“La forma dell’acqua – The Shape of Water”

Dolce e surreale racconto fantasy del visionario del Toro con una splendida interpretazione di Sally Hawkins

Anno: 2017 

Titolo originale: The Shape of Water

Paese: USA

Durata: 123 minuti

Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale

Regia: Guillermo del Toro

Soggetto: Guillermo del Toro

Sceneggiatura: Guillermo del Toro, Vanessa Taylor

Cast: Sally Hawkins, Richard Jenkins, Doug Jones, Michael Shannon, Octavia Spencer, Michael Stuhlbarg

 Prendete il mostro della Laguna Nera e mettetelo in un film romantico turbato da un paio di cattivoni da manuale. Se volessimo una sinossi semplicistica del film favorito alla corsa agli Oscar potremmo così definirlo, ma La forma dell’acqua – The Shape of Water di Guillermo del Toro è ben altro, e i plaudi universali che ha ottenuto sono facilmente spiegabili.

A Baltimora, in piena Guerra Fredda, Elisa è una donna delle pulizie in un centro di ricerca aerospaziale segreto; la ragazza è muta dalla nascita e i suoi unici amici sono Zelda, collega afro-americana e Giles, illustratore gay disoccupato. Nella struttura viene portata una creatura anfibia dalle fattezze umanoidi, con la quale Elisa riesce a stabilire un contatto, scoprendo non un mostro, come il perfido colonnello Strickland vuol far credere, bensì un essere intelligente e sensibile. Quando la ragazza apprende che la creatura verrà vivisezionata, escogita un piano per farla fuggire e nasconderla in casa propria.

Thriller, fantascienza, film sui mostri, improbabile storia d’amore, favola, omaggio al cinema classico… Tutto questo è La forma dell’acqua, inscrivibile in unico genere cinematografico, sorprendentemente fresco e candido con un’infinità di sottotesti nascosti al di sotto dell’apparentemente semplice trama.

L’ultima fatica del regista messicano, abituato a frequentare nel suo cinema incubi e mostri usciti dall’inconscio, compie qui per sua stessa ammissione un viaggio nei propri sogni, dove il mostro, o “la risorsa”, come viene chiamato nel laboratorio, è più vittima che carnefice. La scelta stessa dei protagonisti ci dice che il film è, oltre che un delicato e in qualche modo divertente racconto sulla diversità, anche e soprattutto una favola sulla rivincita dei perdenti, che culmina in un finale surreale quanto confortante.

Elisa, protagonista silenziosa ma incredibilmente vitale, emarginata per natura, ha come unici contatti umani quelli con due personaggi “alieni” quanto lei, una perché di colore, l’altro perché omosessuale. L’uomo-pesce entra quindi in un mondo di diversità dove la sua non sembra essere così eclatante, o perlomeno non viene percepita come fonte di sicuro pericolo e quindi giustificazione per la sopraffazione.    

Insieme alle tante citazioni cinematografiche e all’esplicito messaggio d’amore per la settima arte - Elisa vive in un appartamento sopra a un cinema, sempre semivuoto ma non per questo meno suggestivo, sono evidenti i richiami alla storia de La bella e la bestia, mentre la scena di danza è una citazione letterale di un film con Fred Astaire e Ginger Rogers - uno degli elementi che rende La forma dell’acqua un film affascinante è l’apparente atemporalità; deduciamo dal contesto che i fatti si svolgono nei primi anni Sessanta, ma come d’abitudine nell’opera di del Toro i protagonisti sembrano congelati in uno spazio-tempo piuttosto fumoso.

Ciò è reso possibile anche dalla superba fotografia, curata dal danese Dan Lausten, già collaboratore di del Toro in Crimson Peak, dove l’acqua, elemento chiave dell’intera vicenda, sembra permeare ogni inquadratura, con infinite sfumature di verde e blu, e dalla scenografia di Paul D. Austerberry. Tutto concorre a creare la particolare estetica del film, a metà tra Baz Luhrmann e Tim Burton, con una grande attenzione al dettaglio.

In una pellicola dove la protagonista non parla e il coprotagonista è anfibio era fondamentale un accompagnamento musicale in grado di inserirsi nei lunghi silenzi, e la bellissima colonna sonora di Alexandre Desplat ci riesce benissimo; splendidi i vari brani, tra cui Glenn Miller e una toccante versione di You’ll Never Know cantata niente meno che da Renée Fleming.

Il film ha vinto la Palma d’oro come miglior film all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, ha ottenuto la bellezza di tredici candidature ai premi Oscar, vinto due BAFTA, due Golden Globes e decine di altri premi minori.

Sally Hakwins, attrice britannica ultraquarantenne e non proprio di una bellezza appariscente è perfetta nel ruolo di Elisa; la sua caratterizzazione minuta dei piccoli riti quotidiani della donna e la sua grandissima espressività la consacrano nel novero delle grandi attrici, e ci auguriamo più ruoli da protagonista per lei, in futuro. La creatura anfibia di cui si innamora Elisa è stata costruita non tramite computer ma con una vera e propria tuta, indossata dall’attore e mimo Doug Jones. (Il film, contrariamente a quanto si possa pensare vedendolo, è stato realizzato con un budget piuttosto ridotto, e molte scene che sembrano frutto di complicati effetti speciali sono invece costruite artigianalmente).

Bravissimi gli attori secondari, su tutti Octavia Spencer nei panni della schietta e risoluta Zelda. Richard Jenkins è quasi commovente nel ruolo del timido e bistrattato Giles, mentre Michael Shannon è un colonnello Strickland genuinamente odioso, in un ruolo che ricorda alcune precedenti interpretazioni dell’attore americano.

Una favola insolita e originale, visivamente ammaliante, opera di un regista visionario che dirige una protagonista incantevole. Da vedere.

 

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Articolo pubblicato il 21/02/2018