Arrival – la fantascienza intimista di Villeneuve

Uno dei più attesi della stagione, il film con Amy Adams affronta la questione della comunicazione con “l’altro”

Anno: 2016

Titolo originale: Id.

Paese: USA

Durata: 116 minuti

Genere: Fantascienza

Regia: Denis Villeneuve

Soggetto: Ted Chiang (racconto)

Sceneggiatura: Eric Heisserer

Cast: Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker

Con decine di candidature e premi già vinti, ben otto nomination agli Oscar e recensioni unanimemente entusiastiche, l’autore pluripremiato di Sicario e La donna che canta, il canadese Denis Villeneuve, va ad aggiungere con Arrival una nuova prospettiva al classico tema dell’incontro con gli alieni.

Tratto da un racconto dell’americano Ted Chiang, Arrival ha per protagonista la linguista Louise Banks, sconvolta dalla prematura scomparsa della figlia. Quando dodici misteriosi “gusci” atterrano in diversi angoli del globo terrestre, la donna è reclutata dall’esercito americano in una squadra di esperti per tentare di comunicare con i visitatori e capirne le intenzioni. Mentre il mondo si lascia andare all’isteria collettiva e diverse potenze mondiali minacciano di attaccare le astronavi, attraverso il paziente studio della scrittura delle creature aliene Louise fa una scoperta sconcertante, che le farà riconsiderare ogni convinzione sulla propria esistenza e sul concetto umano dello scorrere del tempo.

Quante volte il cinema fantascientifico ha tentato di sondare le disparate possibilità di un ipotetico contatto tra l’umano e l’extraterrestre, con esiti del tutto variegati. Con Arrival ci troviamo al cospetto di una fantascienza intimista, interiore, molto concettuale, dove l’azione e la violenza tipica di molti film del genere lasciano interamente spazio a una visione più contemplativa di ciò che per ora rimane nel mondo dell’immaginazione. Il film di Villeneuve assomiglia più a Kubrick e a Interstellar che ai vari kolossal fracassoni con alieni verdi antropomorfi.

Le vertiginose riprese dell’interno dell’astronave si alternano alla storia personale di Louise in un montaggio non lineare, che ha l’apprezzabile capacità di confondere le carte e rendere la visione del film interessante e stimolante. Di fatto, in Arrival non succede molto, ma ciò che ci viene raccontato con atmosfere rarefatte, introspezione e più di una goccia di filosofia, veicola un’intelligente riflessione sull’eterna diffidenza dell’essere umano verso “l’altro”, con ovvie e intrinseche implicazioni, facilmente contestualizzabili nella nuova era Trump.

I paesi interessati dall’atterraggio delle astronavi, dapprima volenterosamente convinti di cooperare per comprendere l’eventuale pericolo per la Terra, che successivamente agiscono da soli pensando non più collettivamente ma egoisticamente sono un triste ritratto della società umana, in una storia in cui i visitatori sono meno belligeranti che mai.

Decine di sottotesti vengono a galla man mano che il racconto procede, arricchendo la trama di per sé scarna, quali la predestinazione, l’accettazione del dolore, il significato di umanità e tanti altri; Arrival è uno di quei film che per essere assimilati fino in fondo vanno visti ben più di una volta.

La fotografia nebbiosa e cupa che immortala tutto lo svolgimento è una perfetta cornice per lo sgomento di Louise, ma insieme all’andamento eccessivamente serioso concorre a rendere il film piuttosto opprimente. E’ forse questo l’unico neo di un film altrimenti affascinante e positivamente cerebrale.

La colonna sonora dell’islandese Jóhann Jóhannsson, Golden Globe nel 2015 per La teoria del tutto e molte volte compositore per i film di Villenueve, è perfettamente in sintesi con la narrazione, con tutta una serie di drammatici suoni “extraterrestri” che rendono bene l’idea di estraneità, diversità, grazie all’utilizzo predominante della voce umana come strumento musicale.

Amy Adams, stella splendente del cinema hollywoodiano (ingiustamente snobbata dagli Oscar sia per questo film sia per il magnifico Animali notturni), conferma il suo ottimo talento drammatico con una performance matura, dolente e sincera, e il film è tutto nelle sue mani. Bravo anche Jeremy Renner nei panni del fisico Ian, che lavora al suo fianco nell’equipe del colonnello Weber, interpretato da un granitico Forest Whitaker.

 

In attesa di vedere la prossima fatica di Villeneuve, Blade Runner 2049, sequel del cult anni Ottanta di Ridley Scott, godiamoci il suo sci-fi metafisico e rarefatto, soprattutto per scoprire con stupore cos’hanno da dirci gli alieni e per meditare sull’importanza della comunicazione e sul valore del tempo.


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Articolo pubblicato il 08/02/2017