L’idroscalo di Torino. Quando il Po diventò la prima tratta aerea italiana
Un idrovolante Cant 10 diretto all'idroscalo

Diapositive dal 1926. Storie di una Torino che era all'avanguardia, e di quei pazzi sulle loro macchine volanti.

Oggi non sono in molti a conoscere i tanti primati della città di Torino, pionieristica avventuriera in quel fermento di rivoluzione tecnologica, fatta di motori ruggenti e macchine volanti, che fu prerogativa temporale del “grande dopoguerra” 14-18. L’idroscalo è uno di questi.

La città di Torino ospitò la tratta aerea Trieste-Torino-Trieste, prima linea regolare in Italia, coperta da idrovolanti con fermate in altri idroscali a Venezia e Pavia. Il volo inaugurale avvenne il 16 ottobre 1926. Si trattava di una linea per il trasporto civile di facoltosi, coraggiosi passeggeri e, di posta e di merci. Il mezzo prescelto, l’idrovolante, era il tipo di velivolo che conobbe il massimo del suo successo in quell’epoca, grazie alla versatilità del suo impiego che non richiedeva piste e aeroporti.

Infatti, l’idroscalo con l’hangar per il carico merci e passeggeri, si trovava sul fiume Po, tra ponte Umberto e ponte Isabella. Il grande fiume poi, in quel tempo di volo ben poco strumentale, era la “rotta” segnata per il volo a vista del pilota a cui bastava seguirlo per raggiungere le tappe e gli altri idroscali 

La struttura dell'idroscalo con un aereo in arrivo

La tratta, che venne poi estesa fino a Zara, prevedeva di raggiungere Barcellona via Genova, Nizza, e altre soste in territorio francese. La linea aerea era la S.I.S.A. acronimo di: “società italiana servizi aerei”, fondata dai fratelli triestini Cosulich. L’attività della linea, diventata poi, in quegli anni di “grandezza dell’impero fascista” una tratta secondaria, sarebbe proseguita fino al 1934, quando fu assorbita e poi dismessa dalla S.A.M, “società aerea mediterranea”. Il locale dell’idroscalo, dall’architettura originale, dopo essere stato trasformato in un luogo di ristorazione, sarà poi abbattuto nel 1954 per favorire la circolazione fluviale. L’unica struttura conservata è quella dell’idroscalo di Pavia

Furono dunque pochi anni di primato, durante i quali, gli aeroplani per il trasporto civile e atterraggio su pista si erano evoluti moltissimo per confort, capienza e prestazioni. A partire dal 1934 infatti, il traffico aereo civile sarà trasferito all’aeroporto Gino Lisa, operante dalla zona Mirafiori, ma fino a quel tempo l’idroscalo fu il terminal a nord-ovest per una linea che copriva tutta la pianura padana, fino a superare l’Adriatico e raggiungere Zara

Il servizio iniziale era svolto da una flotta di 4 idrovolanti Cant 10, progettati nel 1924 dall’omonima fabbrica aeronautica, proprio per soddisfare le caratteristiche richieste dalla committente società S.I.S.A.

Il Cant 10 si dimostrò essere un affidabile biplano monomotore con una potenza di 300 cavalli. La velocità di crociera era di circa 140 km/h, l’equipaggio era formato inizialmente dal solo pilota e oltre al vano di carico, era previsto l’alloggiamento per tre passeggeri, portato fino a 6 nelle seconde versioni 10Ter, con motore da 400 cavalli. Dal 1929 i Cant 10 furono saltuariamente affiancati da un paio di Cant 22 acquisiti dalla medesima società per altre linee. Il 22 era anch’esso un idrovolante, un nuovo modello trimotore con 8-10 posti, 3 uomini d’equipaggio, maggiore capienza e migliori prestazioni generali.

 

Un idrovolante Cant10 a Trieste. Notare il vano passeggeri a prua e il posto di pilotaggio sopra il velivolo

Nel solo primo anno dalla fondazione, la linea aerea aveva coperto oltre 238.000 km, per il totale dei suoi 575 collegamenti, trasportando 1588 passeggeri, 13.500 kg di merci e 13.000 kg di posta senza mai incorrere in un incidente di qualche rilievo. Il viaggio veniva coperto in circa 5 ore compresi gli scali e il prezzo del biglietto variava dalle 300 alle 375 £. a quel tempo decisamente poco ''low cost'', pari a un mese di stipendio di un professionista, in cambio di un viaggio emozionante e poco confortevole.

La carlinga dell’aereo infatti, non era pressurizzata e riscaldata, e i passeggeri erano soggetti a correnti d’aria e temperature climatiche. Inclusi nel biglietto vi erano dunque una coperta e una borsa d’acqua calda, oltre a batuffoli di ovatta per contrastare il rombo del motore posizionato sopra la carlinga.

Non solo non esistevano né hostess né servizi degni di questo nome, ma ai passeggeri era proibito di interagire con il personale di bordo. Diapositive d’altri tempi italici, quando anche sui tram vi era scritto: “è severamente vietato parlare al conducente” e sui treni, “è  pericoloso sporgersi dal finestrino”… E nessuno gettava una cicca in terra…

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Articolo pubblicato il 15/09/2018