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Thelonewolfadventure by volkswagen.
Da austero strumento di lavoro a psichedelica icona hippy, nessun mezzo come questo si è prestato quale eclettica base per realizzare le più fantasiose possibilità di impiego.
Articolo di Pietro Cartella
Pubblicato in data 30/10/2022

Se c’è un veicolo che è diventato nei decenni ben più di un semplice mezzo di trasporto questo è certamente il Transporter Volkswagen. Specialmente nei suoi primi modelli, quelli con il parabrezza diviso in due parti e nelle sue varie versioni a più finestrini, è stato usato per vari allestimenti personalizzati. Tra questi il più sfruttato è stato certamente quello della sua trasformazione in una abitazione su ruote, versione aggiornata dei carri dei pionieri americani alla conquista del West e progenitrice di tutte le future generazioni di mezzi da campeggio itinerante. La sua formula costruttiva spartana lo rese così affidabile e, nel caso, facilmente riparabile da permettergli una diffusione di impiego alle varie latitudini e longitudini del globo terrestre. Alcuni esemplari superarono limiti di percorrenza impensabili per l’epoca e non è escluso che alcuni suoi resti fossili saranno ritrovati in tempi a venire ben oltre le capacità della nostra immaginazione. Diversamente dai dinosauri, del cui mondo possiamo solo provare a fare congetture a partire da pochi reperti giunti fino a noi, in questo caso possiamo ancora parlarne per esperienza diretta, come nel mio caso, avendone posseduto un esemplare, anche se ormai non più così efficiente come quando uscì dalla fabbrica. È quello che potete vedere nelle foto che introducono questo articolo, foto che documentano qualcosa di abbastanza inedito anche per questo “trasformista”. Infatti dopo aver svolto il proprio compito come “riparo viaggiante”, divenne, in un sussulto di orgoglio, il mio banco di apprendimento di tutto quanto fosse possibile apprendere scomponendone le spoglie dei particolari meccanici e di carrozzeria per fare esperienza diretta di come fosse stato costruito. Una specie di dissezione comunicativa di come tali componenti quel complessivo, così geniale ed efficace, potessero funzionare in simbiosi perfetta con ogni aspettativa del suo utente, nonostante lo stato di decadimento evidente nel quale, a quel tempo, lo trovai ed acquistai per servirmene.

Era ancora una versione con l’impianto elettrico a 6 volt, praticamente impossibilitato a sostenere più di due o tre tentativi di accensione senza andare in crisi, al punto che, su suggerimento e intervento di un elettrauto avveduto, fu dotato di un dispositivo a "scarica capacitiva" in grado di ottimizzarne le prestazioni in tal senso. Fu così che finalmente la mia giovane moglie si liberò della sua funzione di surrogato del motorino di avviamento, terminando il suo compito di spingere, ogni volta, “il macinino” fino alla velocità necessaria a farlo partire usando la frizione e seconda marcia (devo dire che però allora tale prassi era comune a molti altri mezzi di trasporto anche meno conciati male e più blasonati). Inoltre lo sterzo aveva un gioco di circa 10 centimetri a destra e sinistra e quindi per guidarlo era necessaria una preparazione particolare, specialmente in frenata (freni a tamburo veramente inaffidabili); in tale frangente occorreva continuamente correggerne la direzione per tenerlo dritto (anche questa caratteristica era comune in molti altri mezzi dell’epoca). Equipaggiato con gomme invernali diventava una cassa di risonanza e pareva di essere a bordo di un cacciabombardiere, a causa del rumore così come reso tipico nei film sulla seconda guerra mondiale. Un mezzo spartano a propulsione e motore posteriore (del Maggiolino), raffreddato ad aria, di circa 1200 cc di cilindrata, capace di superare a malapena 110 Km/h di velocità dopo un lancio di chilometri (e vento favorevole), in grado di percorrere non più di 6.5 chilometri con un litro di benzina.

 

La carrozzeria era in condizioni pietose a causa dello stato di corrosione delle lamiere che non erano trattate così efficacemente contro la ruggine come le attuali. Di conseguenza la zona delle cerniere della porta anteriore lato guida non reggeva più bene l'insieme al punto che in apertura essa cedeva di diversi centimetri verso il basso e per chiuderla occorreva eseguire una manovra particolare per farla rientrare nella sede. Pur senza interventi per risolvere il problema, la porta rimase comunque al suo posto fino alla fine dei suoi giorni. Invece si dovette procedere ad interventi mirati per porre rimedio all’entrata di acqua dalle gronde del tetto, mediante l’apposizione permanente di stracci e materiale antirombo colloso sia all’interno che all’esterno (si trattava di non andare troppo per il sottile). Ed infine un carpentiere provvide a sostituire il pavimento del vano di carico principale con una lamiera di 2 millimetri di spessore (contro 0,8 originali) eliminando così il problema di sollevamento e trascinamento dell’acqua, generato dal rotolamento delle ruote anteriori, all’interno dell’abitacolo attraverso un buco, anzi, una voragine di circa mezzo metro quadrato, presente dietro il sedile passeggero, eliminando nel contempo un cedimento della soglia di battuta delle due porte laterali. Il mezzo, così ristrutturato, divenne una specie di carro armato su ruote e, dopo averne dipinto l’esterno con vernice bicolore, riprese una parvenza decente. Lo usammo per indimenticabili vacanze condivise con amici e per trarre d’impaccio altri mezzi rimasti impantanati persino nella sabbia di alcune spiagge. Già ma allora c’erano meno vincoli di quanti ce ne siano ora per soddisfare i requisiti legislativi di “inquinamento e sicurezza”. Ed i mezzi a disposizione erano molto più facilmente fruibili per cui, senza derogare alla propria responsabilità, permettevano di fare quasi tutto quello che passava per la mente. Erano veri compagni di avventura sui quali fare affidamento pur nella consapevolezza di dover mettere in conto, allo stesso tempo, un più che benevolo grado di tolleranza verso gli imprevisti connaturati alla loro tecnologia essenziale e non troppo sofisticata. Ma proprio per questo così capaci di provocare empatia e rendere unica ogni esperienza. Macchine al servizio degli umani! Semplicemente simbiotiche!

 

foto e testo

pietro cartella

 

#macchine simbiotiche
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