Ritratto d’attrice: Emily Blunt

Trentatreenne attrice inglese dalla brillante e promettente carriera

Conosciuta al grande pubblico per il suo ruolo ne Il Diavolo veste Prada, reduce dal recente flop de Il cacciatore e la regina di ghiaccio, la britannica naturalizzata statunitense Emily Blunt ha alle spalle una filmografia di tutto rispetto, nonostante la giovane età. Sebbene al cinema non abbia ancora avuto importanti ruoli da prima attrice, è tra le più promettenti interpreti della sua generazione, già coinvolta in grandi produzioni internazionali.

Nata nel 1983 a Londra, madre attrice e padre avvocato, Emily Olivia Leah soffre dalla tenera età fino all’adolescenza di balbuzie. Per affrontare il disturbo, un insegnante le consiglia di buttarsi nella recitazione, attività che la appassiona tanto da proseguire gli studi in questo senso. Come ogni attore britannico che si rispetti, i suoi primi anni vedono una prevalenza di teatro; il suo debutto avviene nel 2001 con la produzione diretta da Sir Peter Hall di The Royal Family, al fianco di nientemeno che Judi Dench. La critica le riserva numerosi elogi e riceve una candidatura come miglior promessa dall’Evening Standard.

Le altre apparizioni teatrali, sempre in ruoli secondari, contano però il ruolo di Giulietta nel Romeo e Giulietta andato in scena nel 2002 al Chichester Festival Theatre (importante teatro nel Sussex che alla sua apertura sfoggiava come direttore artistico Sir Laurence Olivier).

Nel 2003 appare nei panni di Catherine Howard, quinta moglie di Enrico VIII, nella serie per la televisione britannica Henry VIII, insieme a Ray Winstone e Helena Bonham Carter, un’altra interpretazione che riceve critiche positive.

Il 2004 vede il debutto sul grande schermo, quando la Blunt viene scelta per il ruolo della co-protagonista in My Summer of Love, drammatico film di produzione britannica che tratta il delicato tema dell’omosessualità femminile nell’adolescenza. Diretto dall’acclamato regista anglo-polacco Pawel Pawlikowski, il film narra del tormentato amore tra due ragazze di estrazione sociale differente; vince un BAFTA come miglior film e diversi altri premi. Questo primo, importante ruolo, per il quale Emily vinse un Evening Standard British Film Award come miglior esordiente insieme alla sua collega Natalie Press, vede già delinearsi le principali caratteristiche della sua recitazione; qui Blunt interpreta Tamsin, subdola rampolla altolocata che fa perdere la testa a Mona, che viene da una famiglia disastrata della classe operaia. Il contrasto tra i due personaggi riecheggia nelle interpretazioni delle due giovani attrici, Press più fisica e impulsiva, Blunt più controllata ed elegante.

I suoi modi aristocratici, abbinati ad un contegno altero e (di norma) poco sorridente saranno costanti peculiari della sua recitazione, benché i ruoli a lei affidati non siano sempre da antagonista. Dotata di una bellezza non appariscente ma di un fascino regale ed aggraziato, il suo punto di forza risiede proprio nel calmo distacco apparentemente austero con il quale padroneggia le sue performance. Peraltro appare evidente, soprattutto in tempi recenti, che abbia privilegiato parti che la imbruttissero o nascondessero la sua femminilità.

Per la televisione, Emily appare nella produzione BBC Gideon’s Daughter, pellicola drammatica del 2005, mai uscita in Italia ma di enorme successo in Gran Bretagna. Blunt è Natasha, ombrosa figlia di un addetto alla campagna elettorale laburista, interpretato dal trasognato e magnifico Bill Nighy, drogato di lavoro e odiato dalla figlia per i continui tradimenti alla madre scomparsa e per non essere mai presente. Il rancore lascerà spazio a una difficile riconciliazione in un’interpretazione drammatica e toccante del rapporto padre-figlia, che nel 2007 vale alla Blunt un Golden Globe come miglior attrice non protagonista in un film tv.

Nello stesso anno riceve una seconda nomination nella stessa categoria cinematografica per il ruolo che la porta al successo mondiale, quello della sua omonima Emily de Il Diavolo Veste Prada, la nevrotica assistente della terribile Miranda Priestley, direttore di una famosa rivista di moda interpretata più che magistralmente da quel mostro sacro di Meryl Streep. Nonostante il personaggio di Emily sia poco più che una spalla, benché fondamentale per lo sviluppo dell'intreccio, l'interpretazione di Blunt dà vita ad una figura velenosa e insopportabile quanto esilarante in un'eccellente performance, pungente e senza ombra di dubbio nettamente superiore a quella incolore e senza mordente della sopravvalutata Anne Hathaway, che ha il ruolo della protagonista. Vince un London Film Critics’ Circle Award e innumerevoli altre candidature. Un articolo del periodico britannico dedicato al cinema Empire così descrive la sua interpretazione: “E’ la più o meno emergente Emily Blunt che va molto vicina a rubare completamente la scena come prima assistente di Miranda, passando brillantemente dalla perfidia a momenti di vera disperazione”. Tuttora è una delle sue più brillanti e riuscite apparizioni.

Una curiosità: il suo collega Stanley Tucci (meraviglioso nel ruolo del redattore gay) è diventato suo cognato, avendo sposato sua sorella Felicity.

Dopo alcune apparizioni di poco rilievo o in parti marginali, tra cui quella nel mediocre thriller psicologico Le verità negate al fianco di Susan Sarandon, la commedia romantica Il club di Jane Austen e La guerra di Charlie Wilson, film politico sul membro del congresso americano che supportò gli afgani durante la guerra afgano-sovietica, nel 2008 Blunt appare nella commedia indipendente dai toni drammatici Sunshine Cleaning. Amy Adams è una giovane madre single con un figlio da crescere; quando perde il lavoro avvia un’impresa di pulizie di scene del crimine con la svogliata e ombrosa sorella, interpretata dalla Blunt. Benché il ruolo sia in linea con i suoi precedenti, un personaggio scontroso e piuttosto antipatico, è lampante l’alchimia tra le due attrici, che dà vita ad un ottimo duetto attoriale in un film di perdenti nero ma divertente. Peccato che la Blunt sia, anche in questo caso, la spalla.

Nel 2009 arriva finalmente un ruolo da protagonista, e piuttosto importante in quanto britannica; viene scelta da Jean-Marc Vallèe per interpretare The Young Victoria, pellicola anglo-americana incentrata sui primi anni di regno e sull’amore tra la regina Vittoria e l’adorato principe Albert. Con un cast tutto britannico, il film (scritto da Julian Fellowes, padre di Dowton Abbey, e prodotto, tra gli altri, da Martin Scorsese), mette in luce aspetti della vita della regina Vittoria sconosciuti ai più, ribaltando l’immagine di vedova austera e beghina per la quale viene conosciuta ancora oggi. Blunt, entusiasta della parte, studia per mesi i documenti relativi alla sovrana conservati a Windsor Castle, lettere, diari e dipinti, e ammette di aver voluto interpretarla come una combattente giovane donna innamorata e determinata a svolgere al meglio il proprio ingombrante dovere, anche grazie a una certa dose di arte drammatica. Palpabile la chimica con il connazionale Rupert Friend, interprete del principe Albert. Piovono le candidature, almeno una decina, compresa quella per il Golden Globe, ma di queste vince esclusivamente il tedesco Jupiter Award. Che gli inglesi non fossero pronti a vedere il lato umano della loro mitologica regina? In generale il film viene accolto tiepidamente dalla critica, d’accordo nel sottolineare la buona interpretazione di Blunt, benché senza grandi lodi. The Young Victoria dunque non può ancora essere considerato come il film di Emily Blunt, il film che l’ha vista protagonista indiscussa nelle sale di tutto il mondo, poiché il suo successo è stato più britannico che universale.

Le successive apparizioni al cinema sono decisamente trascurabili (il demenziale I fantastici viaggi di Gulliver con Jack Black, per filmare il quale declina la parte della Vedova Nera nel secondo Iron Man; l’horror grossolano Wolfman, al fianco di Benicio del Toro; il mattone fantascientifico-sentimentale I guardiani del destino), con l’eccezione del buffo Wild Target. In questa commedia nera diretta da Jonathan Lynn, Blunt collabora nuovamente con Bill Nighy, che qui veste i panni di un improbabile sicario assoldato per eliminarla ma che se ne innamora e la aiuta a fuggire. Nonostante il poco successo di pubblico e critica, il film è un piccolo gioiellino da riscoprire, non fosse altro che per l’esilarante cameo da villain di Martin Freeman.

Il regista svedese Lasse Hallström la vuole per Il pescatore di sogni nel 2011. Scritto dallo sceneggiatore premio Oscar per The Millionaire, per dirla con le parole di un recensore il film è “un’assurda ma delicatamente vincente commedia romantica”, in cui un esperto di ittica al servizio del governo britannico, interpretato da Matt Damon, viene contattato da uno sceicco yemenita per dare il via ad un allevamento di salmoni nel deserto dello Yemen. Emily è la consulente finanziaria che supporta lo sceicco, un’interpretazione brillante e spiritosa (e molto più sorridente delle precedenti), che le vale un’altra candidatura al Golden Globe.

Di nuovo rifiuta una parte nel mondo dei supereroi quando declina l’offerta di interpretare l’importante personaggio Peggy Carter in Captain America - Il primo Vendicatore.

Uno sguardo alla corposa filmografia di Emily Blunt rivela una serie di ruoli (cercati o offerti, non fa differenza) sostanzialmente sbagliati, in film riusciti a metà e nei quali l’attrice interpreta spesso personaggi senza evoluzione, non venendo mai valorizzata a dovere, mai messa in luce come dovrebbe essere una brava e talentuosa interprete come lei. Non fanno eccezione la commedia romantica The Five-Year Engagement, i fantascientifici Looper e Edge Of Tomorrow – Senza domani (che fine ha fatto la vera, godibile fantascienza??) e il bizzarro Il mondo di Arthur Newman, film con un Colin Firth malinconico che sarebbe potuto essere un buon palco di prova per un ruolo realmente drammatico e complesso ma che purtroppo si perde nei meandri del già visto.

Nel 2014 partecipa al musical poco fiabesco della Disney Into the Woods, nuovamente insieme a Meryl Streep, dove ha modo di sfoggiare le sue abilità canore interpretando la moglie di un fornaio alla ricerca disperata di prole, che viene tentata dal proverbiale principe. Un personaggio fuori dagli schemi, uno dei meno banali del film, per il quale ottiene l’ennesima nomination al Golden Globe insieme a diverse altre.

L’anno successivo è nel cast di Sicario, crime-thriller americano diretto da Denis Villeneuve che racconta di una giovane e disciplinata agente dell’FBI inserita suo malgrado in una task force la cui missione (eliminare il capo di un potente cartello della droga messicano) la rende preda delle manipolazioni dei suoi compagni. Blunt fornisce un’ottima e tormentata interpretazione, lodata dalla critica; un giornalista del Guardian scrive che nonostante il suo personaggio sia a tratti poco plausibile, Emily “affronta senza imbarazzo qualsiasi assurdità con una grande focalizzazione sulla recitazione e presenza scenica”.

L’ultima apparizione è di nuovo in un film dimenticabile, Il cacciatore e la regina di ghiaccio, dove la regina in questione è proprio lei, algida e appena uscita da un congelatore, in un personaggio che ricorda da vicino l’insopportabile principessina del tormentone disneyano Frozen.

Alla luce di ciò, appaiono incoraggianti i prossimi progetti cinematografici, che potrebbero finalmente scatenare il suo importante potenziale divistico (e magari farsi notare dai membri dell’Academy, che non l’hanno mai degnata di uno sguardo se non per farle consegnare premi ad altri), con due ruoli che promettono di incorniciarla quale protagonista indiscussa. Il primo di questi, attualmente in post-produzione, arriverà nelle sale americane a ottobre (quindi ottimisticamente lo vedremo in Italia a dicembre), e si tratta di The Girl on the Train, thriller tratto dall’omonimo romanzo di Paula Hawkins, caso editoriale del 2015 che ha venduto più di tre milioni di copie in tutto il mondo. Di nuovo alle prese con un personaggio complesso e problematico, Emily è Rachel, alcolizzata e disillusa, che viaggia in treno come pendolare tutti i giorni e vede qualcosa che la coinvolge nel caso di una ragazza scomparsa. L’aspettativa per il film, diretto da Tate Taylor, già regista di The Help, è decisamente alta e speriamo vivamente che sia infine una riconosciuta conferma del talento dell’attrice.

Lo stesso grado di attesa, certamente mista a una buona dose di timore, accompagna la notizia di un imminente sequel di Mary Poppins, dove Blunt andrà proprio a vestire i panni, l’ombrello e la borsa della mitica tata magica, che rese famosa una giovanissima Julie Andrews nel lontano 1964. In programma per il Natale del 2018, il film racconterà del ritorno di Mary a casa Banks, dove i piccoli a cui dovrà badare saranno però i figli di Michael, ormai adulto come la sorella Jane. Augurando alla produzione di non sfornare uno scempio dell’adorato film originale, siamo curiosi di vedere Emily volare per i cieli di Londra in compagnia di altri, fortunati bambini.

E’ di pochi giorni fa la notizia della nascita della seconda figlia di Emily e di John Krasinski, attore e regista americano con il quale è sposata dal 2010.

Con il sentito e ribadito augurio che il futuro le porti fama e riconoscimenti, non abbiamo dubbi nell’affermare che Emily Blunt è, più di altre coetanee, un’ottima scommessa per il cinema internazionale.

 


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Articolo pubblicato il 08/07/2016