Registrazioni sul processo Mediaset. Verità e giustizia per Silvio Berlusconi?
Quelle notizie che nel 2013 fecero il giro del mondo oggi sotto una nuova luce

Le rivelazioni di Amedeo Franco, le smentite di Antonio Esposito, fantasmi di un evento del 2013 che affondò il premier di FI. È tempo di un’altra storia?

Tre giorni fa una registrazione audio, già riportata da “Il Riformista” e ora da “Il Tempo”, è diventata un fatto politico. La registrazione contiene dichiarazioni del magistrato Amedeo Franco, nel frattempo deceduto, relatore in Cassazione nel processo Mediaset-Agarma, quando il 30 luglio 2013, Silvio Berlusconi riportò una condanna a 3 anni e 8 mesi per frode fiscale. Reato di cui il Cavaliere continuò a protestarsi innocente.

Dalla voce registrata emerge l’ipotesi che il Cavaliere fu incastrato. Come riferito, si trattò di un “plotone di esecuzione” e le forti pressioni riportate da Amedeo Franco dovevano sfociare in una condanna a prescindere, in quanto l’indagato era reputato “un mascalzone”.

La vicenda portò Berlusconi ad essere estromesso dal Senato e condannato a lavori socialmente utili (che scontò con dignità), nonostante fosse stato “trattato ingiustamente”, così come sostenuto dal medesimo magistrato; con tanto poi di applicazione retroattiva della legge Severino.

Notizia di portata internazionale

Fu solo l’ultima di una sequenza di inquisizioni indirizzate al leader degli azzurri, fin dal suo primo governo del 1994. Scomodo ostacolo all’eredità di “mani pulite” che già immaginava il governo tra le sue “mani” dopo aver eliminato il pentapartito? Ma questa è un’altra storia.

Dalla voce di Forza Italia, risulta chiaro che fu un “golpe politico” andato a segno e ordinato “dall’alto”, da quel gotha politico finanziario che oggi, un’indagine che sarebbe dovuta, dovrebbe andare a “verificare” con medesima solerzia, nel nome del popolo sovrano. Cosa che in quest’Italia dei troppi misteri, difficilmente accadrà.

Intanto la Cassazione ha replicato: "non risulta che il consigliere Amato abbia manifestato un dissenso" e ribadisce che il processo a Berlusconi si svolse "nel pieno rispetto del giudice precostituito per legge" e il dossier venne assegnato a un collegio "già costituito in data anteriore all'arrivo" degli atti in Cassazione. Due voci, due verità. La partita è in corso.

Altrettanto stridente è constatare che uno scoop di tali proporzioni non è  trattato dall’informazione pubblica come a suo tempo lo fu quell’“affarie” Berlusconi-Mediaset. Tempi bui per lui; già nel 2011 il Cavaliere aveva abdicato da presidente del consiglio, incalzato sempre dalla magistratura , da scandali e da da un asse politico economico italo francese determinato a sostituirlo.

A quel tempo, l’informazione non si fece scrupoli nel dipingere l’Italia come una “repubblica delle banane” ridicolizzata e governata da un inadeguato leader. Strano fu l’andamento dello spread, mai più così alto.

Che invece, dietro ci fossero manovre di “ben oltre il palazzo”, per chi aveva a quel tempo orecchie e occhi attenti, e privilegiate fonti, era evidente, ma “contro la forza la ragion non vale”, e non vi è forza più potente di una ipotetica magistratura di parte.

È stato uno scenario che in due round fece fuori un grande capofila scomodo ai disegni egemoni della sinistra e nel qual caso, non affondò solo il Cavaliere, ma il senso stesso della democrazia. Chi si ricorda le dimissioni del 2011, non ha dimenticato le forti tensioni sociali che in alcuni momenti sfiorarono scontri di piazza, dividendo la nazione.

Martedì 30 giugno, con Berlusconi, il lato destro del parlamento si è schierato compatto, invocando da FI, per voce di Tajani non solo un’indagine sulla vicenda ma: “su tutto un cattivo uso della giustizia italiana a partire da quando Togliatti volle inserire giudici provenienti dal PCI”. Mentre la capogruppo di FI Bernini ha chiesto che il Cavaliere venga nominato senatore a vita, dipingendo Berlusconi “un gigante della politica che deve essere riabilitato”.

Giorgio Mulè ha definito i fatti: «furto di democrazia che trovò terreno fertile nei palazzi, salendo fino al Quirinale guidato all'epoca da Napolitano», mentre Maria Stella Gelmini ha ricordato come Berlusconi era: «l’uomo  che per 20 anni aveva ottenuto il consenso di milioni di italiani»; intanto i parlamentari di Forza Italia mostravano degli striscioni con su scritto: “Verità per Berlusconi” e “Giustizia a Berlusconi”,

Verità e giustizia sono due parole magiche sulle quali non vi dovrebbe essere né fazione né bandiera, ma chiarezza. È su questo punto che, bissando un inspiegabile silenzio della sinistra, da cui solo Matteo Renzi ha ritenuto doveroso il bisogno di indagare, anche l’informazione non ha reagito compatta, quasi come se si temesse un’ondata di ritorno internazionale a favore del Cavaliere, divulgando voci a sua discolpa.

Un pensiero libero da rugginose sudditanze ideologiche invece, scorre e reclama che la notizia sia approfondita e ogni verità diffusa. In questi termini gioverebbe non soltanto all’ex premier, ma soprattutto all’immagine dell’Italia; in quel 2013 (ero in Francia), anche la Patria subì imbarazzanti sberleffi da parte della stampa di tutte le sinistre che ci andò a nozze, e non solo quella. L’Italia, da sempre ha pochi amici.

Il sottovoce mediatico invece, alimenta il sospetto di come allora, anche oggi certe scelte dell’informazione seguano istruzioni provenienti “da un altrove” distante dal concetto di unità nazionale e dal quale dipendono. Nel frattempo, ancora una volta Verità e Giustizia, dall’attentato a Mattei alla stazione di Bologna, ai misteri di Ustica, a Enzo tortora, passando per troppi altri errori, silenzi e depistaggi d’ogni mafia, d’ogni loggia ed ogni potere, anche in questo caso sono in ufficiale lista d’attesa.

Il Quarto potere

E mentre il popolo degli italiani brava gente, obbedisce e langue in attesa di pur radi raggi di lucentezza, una pizza Margherita non mancherà mai loro, forse unico emblema tricolore di unità nazionale, su cui tutti sono d’accordo; in ogni parte del mondo.

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Articolo pubblicato il 02/07/2020