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ESSER GRANATA VUOL DIRE FEDE E AMORE: Il punto su un giocatore che non ha capito o che ha dimenticato cosa voglia dire giocare nel TORO

La stagione ordinaria di un calciatore professionista del nuovo millennio, è caratterizzata da alcuni “step”, diventati ormai routine: cominciare la stagione, a Luglio, con una squadra, cambiare casacca a preparazione inoltrata, verso fine Agosto, e finire la stagione con una terza maglia, durante la sessione invernale di mercato.

Tutto questo, ripeto, ormai consuetudine, porta chiaramente ad un allontanamento, un disamore, verso il tanto rimpianto dai tifosi, “attaccamento alla maglia”.

Poi, naturalmente, il “come” tuffarsi in una nuova realtà sportiva a stagione iniziata, varia da persona a persona, da giocatore a giocatore, ma è sempre più frequente assistere a scene del tipo “non esulto per rispetto alla mia vecchia squadra”, per non parlare dell’ormai classico “vestire questa maglia è un sogno che si avvera”.

A parte la retorica, con un andazzo del genere, soprattutto per un attaccante, esultare diventa dura.

Ma come dicevo, c’è modo e modo.

Uno è quello messo in atto da Mattia Destro, dopo aver segnato la rete del pareggio in Bologna – Roma (2 – 2) il 21 Novembre scorso: rigore, goal, corsa a perdifiato sotto la curva felsinea, con denudamento annesso. Tre giornate di squalifica, tifosi in delirio.

L’altro è quello messo in sceneggiata da Fabio Quagliarella dopo il temporaneo pareggio in Napoli – Torino (2 – 1) il giorno della Befana: nessuna esultanza, mani giunte, scuse al pubblico partenopeo (sic, ndr), che per altro lo aveva insultato pesantemente fin dal primo minuto di gioco, non avendogli mai perdonato il trasferimento alla squadra che gioca a Venaria, nel 2010. Nessuna squalifica, tifosi del Toro incazzati neri.

Questa è forse la classica goccia che fa traboccare il vaso, la rottura quasi definitiva tra giocatore e tifoseria.

Perché sempre nello stadio di Venaria, in occasione del Derby di Coppa Italia del Dicembre scorso, il sopracitato, ha avuto la bella idea di scambiare baci, abbracci e maglia con gli avversari, dopo una delle sconfitte più umilianti nella storia della stracittadina, da parte dei granata.

Perché in occasione del Derby del 26 Aprile 2015, pur regalandoci una vittoria che mancava ormai dall’età Paleolitica, si è guardato bene dall’esultare.

Perché in Udinese – Torino (2 – 0) del  5 Ottobre 2008, esultò alla grande, dopo aver segnato il goal del vantaggio dei bianconeri, guarda che combinazione.

Mi spiace caro Sig. Quagliarella, ma non ci siamo.

Personalmente non giudico un calciatore a seconda del “grado di esultanza”, attaccante o meno che sia, anche perché ci sono stati, nel recente passato, fulgidi esempi di corse sotto la curva, che a fine stagione si sono tramutati in corse altrettanto pronte, verso il “calcio che conta” (con i risultati che sappiamo); guardo piuttosto, sempre e comunque l’impegno sul campo e questo, bisogna ammetterlo, non è mai mancato al giocatore in questione.

Ma giunti a questo punto, visti i precedenti, ci troviamo davanti ad un vero e proprio “break point”: la tifoseria, più o meno calda, più o meno schierata, è semplicemente imbestialita, furibonda, furente e pronta ad esplodere.

Anche sui vari social si è scatenata campagna “anti-Quaglia”, dove non sono mancati insulti e minacce, condannabili, ci mancherebbe altro, ma ampiamente prevedibili.

Sono curioso di vedere cosa succederà domenica prossima, in occasione della partita con l’Empoli, soprattutto da parte della Curva Maratona, quella che comunque ha ri-accolto il giocatore a braccia aperte, nonostante i precedenti e che, come ringraziamento ha ricevuto le sberle di cui parlavo poc’anzi.

Sberle che fanno male e che neanche delle scuse pubbliche riusciranno a lenire.

La soluzione, auspicata dai più e che condivido: trasferimento entro fine Gennaio e amici come prima, si fa per dire.

P.S. E non ci sono lettere di scuse che tengano.

F. V. <3 G.

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Articolo pubblicato il 08/01/2016