Il senso del benessere

La pratica

 

Proiettati verso il futuro. Ricordo la mia insegnante di terza elementare che c’incalzava con frasi di questo genere, cercando di imprimere uno stimolo ad agire “per il vostro bene”, era la prassi durante il boom economico, erano gli anni Sessanta.

Un altro secolo che non c’è più, è già un passato remoto.

Poi, una dozzina d’anni più tardi, incontro un guru indiano che dice “l’infelicità è un piede nel passato ed uno nel futuro”… Faccio due conti e inizio a gabolare (espressione in lingua piemontese che significa pressappoco “trafficare, architettare, tramare qualcosa”). La mente frulla, penso a tutte le avventure, gli eventi, a tutte quelle circostanze in cui dici “col senno di poi avrei agito in un altro modo”. E’ passato, non torna più, chi s’è visto s’è visto e chi non c’era era assente. D’altra parte il futuro non c’è ancora, è tutto un chissà… Lassa pèrde, direbbe mia nonna.

Emerge la consapevolezza che è vero, avere troppa attenzione per il passato e per il futuro ti fa perdere il presente, che poi è l’unica realtà che riesci a vivere… e allora? Sorge la necessità di cercare una forma pratica, una tecnica, una disciplina che ti permetta di realizzare il progetto di vivere nella massima serenità possibile.

Mio nonno ha lavorato in India dalla fine dell’ultima guerra fino ai primi anni Sessanta; ho ancora un vago ricordo del suo ritorno, con la valigia di cuoio, in un assolato pomeriggio. Da lì in poi mi portava in giro con la sua 500 bianca, e mi raccontava dei suoi viaggi, dei santoni e dei guru, dei templi e dei monumenti di pietra. Questo è stato lo spunto che mi ha portato ad approfondire l’argomento e sperimentare, già dall’età di sedici anni, alcune forme di meditazione.

Come fotografo ed appassionato di montagna andavo spesso per sentieri e valli, fermandomi a volte per ore a meditare sui massi, da dove potevo contemplare il paesaggio e trarre ispirazione per scattare foto di natura. Era l’inizio di un percorso che continua ancora a condurmi nell’esplorazione di quanto voglio ancora scoprire dentro e fuori di me.

Oggi questa scelta ha un valore aggiunto dato dall’esperienza: dopo aver praticato alcune discipline, conosciuto maestri e guru, frequentato scuole di vari indirizzi filosofici, ho capito che non c’è tecnica perfetta, quella migliore, meno che mai ce n’è una che ha la verità.

La scelta quindi è soggettiva ed è dettata dalle circostanze del momento, da come pensiamo di agire per il nostro benessere, dobbiamo stare dove ci sentiamo a nostro agio. E' questione di sensibilità e di sapersi ascoltare.

 

Lettura suggerita: Gianpietro Sono Fazion, Una stella a oriente, Edizioni Appunti di Viaggio.

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Articolo pubblicato il 26/08/2019