Essere ginecologa in Afghanistan

"Mio figlio è stato ferito e mio fratello ucciso per colpa del mio lavoro, ma io non mi sono mai arresa. Non si può svolgere questa attività senza incorrere nella sofferenza. In Afghanistan, tutte le donne soffrono".

Questo articolo vuole raccontare, seppur in breve, la storia di una donna che ha scelto di fare uno dei mestieri più difficili del mondo.

Ha scelto di sfidare i talebani per poter servire il suo paese e il suo popolo, dando assistenza alle donne e salvandole da situazioni da cui spesso non sarebbero sopravvissute.

Celandosi dietro un burka ha deciso di fare qualcosa che nel suo paese è considerato quasi sempre illegale: ha deciso di aiutare le sue compatriote ad abortire o a difendersi da gravidanze indesiderate assumendo di nascosto farmaci contraccettivi.

In questo articolo, che usa come fonte principale un articolo di Horia Mosadiq (ricercatrice di amnesty international in Afghanistan) pubblicato da newstatement.com il 24 settembre scorso, la protagonista della storia e suoi pazienti sono chiamati con uno pseudonimo, per tutelare la loro sicurezza in un paese in cui le loro azioni sono considerate illegali e immorali.

All’inizio della sua carriera, quando una donna le chiedeva di abortire, la dottoressa Lima le rispondeva di no, che non era possibile, perché doveva attenersi alle leggi del paese. Anche l’uso di contraccettivi era visto di cattivo occhio, così anche quelli rimanevano al di fuori della sua attività professionale.

Tutto cambiò un giorno del 2006 quando la dottoressa Lima entrò in contatto con una paziente che le fece cambiare idea per sempre. Si trattava di una ragazzina di appena 17 anni. Era rimasta incinta senza essere sposata e i suoi genitori, dopo averla scoperta, avevano iniziato a somministrarle di nascosto dei farmaci per indebolirla, in modo che fosse più facile soffocarla nel sonno con un cuscino.

Dopo quella storia, decise che aiutare le donne, a discapito delle leggi e della propria sicurezza, sarebbe stata la sua missione, ed è ciò che tuttora fa, sempre di nascosto, sempre correndo rischi.

La maggior parte delle pazienti che ha aiutato ad abortire erano rimaste incinta dopo essere state stuprate. Nonostante la loro assoluta innocenza sarebbero presto state uccise o dalla propria famiglia o dalla comunità per preservare l’onore della famiglia. In alcuni villaggi, nell’estrema periferia del paese, al confine con il Pakistan, dove la dottoressa ha operato per un periodo, il potere dei talebani è talmente forte che se una famiglia si oppone all’esecuzione della propria figlia tutti i suoi membri vengono sterminati.

La dottoressa Lima ha anche deciso di procurare farmaci contraccettivi alle donne che vengono obbligate a partorire un figlio dietro l’altro dai propri mariti, mutilando così il proprio corpo e rischiando addirittura la vita.

Anche questa non è un’operazione semplice, perché spesso i mariti dopo un certo periodo di infertilità delle proprie mogli iniziano a sospettare che ci sia qualcosa dietro. La dottoressa ha convinto le sue pazienti, in questi casi, a portare il marito direttamente da lei, così da poter dare una falsa spiegazione medica alle mancate gravidanze, e cercare in questo modo di alleggerire il carico psicologico che queste donne sono costrette a sopportare.

Durante i suoi anni di attività a sostegno delle donne ha anche aiutato Abir, madre di sei figli, a ingaggiare una battaglia legale contro il marito, che risposatosi l’aveva rinchiusa nella stalla con il bestiame.

Per poter perseguire la sua missione, la dottoressa Lima si è trasferita più volte all’interno dei confini del suo paese, dall’estremo oriente, al Kunar nel nordest.

Proprio mentre lavorava nel Kunar, dopo una serie di lettere minatorie che affermavano che le sue attività erano contro l’Islam, i talebani sono passati all’attacco. Era a casa e suo figlio stava giocando nel cortile, quando ha sentito un’esplosione e ha trovato il bambino coperto di sangue. Per fortuna le numerose ferite alla gamba non erano incurabili e il bambino adesso ha ripreso a camminare con l’aiuto di un bastone.

Pochi mesi dopo suo fratello 22enne è stato assassinato e così lei è stata costretta a spostarsi di nuovo e nascondersi in un’altra zona per continuare la sua missione.

"Voglio servire il mio Paese e il mio popolo che ha sofferto molto. Non posso starmene a casa con le mani in mano", afferma. "Mio figlio è stato ferito e mio fratello ucciso per colpa del mio lavoro, ma io non mi sono mai arresa. Non si può svolgere questa attività senza incorrere nella sofferenza. In Afghanistan, tutte le donne soffrono".

Picture credits: Woman.doki.it; il fazioso.com; the postintenazionale.it

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Articolo pubblicato il 25/01/2015