’ingegno”, spesse volte si rifà proprio alla ricerca di soluzioni quando sembrano impossibili.

Molti si ricordano ancora le domeniche a piedi al tempo dell'austerity, nel 1973, dopo la guerra del Kippur e il raddoppio del prezzo della benzina, ma prima di allora vi era stata una ben più grave crisi energetica. 

Durante la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto in certi paesi poveri di idrocarburi, la benzina era diventata ben presto cosa rara, dirottata ai bisogni di velivoli e mezzi da combattimento. Per le automobili non ce n’era abbastanza, dunque proprio in quel periodo, rifacendosi a esperimenti che risalivano addirittura alla fine dell’ottocento, per le strade dell’Europa in guerra, quindi anche nell’Italia autarchica, iniziarono a circolare le auto con un motore a legna, sviluppato nel 1920 dall’ingegnere tedesco Georges Imbert.

Il motore non ebbe un gran successo negli anni 30, proprio a causa dei suoi limiti, ma nel 1942, all’apice del suo sviluppo, in Europa circolavano circa 500.000 veicoli con motore convertito a legna (particolarmente ambita quella di faggio)

La conversione benzina-legno, decisamente antiestetica, consisteva nel piazzare un ingombrante gasogeno sul muso oppure nel retro della macchina. Il gasogeno era una caldaia dove venivano infilati dei tocchetti di legno. Fatti bruciare a fuoco lento producevano un biogas in grado di garantire un potenziale sufficiente per far muovere la macchina. Ovviamente il motore richiedeva modifiche, soprattutto l’aumento del rapporto di compressione per supplire a uno scoppio assai meno potente, quindi l’adozione di candele più “fredde” e poi, il carburatore doveva essere rimpiazzato da un apposito miscelatore.

Dopo tutta una serie di altri aggiustamenti fai da te, per adeguare il motore al nuovo carburante, la macchina era in grado di viaggiare, sebbene con l’emissione di fumi e vapori inquinanti, prestazioni ridotte e soprattutto con un’autonomia limitata all’approvvigionamento dei blocchetti di legno, che richiedevano parecchio spazio.

In compenso, a quel tempo di boschi più diffusi e ben curati, in molti casi fare il pieno era economico e accessibile. Inoltre, la gassificazione del legno è meno inquinante della sua bruciatura, quindi, con un po’ di ottimismo il motore a legna si sarebbe potuto definire “sostenibile”. L’aspetto negativo è invece collegato a un deleterio disboscamento, ma a quel tempo, per fortuna, di auto, torpedoni e camion ce n’erano relativamente pochi.

Dopo la guerra il carburante ligneo fu dimenticato rapidamente, restando in auge ancora per qualche anno nella Germania ovest e in qualche altro paese del Patto di Varsavia. Oggi, ovviamente è una tecnologia improponibile, ma nel 2010 un meccanico olandese si è dilettato nel costruire un paio di prototipi. Una Volvo 240 con motore convertito a legna ha raggiunto i 120 km/h garantendo una velocità di crociera di poco inferiore per i 100 km di autonomia consentiti dai 30 chili di legna contenuti dal… serbatoio. Negli anni 80, una ditta di Volpiano ha attrezzato un Guzzi 500 Falcone per il funzionamento a gas, con ottime prestazioni.

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