Cinquestellopoli, tutte le carte che dimostrano il conflitto di interessi. Di Nicola Biondo

Casaleggio-Philip Morris, il maxi regalo di Conte alla multinazionale mentre l’Italia moriva di Covid

Ci sono processi che sono matrioske. Non conta tanto il reato ma il contesto. Ci sono processi che hanno un odore. Questo odora di fumo. Ci sono processi che raccontano una guerra. La chiameremo la guerra del tabacco. E vede Casaleggio in prima linea insieme ai suoi soldati del Movimento 5 Stelle. Ma è anche una guerra che coinvolge il governo ai massimi livelli.


L’incontro tra Di Maio e Philip Morris – Dopo le rivelazioni del Riformista, che ha portato alla luce oltre due milioni versati da Philip Morris nelle casse della sua società, Casaleggio ci accusa di aver congegnato “teorie fantasiose”. “Io non firmo decreti, né voto leggi, e non ho mai fatto ingerenze. Questi sono i fatti”, ha attaccato il patron di Rousseau. Bene, allora parliamo di fatti. Di cui Davide Casaleggio è senz’altro a conoscenza, essendone l’attore protagonista.

 

Fatto numero uno. L’aggancio tra Philip Morris e il Movimento cinque stelle avviene all’inizio dell’estate 2017, quando Luigi Di Maio viene invitato da Utopia, una nota agenzia di pubbliche relazioni, a incontrare Philip Morris e altri grandi aziende. Utopia ha, come Casaleggio, tra i suoi clienti proprio la multinazionale del tabacco con cui ha un contratto da gennaio 2017 per oltre 800mila euro. Utopia peraltro non inserisce nel suo portfolio il rapporto commerciale con Philip Morris: si tratta quindi di una consulenza che potremmo definire “coperta”.

 

Fatto numero due. Sessanta giorni dopo quell’incontro tra Di Maio e Philip Morris, Casaleggio Associati firma una consulenza per un costo totale che ad oggi ammonta a 2milioni e 379mila euro, che arrivano dalla multinazionale del tabacco. Domanda. Casaleggio ha informato il futuro ministro degli Esteri, con il quale di lì a poco avrebbe rifondato il Movimento, di quell’accordo con un’azienda oggetto dell’azione di governo? Quali altri esponenti del Movimento oggi con responsabilità di governo sapevano? Di Maio ha partecipato a riunioni di governo in cui si parlava di Philip Morris e della tassazione sul tabacco riscaldato? Una risposta dall’attuale ministro degli Esteri sarebbe opportuna.

 

Un infiltrato al ministero dell’Economia – Fatto numero tre. L’Italia è l’unico Paese del mondo industrializzato dove il tabacco riscaldato, monopolio dell’americana Philip Morris, viene tassato al 25%. È da qui che bisogna partire per raccontare la guerra italiana del tabacco che fonde insieme affari e politica. Una guerra che è finita in tribunale. Con un’accusa pesante: un’intera catena di vertice del Ministero dell’Economia, secondo il Tribunale di Roma, sarebbe stata corrotta dalla multinazionale Philip Morris per ottenere informazioni riservate sulla concorrenza, British American Tobacco e Japan Tobacco. I fatti risalgono ai primi sette mesi del 2018.

 

I vertici delle Dogane e Monopoli sarebbero stati, secondo la Procura, completamente “asserviti ai vertici di Philip Morris Italia”, anche loro indagati, per aver passato informazioni riservate utili a determinare un prezzo di mercato più competitivo rispetto alla concorrenza e avere evitato sanzioni amministrative sui controlli. L’udienza preliminare è fissata per il 12 gennaio prossimo. I reati per cui si procede sono di corruzione e turbata libertà dell’industria e del commercio. La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per 3 alti dirigenti dell’agenzia delle dogane dei monopoli e altrettanti manager della multinazionale e l’intero vertice di Philip Morris del tempo, l’ex-ad Eugenio Sidoli ora presidente e due attuali dirigenti.

 

Perché per Philip Morris l’Italia è diventato una sorta di Bengodi? C’entra qualcosa l’indagine per corruzione che vede il vertice delle dogane e monopoli essere asserviti, come sostiene la procura di Roma, alla multinazionale? Da chi è stato scritto il parere tecnico dei Monopoli che prevedeva la detassazione sul tabacco riscaldato? Ma soprattutto, come è stato possibile che un prodotto, il tabacco riscaldato targato Philip Morris, venga giudicato nocivo dal ministero della Salute e venga poi premiato con un così forte sconto fiscale?

 

“Il prodotto è nocivo?” Bene, detassiamolo – C’è un documento importante, che nega che il tabacco riscaldato comporti meno rischi per la salute delle sigarette tradizionali. È questa la risposta che le massime autorità sanitarie, ovvero l’Istituto Superiore di Sanità, dà a Philip Morris. Siamo nel gennaio 2019 e il documento è firmato da Claudio D’Amario, in quel momento direttore generale del ministero retto da Giulia Grillo, allora ministro della Salute.

 

L’ex-ministra grillina ha detto alle telecamere di Report «di non aver mai saputo di questo responso sul tabacco riscaldato, di non sapere nulla del legame commerciale di Philip Morris con il fondatore del suo partito». «Spero che questo non abbia influito», dice l’ex-ministro riferendosi al gigantesco sconto fiscale che il governo ha fatto alla multinazionale. Rimane un fatto: nonostante le autorità sanitarie diano un parere negativo, ovvero che il tabacco riscaldato è nocivo, il governo italiano decide per una massiccia detassazione.

 

La passione del governo Conte per Philip Morris – A volte i fatti sono più fantasiosi delle teorie. Il fatto numero quattro dice chiaramente che il governo Conte ha trattato Philip Morris con i guanti bianchi, preferendo gli interessi della multinazionale a quelli dei nostri ammalati in tempi di Covid. Tutti gli emendamenti, una quindicina, per aumentare le tasse sul tabacco riscaldato sono stati cassati da Palazzo Chigi senza discussione. Tutte le interrogazioni sono rimaste senza risposta. Tutte tranne una che riguardava l’impatto sanitario del tabacco riscaldato. “Serve uno studio indipendente”, ha detto il sottosegretario Sandra Zampa. Lo stiamo ancora aspettando. È un fatto.

 

Che sia Conte uno o Conte due, poco importa. Philip Morris ha dal 2018 un trattamento di favore da Palazzo Chigi, dal Mef, dalle Dogane e dal ministero della Salute. Esemplare quanto accade, o meglio non accade, non più tardi di pochi mesi fa. Siamo nella primavera 2020 e ogni giorno in Italia si contano centinaia di morti, gli ospedali sono saturi e migliaia di persone anche con patologie molto gravi non possono essere curate. Non ci sono i soldi per l’assistenza domiciliare. C’è un’associazione che riesce a mettere in piedi un’operazione di lobbying che approda in Parlamento. Si chiama Cittadinanza attiva e riesce a far presentare un emendamento firmato da parlamentari di vari schieramenti per alzare le tasse sul tabacco riscaldato, con l’obiettivo di creare un fondo di centinaia di milioni a favore della sanità italiana e di quei malati cronici che non possono andare in ospedale.

 

Il Governo fa muro e boccia l’emendamento. «È mancata la volontà politica», accusa Antonio Gaudioso, presidente di Cittadinanza Attiva. Tra la multinazionale e i malati, il governo sceglie da che parte stare. In piena emergenza Covid, con minori entrate per quasi 51 miliardi, la defiscalizzazione del tabacco riscaldato non dovrebbe necessariamente essere una priorità per il paese. E invece succede proprio questo: non c’è fondo per i malati, sussidi per l’agricoltura o per la scuola che tengano: il profitto di Philip Morris in tempo di Covid non deve essere eroso. Questa la linea del governo. Una linea che non ha eguali in tutto il Pianeta.

 

L’Italia è il paese al mondo che tassa di meno questo prodotto. Il 60% di tabacco riscaldato viene venduto in Estremo Oriente. Lì la tassazione è altissima, tra l’ottanta e il novanta per cento sull’accise. Quanto sta risparmiando Philip Morris grazie allo sconto fiscale graziosamente concesso dal governo Conte mentre Davide Casaleggio stringeva un rapporto con la multinazionale del tabacco? C’è uno studio della Luiss che parla di centinaia di milioni di euro.

 

Se l’Italia applicasse, dice il report, le accise al 50% come accaduto fino al 2018 con i governi Renzi e Gentiloni, comunque più basse rispetto a tutti gli altri paesi nel mondo, lo Stato avrebbe 250milioni di euro in più all’anno: circa cinque volte di più di quanto si risparmia con il taglio dei parlamentari. Se invece venisse applicata la tassazione all’80%, come avviene altrove, il guadagno per l’erario sarebbe di oltre mezzo miliardo di euro in più. Ecco quanto vale il beneficio che il Governo Conte ha concesso a Philip Morris e che, precisiamo, riguarda solo la multinazionale e non i rivenditori né i produttori di tabacco. Soldi che mezzo parlamento voleva destinare all’emergenza Covid e che il governo ha bloccato. È una cifra che potrebbe consentire alla multinazionale di scalare l’Italia, finanziare un “suo” Manchurian Candidate.

 

Ecco perché per Philip Morris l’Italia è diventata una sorta di Bengodi. La domanda allora è: in questa storia c’entra qualcosa quell’indagine per corruzione che vede gli ex vertici delle dogane e monopoli poi rimossi da Marcello Minenna, essere asserviti, come sostiene la procura di Roma, alla multinazionale? Da chi è stato scritto il parere tecnico dei Monopoli che prevedeva la detassazione sul tabacco riscaldato? Ma soprattutto, come è stato possibile che un prodotto, il tabacco riscaldato, venga giudicato dal ministero della Salute come nocivo ma goda tutt’oggi di un così forte sconto fiscale?

 

Laura Castelli di lotta e di tabacco – A rispondere a queste domande che potrebbero smuovere le acque della politica italiana c’è il processo che si aprirà a gennaio. Ma un fatto va precisato. Philip Morris è un file che attraversa e spacca il Movimento cinque stelle e il Partito democratico, una frattura che disegna in Parlamento il partito di Philip Morris e i suoi oppositori. Il dossier è in mano a Laura Castelli, vice-ministro al Mef. È l’ex-attivista No-Tav, sostengono voci concordanti nel Movimento, ad essersi battuta come una leonessa a favore dello sgravio fiscale. È lei ad aver messo sul piatto di Palazzo Chigi il report tecnico delle Dogane sul tabacco riscaldato. Quello su cui il concorrente di Philip Morris, British American Tabacco, chiede oggi alla magistratura di indagare.

 

E a questo punto va segnalata una coincidenza. I pareri delle Dogane favorevoli alla detassazione sono stati firmati proprio da quei dirigenti delle Dogane oggi sotto inchiesta per corruzione a favore della multinazionale. Il primo di quei report è dell’autunno 2018 e viene firmato da Carducci; il secondo, l’anno dopo quando Carducci non c’era più, viene composto dall’ufficio di Pietrangeli, anche lui indagato. Secondo la Procura il passaggio di consegne tra Carducci e Pietrangeli ai vertici delle Dogane faceva parte dell’accordo corruttivo con Philip Morris.

 

L’ultimo atto di questa guerra è recentissimo ed è andato in scena a Palazzo Chigi il 13 novembre scorso. E siamo al fatto numero cinque. A raccontarlo è un gioco di prestigio, una sparizione. Nel primo pomeriggio viene inviata alla stampa una bozza iniziale della legge di bilancio (leggi articolo 192 a pagina 190) che conteneva il riordino del settore tabacchi e molte azioni anti-contrabbando. All’articolo 192, comma 6, il governo prevedeva un innalzamento della fiscalità degli htp (il tabacco riscaldato, ndr.) dall’attuale 25% a un 25% “ad valorem”, cioè sul prezzo di vendita, che equivale a un 37% di tassazione.

 

Dunque parliamo di un leggero rincaro. La bozza contiene un orario, 13.45. Cinque giorni dopo il testo della legge viene trasmesso in via definitiva alle Camere. Dell’articolo 192 non c’è più traccia: sparisce quel lieve aumento fiscale e, incredibilmente, spariscono anche le norme anti-contrabbando. Il partito trasversale che non voleva l’aumento di tasse per il tabacco riscaldato ha vinto. Anzi, stravinto.

 

E adesso siamo al fatto numero sei. C’è un altro articolo del Bilancio che agevola i lobbisti del tabacco. È il numero 48 che prevede misure di sostegno ai dipendenti dei call center. Un mese prima – siamo ai primi di ottobre – quando il governo si divideva sull’aumento della fiscalità al tabacco riscaldato, Philip Morris invitava un importante esponente di governo in quello che con grande tempismo e senso del marketing veniva definito il Digital Information Service Center. Ovvero un call center che prevede l’assunzione di 40 persone per un investimento di 100 milioni di euro in cinque anni rivolto proprio ai consumatori di quel prodotto. È un do ut des legale, molto politico. Eppure ci sono due calcoli da fare. E questo, come ci insegna il dottor Casaleggio, è un fatto, definitivo.

 

Il settimo fatto per l’esattezza. Philip Morris ha ottenuto 500milioni di euro di tasse risparmiate, all’anno, a fronte di un investimento di 20milioni di euro, per cinque anni, ammortizzato dai sostegni statali per i dipendenti. In nome di un prodotto che, dicono gli esperti, è nocivo. Il tutto mentre l’Italia fa i conti con un’emergenza sanitaria ed economica mai vista.
Una casa di carta, di soldi di carta, edificata con un’abile azione di lobbying. Che potrebbe crollare e andare in fumo per quel processo che si aprirà in udienza preliminare il prossimo 12 gennaio. La guerra del tabacco è appena all’inizio.

 

Intanto una domanda resta senza risposta: davvero i fatti che abbiamo raccontato non hanno nessuna relazione con la consulenza da oltre due milioni di euro di Casaleggio? Di Battista, non più tardi di giugno chiedeva una rifondazione del Movimento su alcuni punti precisi, tra i quali “la lotta alle multinazionali straniere”. Come si coniuga la consulenza di Casaleggio associati con i proclami di Alessandro Di Battista, sponsorizzato alla guida del Movimento dallo stesso Casaleggio, è un altro mistero glorioso. O forse è solo un altro segreto di Pulcinella.

 

Fonte: Il Riformista

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Articolo pubblicato il 28/11/2020