The Dressmaker - Il diavolo è tornato

Regia e sceneggiatura: Joselyn Moorhouse

Soggetto : Rosalie Ham (tratto dal suo omonimo romanzo)

Fotografia : Donald McAlpine

Kate Winslet: Myrtle "Tilly" Dunnage

Judy Davis: Molly Dunnage

Liam Hemsworth: Teddy McSwiney

Hugo Weaving: Horatio Farrat

Sarah Snook: Gertrude "Trudy" Pratt

Sacha Horler: Una Pleasance

Caroline Goodall:Elsbeth Beaumont

James Mackay: William Beaumont


Australia 1951. Myrtle “Tilly” Dunnage torna a Dungatar, il suo paese natio,  sperduto villaggio di poche anime nel bel mezzo del nulla. La sua lunga assenza, durata 25 anni, ha un suo perché ben preciso che Tilly, ora che è diventata un'affermata stilista a Parigi, è decisa a riportare a galla e a vendicare, armata di charme e di abilità sartoriale.

Tratto dal romanzo di Rosalie Ham, The Dressmaker promette fuoco e fiamme sin dalle prime immagini, ben costruite, divise fra l'arrivo a Dungatar di Tilly, somigliante al ritorno di un pistolero che deve regolare vecchi conti – soltanto che al posto di un fucile qui troviamo una macchina da cucire – e i frashback che ci mostrano una Tilly ancora bambina, quando viveva a Dungatar in una condizione non propriamente felice, tant'è che ne fu cacciata con l'accusa di omicidio.

Ed è proprio per far chiarezza su questi fatti, che la traumatizzarono a tal punto da non farle più ricordare ciò che realmente successe, e che portarono sua madre alla pazzia, che Tilly irrompe come un terremoto nella piccola comunità di Dungatar, composta per lo più da aridi bigotti.

L'entrata in scena di Tilly solleverà molta polvere, stuzzicando l'interesse dei giovani locali e persino facendo tornare la voglia di essere tali alle donne del luogo.

Ma le sue intenzioni non sono assolutamente pacifiche : la sua educazione oltreoceano sposterà l'equilibrio della piccola comunità, incentrato sinora sulle autorità locali (il sindaco, il farmacista, la maestra) alla liberazione di sé, del proprio corpo e alla voglia di affermarsi come singolo.

Ed è qui che la regista sceglie quale via far prendere alla storia.

Se avesse optato per una scelta più coraggiosa, più in stile sarcasticamente britannico, ecco che la vendetta di Tilly avrebbe avuto  un sapore del tutto diverso, nettamente più potente ed efficace, ma Joselyn Moorhouse sceglie una via più sentimentale, lasciando lo spettatore a tratti disorientato sull'andamento della storia.

Sia chiaro : i fatti come stanno devono venire a galla un po' alla volta, ma una mano più ferma alla regia, e forse leggermente più cinica nel senso non malvagio del termine, avrebbe condito lo sgretolarsi dell'ipocrita comunità dell'outback australiano con una salsa più forte e dai risultati più decisi.

L'intero cast di tutto rispetto, dalla fascinosa, determinata e sempre bravissima Kate Winslet a quel mostro di bravura di Judy Davis, qui imbruttita all'inverosimile per interpretare la madre di Tilly, donna un tempo forte ma piegata dal dolore della partenza forzata della figlia, allo sceriffo mal celatamente en travesti di Hugo Weaving, sino a tutti i membri della comunità, tanto pronti a distorcere la realtà a loro piacimento quanto a far la bella faccia per avere un aspetto migliore per poi rimordere la mano che li ha aiutati. Meritava un polso più fermo e determinato al loro timone , una regia che rispettasse i patti senza scendere a compromessi con la gentilezza (qui decisamente fuori contesto) o con quella parte di leggera ruffianeria che allontana la storia dal suo plot principale.

Soltanto il finale riporta la storia sui binari principali della sua storia, e la battuta fra Tilly ed il controllore del treno vale da sé il prezzo del biglietto.

Un film godibile ma incerto che vale senza dubbio la pena di essere visto, più per il cast che per la regia. 

Elisabetta Gallo

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Articolo pubblicato il 02/05/2016