La foresta dei sogni (The sea of trees, 2016)

Regia: Gus Van Sant

Sceneggiatura: Chris Sparling

Fotografia: Kasper Tuxen

Musica: Mason Bates

Matthew McConaughey: Arthur Brennan

Ken Watanabe: Takumi Nakamura

Naomi Watts: Joan Brennan

 

Un professore di fisica, lo statunitense Arthur Brennan, si reca in Giappone, senza preoccuparsi di acquistare un biglietto per il suo ritorno : egli è diretto alla foresta Aokigahara, ai piedi del monte Fuji, noto luogo di notevole bellezza, scelto da molti quale luogo ideale per togliersi la vita.

Non appena egli trova un luogo, nella radura, a lui congeniale per portare a termine il suo proposito, si accorge che un uomo, un giapponese, sembra essersi smarrito nella foresta e che ha un evidente bisogno di aiuto. Arthur decide di aiutarlo portandolo fuori dall'immenso “mare d'alberi” ma non riesce più a trovare la strada da cui è provenuto.

La foresta dei sogni, o meglio The sea of trees, data l'ingombrante goffaggine naive del titolo italiano, è il nuovo film del regista Gus Van Sant.

Le premesse sono notevoli, dato il cast composto da Matthiew Mc Conaughey, Naomi Watts e da Ken Watanabe, e la scommessa in gioco è alta, poiché il film, attraverso i flashback che lo percorrono, racconta la storia di una parte della vita di Arthur Brennan, quella in cui il suo matrimonio con Joan va in pezzi, ma dice anche molto più di questo, perché Gus Van Sant decide di seguire una via coraggiosamente ed apertamente mistica in questi tempi in cui tutti applicano lo scetticismo non soltanto ad ogni occasione in cui ci sia l'opportunità di esprimere un opinione , ma come se fosse, si perdoni la prosaicità dell'esempio, la proverbiale marmellata sul pane.

Per averne un esempio basti pensare che la maggioranza della critica internazionale non si sia nemmeno soffermata un attimo sul valore dell'opera in sé, ma che abbia badato tout court a stroncare il film come se fosse un qualcosa da gettar via o da etichettare prima ancora di averlo visto. E qui sta l'errore fondamentale. 

The sea of trees è un film che può non piacere, ma non si può non riconoscergli il coraggio di avvicinarsi a qualcosa di più grande della quotidianità. Perché, grazie al cielo, viene anche voglia di dire basta a tutta questa piattezza di cui tutti ci lamentiamo ma che spesso diventa l'arma con cui si denigra chiunque o qualsiasi cosa voglia allontanarsi da essa. E' troppo comodo lamentarsi di qualcosa di bidimensionale ma tacciare di imbroglio qualsiasi tentativo di comprensione della profondità, di interpretazione di cosa possa esserci “oltre”, sia esso inteso come oltre l'orizzonte visibile o come un oltre la materialità della vita.

Innanzi tutto analizziamo il film in quanto tale : il cast è ottimo, e funziona alla perfezione. Matthew McConaughey da al suo personaggio la giusta misura di un uomo che non prova più interesse per nulla, nella prima parte del film, così come nella seconda rende il suo Arthur Brennan assolutamente determinato nel salvare Takumi Nakamura, l'uomo smarrito nella foresta. In una particolare scena, Brennan riesce ad aprirsi con Nakamura, nottetempo, su molti aspetti della sua vita che sinora non riusciva a dire nemmeno a se stesso, e McConaughey fa “vivere” il suo personaggio con un'intensità ed una bravura che giustificano pienamente, se ancora ce ne fosse bisogno, il suo più che meritato oscar di due anni fa.

Ken Watanabe crea apposta il suo personaggio come se non fosse lì, eppure lo colma di disperazione, di paura e di rimorso ; giunti all'epilogo sarà facile cogliere la sua bravura nel creare un personaggio dalla funzione così sottile eppure talmente profonda da renderlo la chiave di lettura dell'intero film (ovviamente non è possibile essere più  chiari di così se non rischiando lo spoiler).

Naomi Watts è Joan, una donna forte ma con un problema di alcolismo dinamico, quindi invisibile ai più. Joan ama la vita, e come molti di noi ne comprende il vero senso un attimo più in là del dovuto, dopo aver ferito e dopo esserne stata ferita, esattamente come suo marito Arthur.

L'ambientazione è a dir poco suggestiva : se in The Revenant colpivano le prime tre o quattro volte in cui si vedevano gli alberi ripresi dalla base per farci sentire la piccolezza dell'uomo dinanzi alla grandezza della natura dopo di che si era capito il concetto, qui la foresta sembra talmente viva da trasmettere un senso di respiro allo spettatore per tutta la durata del film, e non pare mai uguale a se stessa, sia per il senso di smarrimento dei due uomini, sia per la luce, mai identica, sia per il significato ancestrale e misterioso (perché poi dovremmo sentirci ridicoli usando questo termine?) che trasmette in ogni fotogramma.

I numerosi flashback inseriti nel film rendono chiara la trama, ma lasciano il campo aperto a chi voglia vedere qualcosa di più oltre ai dolorosi litigi di coppia; essi aiutano lo svolgersi del film a lasciare la mente aperta, perlomeno a chi lo voglia fare, affinché si possano recepire i molteplici messaggi contenuti nel film stesso , affinché chi voglia coglierne il proprio significato, fosse anche per confrontarlo con la propria vita, possa farlo.

The sea of trees contiene molta simbologia e molti archetipi : amore, delusione, perdita, impossibilità di correggere gli errori fatti o subiti, desiderio di morte e non ultimo il considerare che possano esistere altre dimensioni al di là della nostra comprensione in cui la morte stessa non sia un limite del tutto chiuso.

E' quindi facile rendersi conto di quanto un film di questo genere, oggi più che mai, possa essere un facile bersaglio per la maggioranza, sempre pronta a storcere il naso dinanzi ad ipotesi e teorie di questo tipo. Ma per chi non voglia chiudere così facilmente i propri “confini” mentali, questo film rappresenta un'ottima occasione per riflettere su se stessi, sulla possibilità che esista un qualcosa di più oltre a ciò che vediamo e tocchiamo e perché no, sulla propria sensibilità nel vedere e nel recepire un film di questo tipo, oltre che nel banale guardarlo.

Non a tutti The sea of trees potrà piacere, perché nessuno qui parla di perfezione, dal momento che il tema è su di un livello molto personale : ma di certo un opera di questa portata merita almeno il rispetto per gli argomenti, profondi quanto difficili, che Van Sant tratta parlandoci di spiritualità, anche se per molti questa parola sembra (erroneamente) essere diventata un sinonimo di ridicolo.

Come è stato detto, parlando in altra sede proprio di questo film : “l'opera ha un valore innegabile se si ha la sensibilità di saperlo cogliere.”  

Elisabetta Gallo

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Articolo pubblicato il 05/05/2016