Un thriller psicologico che non decolla mai, nonostante le buone prove degli interpreti e un intreccio intrigante
Anno: 2017
Titolo originale: Id.
Paese: USA
Durata: 93 minuti
Genere: Thriller
Regia: Brian Goodman
Sceneggiatura: Marc Frydman, Justin Stanley
Cast: Antonio Banderas, Jonathan Rhys Meyers, Piper Perabo, Abel Ferrara
La caratteristica principale e inscindibile di un buon thriller è senza dubbio riuscire a mantenere alta la tensione nello spettatore, che dovrebbe essere avvinto ed elettrizzato; se manca, il film non si può proprio chiamare thriller. Ecco in sintesi il peggior difetto di Black Butterfly, diretto da Brian Goodman e interpretato da Antonio Banderas e Jonathan Rhys Meyers.
Paul Lopez (Antonio Banderas) è uno scrittore col vizio della bottiglia e senza idee. Vive da solo in un isolato cottage nelle montagne del Colorado, che è costretto a mettere in vendita. Mentre nei dintorni un killer rapisce e uccide diverse donne, Paul ospita a casa un vagabondo, Jack (Jonathan Rhys Meyers), che l’ha aiutato durante una rissa in un bar. Il ragazzo sprona Paul a trovare una nuova storia da poter mettere su carta, suggerendo di raccontare quella del loro incontro, ma ciò che inizia come una pacifica convivenza si rivela essere un incubo claustrofobico.
Ispirato a un film per la televisione francese del 2008, la Black Butterfly del titolo (“farfalla nera”) è quella che l’enigmatico Jack ha tatuata sulla nuca, una specie rara difficile da catturare, o così ci rivela l’uomo in uno dei tanti momenti criptici della storia.
Tra reminiscenze di Misery non deve morire e Secret Window, il film di Goodman parte in sordina e ci mette anche fin troppo ad arrivare al cuore del racconto. L’evolversi dell’intreccio è però molto interessante, soprattutto quando arriviamo alla rivelazione clou, che prende sì il via dal classico capovolgimento “niente è come sembra”, addirittura doppio, ma è nondimeno inaspettata e allarmante, una svolta intelligente (poco importa che sia inverosimile, è pur sempre cinema).
Lo scenario boschivo e addormentato del Colorado, bellezza naturale deprimente, protagonista di suggestive inquadrature, e il cottage in mezzo al nulla dove abita il protagonista sarebbero potuti essere un ottimo set per un thriller; ancora meglio se avessero avuto più spazio in un regia troppo impegnata a raccontare ciò che siamo perfettamente in grado di vedere da soli.
Il problema è che Black Butterfly non decolla mai, è atono e monocorde, e i pochi attimi di suspense del film, sorretti unicamente dall’ottima recitazione degli interpreti, non ripagano del tedio che satura lo spettatore.
Una volta fatta luce sui segreti degli interpreti, il film indugia su flashback decisamente troppo lunghi di avvenimenti visti non più tardi di mezz’ora prima, e che quindi appaiono superflui e sovrabbondanti.
Con una regia differente, gli ingranaggi avrebbero funzionato. Il regista Brian Goodman, attore americano la cui unica esperienza dietro alla macchina da presa risale a Boston Streets nel 2008, è inesperto almeno quanto i due sceneggiatori Marc Frydman e Justin Stanley.
Peccato davvero, perché i due attori protagonisti danno un’ottima interpretazione e sono in piena parte, specialmente Banderas, ombroso e incattivito scrittore con più di una verità da svelare. Rhys Meyers è misterioso e impenetrabile, tipico personaggio da thriller psicologico. Appaiono anche Piper Perabo nei panni dell’agente immobiliare e Abel Ferrara in un piccolo cameo come droghiere.
Un’occasione sprecata per creare un buon thriller dai capovolgimenti disturbanti e con ottimi interpreti.
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Articolo pubblicato il 22/07/2017