Oggi: cinquant'anni fa il divorzio viene introdotto nell'ordinamento giuridico italiano

1° dicembre 1970; l'importanza di questa data per il nostro Paese

Il primo dicembre non è esattamente una bella data se pensiamo all’accadimento più recente: esattamente un anno fa, oggi, venne ufficializzato il primo caso di COVID-19 a Wuhuan, Cina.
Insomma, l’inizio della Pandemia mondiale di COVID-19 tutt’ora in atto.

Ma volendo ‘abbandonare’ il complicato periodo storico che stiamo attraversando, potremmo pensare ad un’alta data, importante e positiva, viaggiando con l’immaginazione indietro nel tempo e nella storia del nostro Paese.
1° dicembre 1970: il parlamento italiano approva la legge che regola l’istituto del divorzio. La legge porta dal nome dei primi firmatari, Loris Fortuna e Antonio Baslini.

In data di oggi, esattamente cinquant’anni fa, il divorzio venne introdotto nell’ordinamento giuridico italiano; nonostante l’opposizione della Democrazia Cristiana, del Movimento Sociale Italiano, della  Südtiroler Volkspartei  e dei monarchici del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica, con i voti favorevoli del Partito Socialista Italiano, del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, del Partito Comunista Italiano, del Partito Socialista Democratico Italiano, del Partito Repubblicano Italiano e del Partito Liberale Italiano, venne approvata la legge 1º dicembre 1970, n. 898 - Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio (la cosiddetta legge Fortuna-Baslini), risultato della combinazione del progetto di legge di Loris Fortuna con un altro pdl presentato dal deputato liberale Antonio Baslini; nello stesso anno il Parlamento approvava le norme che istituivano il referendum con la legge n. 352 del 1970, proprio in corrispondenza con le ampie polemiche che circondavano l’introduzione del divorzio in Italia.

Gli antidivorzisti si organizzarono per abrogare la legge attraverso il ricorso al referendum: nel gennaio del 1971 venne depositata in Corte di cassazione la richiesta di referendum da parte del Comitato nazionale per il referendum sul divorzio, presieduto dal giurista cattolico Gabrio Lombardi, con il sostegno dell’Azione cattolica e l’appoggio esplicito della CEI e di gran parte della DC e del Movimento Sociale Italiano. Dopo un’iniziale contrarietà circa l’uso dello strumento referendario in materia di diritti civili, il Partito Radicale e il Partito Socialista si schierarono a favore della tenuta del referendum e parteciparono alla raccolta delle firme necessarie, mentre lo stesso non fecero gli altri partiti laici, che tentarono di modificare la legge in Parlamento (compromesso Andreotti-Jotti), sia per evitare ulteriori strappi con il Vaticano, sia per l’incognita di un referendum sul cui risultato parte del fronte divorzista era pessimista.

Dopo il deposito presso la Corte di Cassazione di oltre un milione e trecentomila firme, la richiesta superò il controllo dell’Ufficio centrale per il referendum e il giudizio di ammissibilità della Corte Costituzionale.

Il 12 maggio 1974, con il Referendum abrogativo del 1974, meglio conosciuto come Referendum sul divorzio, gli italiani furono chiamati a decidere se abrogare la legge Fortuna-Baslini che istituiva in Italia il divorzio: partecipò al voto l’87,7% degli aventi diritto, votarono no il 59,3%, mentre i sì furono il 40,7%: la legge sul divorzio rimase in vigore.

Successivamente, la normativa fu modificata dalle leggi n. 436/1978 e n. 74/1987. In particolare, con quest’ultima si ridussero i tempi necessari per giungere alla sentenza definitiva di divorzio (da cinque a tre anni) e si diede al giudice la facoltà di pronunciare una sentenza parziale che dichiarasse in tempi brevissimi lo scioglimento definitivo del vincolo, ovvero il divorzio, separatamente dalla discussione sulle ulteriori condizioni accessorie dello scioglimento, ovvero sulle questioni economiche, l’affidamento dei figli e altro.

In tale modo si volle evitare che vi fossero cause instaurate al solo fine di procrastinare lo scioglimento del vincolo matrimoniale. La legge n. 55/2015 ha ridotto ulteriormente i tempi, permettendo il divorzio dopo un anno di separazione giudiziale e dopo sei mesi di separazione consensuale.

Quando si parla di divorzio si parla sia di scioglimento del vincolo matrimoniale sia di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario. Poiché la distinzione tra le due fattispecie non è intuitiva, è opportuno chiarire in che cosa questa consista. Premesso che nell’ordinamento italiano esistono due forme di matrimonio, quello civile e quello concordatario, si parla di scioglimento del vincolo matrimoniale, quando il divorzio interviene in relazione

al matrimonio civile, cioè quello che è stato celebrato soltanto davanti all’ufficiale dello stato civile; si parla invece di cessazione degli effetti civili del matrimonio, quando il divorzio interviene in relazione al matrimonio concordatario (ovvero al matrimonio celebrato in chiesa e trascritto nei registri dello stato civile, quindi con effetti sia civili sia religiosi).

Una particolarità del sistema giuridico italiano è che il divorzio non può essere ottenuto direttamente con il relativo procedimento giudiziario, ma deve essere preceduto da un periodo di separazione personale, oggetto di una precedente procedura congiunta o vertenza giudiziaria, dimodoché il procedimento diventa doppio a distanza di qualche mese o anno. Al procedimento la legge ha voluto attribuire una particolare solennità, atteso che l’udienza di comparizione dei coniugi deve tenersi davanti al presidente del Tribunale.

I costi dei difensori e la complessità della doppia procedura giudiziaria (separazione e divorzio) hanno ottenuto l’effetto che buona parte delle coppie separate esita a chiedere il divorzio. Di fronte a tale situazione è stata semplificata la procedura, non nel senso di evitare il doppio passaggio, ma nel senso di velocizzare l’ottenimento sia della separazione che del divorzio nel caso di accordo tra i coniugi (divorzio su domanda congiunta).

Così dal 2014 è definitivamente sancito per legge che i due coniugi che siano d’accordo sia sul divorziare sia sulle condizioni (per patrimonio comune, uso dell’abitazione, assegno di mantenimento, ecc.), se non hanno figli minori o disabili (anche se maggiorenni) possono dichiarare all’ufficio di stato civile del comune la loro volontà di divorziare senza assistenza di avvocati ed eventualmente depositare un atto che specifichi le eventuali condizioni patrimoniali: il divorzio è immediatamente trascritto senza altre formalità; in caso di disaccordo, possono cercare di raggiungere un accordo con l’assistenza dei loro avvocati, eventualmente con l’assistenza di un terzo avvocato designato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati; nel caso comunque non si raggiunga un accordo, i tre avvocati sottopongono al Tribunale una relazione scritta con tutte le particolarità del caso ed al giudice spetta solo di decidere sulla base di quanto così espostogli in riassunto; nel caso di figli minori (o figli disabili, anche se maggiorenni), la procedura resta simile a quella preesistente.

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Articolo pubblicato il 01/12/2020