Incontro con Gabriele Raspanti
Gabriele Raspanti

Una piacevole chiacchierata tra bella musica e buona cucina con il violinista bolognese, protagonista con l’ensemble Harmonicus Concentus del concerto di Intrecci Barocchi Streaming in programma domenica 13 dicembre alle ore 18.30

Nel concerto in programma domenica 13 dicembre alle ore 18.30 – visibile gratuitamente sulla pagine Facebook di Intrecci Barocchi, dell’Accademia Corale “Stefano Tempia”, del Coro Maghini, di SoloClassica Channel e nel canale YouTube di SoloClassica Channel – la rassegna Intrecci Barocchi Streaming abbina il repertorio barocco alla buona cucina, una scelta per la verità non molto originale, ma che in questo caso consente di scoprire due autori decisamente poco noti come Isaac Posch e Heinrich Ignaz Franz Biber.

 

Di questi affascinanti autori ho avuto la possibilità di parlare con Gabriele Raspanti, violinista e direttore dell’ensemble di strumenti originali Harmonicus Concentus. Ma prima di entrare nel vivo, andiamo alla scoperta di questa dinamica formazione con sede a Bologna. «L’Harmonicus Concentus è nato nel 2002 dalla comune volontà di alcuni musicisti che già da tempo collaboravano a diverse iniziative musicali. L’intenzione era quella di creare un ensemble che valorizzasse il repertorio del Barocco attraverso l’esecuzione filologica e la scelta di programmi poco conosciuti. Così abbiamo unito le forze e le idee per occuparci di questo ambito musicale in maniera più approfondita e consapevole, esplorando in particolare i repertori cameristici e la letteratura sonatistica del Sei e Settecento.

 

Alcune tappe significative sono state la tournée del 2009, che è approdata a Salisburgo con la Messa in si minore di Bach e l’incisione del Vespro della Beata Vergine di Pergolesi per la rivista «Amadeus». Più di recente abbiamo collaborato all’esecuzione del Te Deum di Lully per la Sagra Musicale Malatestiana a Rimini e alla rappresentazione dell’Orlando Furioso di Vivaldi al Teatro del Giglio di Lucca. Lo scorso anno abbiamo partecipato alle celebrazioni tartiniane tenute al Conservatorio di Trieste con un concerto interamente dedicato al celebre violinista di Pirano».

 

Come ho già avuto modo di sottolineare in precedenti interviste, ogni musicista ha seguito una strada diversa per avvicinarsi al repertorio preromantico. Per questo non ho potuto evitare di chiedere al mio ospite come sia arrivato dalle opere più famose di Beethoven e Mozart ad autori ancora in gran parte da scoprire. «Nel mio caso si è trattato di un avvicinamento graduale e non di una folgorazione improvvisa. La mia formazione è quella di un violinista moderno, che si è dedicato per anni alla musica da camera, in trio e in quartetto.

 

Ma fin da allora l’orecchio prestava un’attenzione particolare al repertorio interpretato dai grandi nomi della riscoperta della musica antica: Christopher Hogwood, Ton Koopman, Nikolaus Harnoncourt, i fratelli Kuijken e soprattutto Reinhard Goebel, che mi affascinava in special modo, non solo per la maestria del suo violinismo, ma anche per il nitore delle sue concertazioni. Poi sono venuti i gruppi italiani, che hanno dato un ulteriore contributo alla diffusione, specialmente in Italia, di questo universo musicale che ha rivelato, e continua a rivelare, inaspettate e insospettabili risorse».

 

Mettendo insieme i grandi pionieri stranieri che hanno dato inizio a quella che ancora oggi molti continuano a chiamare “Baroque Renaissance” e maestri italiani del calibro di Fabio Biondi, Rinaldo Alessandrini e Giovanni Antonini, Gabriele ci ha servito un cocktail molto invitante, che si adatta alla perfezione al carattere culinario del concerto che ci proporrà domenica. Lo stesso cocktail lo troviamo anche nel repertorio dell’Harmonicus Concentus. «In effetti, è vero. Il nostro repertorio tende a focalizzarsi su alcuni nuclei tematici che spesso abbracciano anche altri ambiti: per citare alcuni esempi, «Elogio della follia» è il titolo di un programma che allude alla celeberrima opera di Erasmo da Rotterdam e si snoda attraverso un percorso che dal Capriccio Stravagante di Carlo Farina arriva alla follia di Orlando messa in musica da Georg Friedrich Händel e alle Stravaganze strumentali di Scarlatti e Vivaldi.

 

«Donne barocche» rispecchia un mondo musicale fino a oggi sommerso, quello delle donne compositrici: Francesca Caccini, Barbara Strozzi, Isabella Leonarda, Élisabeth-Claude Jacquet de La Guerre sono le mete privilegiate di questo viaggio. «Lachrimae» è invece un excursus musicale lungo l’asse di quella lingua silenziosa che sono le lacrime, con le loro infinite declinazioni che vanno dalla rabbia, al dolore e al ricordo struggente di un amore finito».

 

Questi tre programmi danno un’idea molto realistica dei vastissimi interessi musicali di Gabriele e degli altri componenti dell’Harmonicus Concentus, sempre pronti a farsi paladini anche degli autori minimi, quelli di cui ci sono pervenute tracce estremamente labili. Questa considerazione mi ha portato a chiedermi se questa spinta entusiasta alla perenne ricerca di compositori dimenticati e di opere inedite sia ancora forte come un tempo, oppure se abbia perso una parte della sua dirompente energia, come sostengono da tempo alcuni commentatori.

 

«Io credo che un processo di riscoperta così vasto e pervasivo come quello della cultura barocca – di cui la musica rappresenta solo una manifestazione, anche se forse la più eclatante – non esaurisca facilmente la sua carica vitale e non possa essere declassata a moda ormai tramontata. Va detto, anzi, che se qualche decennio fa i “barocchisti” erano guardati con un certo sospetto, se non con aperto sdegno, oggi ispirano – seppure sotterraneamente – anche coloro che non si dichiarano tali. Infatti oggi non è raro ascoltare esecuzioni di gruppi o di strumentisti moderni che adeguano le loro performance a standard stilistici che le avvicinano almeno idealmente alla prassi esecutiva se non storicamente informata, quanto meno modernamente influenzata. Varrebbe la pena invece di ripensare (o forse sarebbe più giusto dire definire) il concetto di filologia applicata alla musica, ma il discorso ci porterebbe lontano e senza approdare, con ogni probabilità, a una meta definitiva».

 

Dopo aver spaziato in questi temi idealistici, sono tornato alla realtà quotidiana, chiedendo a Gabriele se lui abbia uno o più progetti a cui vorrebbe dedicare una buona parte del suo tempo «Immaginare progetti e alimentare aspirazioni ai tempi della pandemia è difficile, ma forse necessario, tanto più se si è musicisti. Negli ultimi anni ho dedicato particolare cura alla divulgazione della cultura musicale nelle sue relazioni con la letteratura e le arti figurative tramite un ciclo organico di lezioni-concerto, che coinvolgono la mia attività di docente al conservatorio. Con l’Harmonicus Concentus l’intento è sempre stato quello di offrire al pubblico non solo un programma musicale, ma un insieme di stimoli e spunti per approfondire i rapporti della musica con la storia e la cultura, e credo che cercheremo di continuare su questa strada. Personalmente, ho provato a dare un contributo pubblicando un libro, fresco di stampa [Sillabario di musica. Capricci stravaganti e fantasie cromatiche, Diastema 2020, ndr], che unisce con un filo rosso musica, arte e riflessioni autobiografiche».

 

E arriviamo finalmente al concerto Tafelmusik – composizioni a tavola, il cui titolo allude alla celebre opera di Georg Philipp Telemann, che invece è del tutto assente dal programma. Come vede Gabriele il rapporto tra bella musica e buona tavola? «È un rapporto di forze: i ricchi sedevano a tavola mentre i musicisti lavoravano, non molto diversamente dai domestici che si affaccendavano per servire in tavola. D’altra parte, fino a non molto tempo fa lo status del musicista è stato legato alla committenza anche occasionale del mecenate di turno. Avere un protettore altolocato era imprescindibile per chiunque volesse dedicarsi a un’arte, qualunque essa fosse, e dilettare il padrone di casa insieme ai suoi ospiti era uno dei tanti obblighi a cui era necessario sottoporsi. Naturalmente, c’era chi lo faceva in modo egregio, come Posch e Biber nel Seicento, e più tardi Telemann: il grande artista non abdica mai alle sue qualità».

 

Questo accostamento è talmente interessante che merita un ulteriore approfondimento. In particolare, mi piacerebbe sapere a cosa pensa il mio interlocutore, alle raffinate alchimie della nouvelle cuisine, oppure ai sapori più intensi dei piatti caserecci? «Le mense delle persone comuni sospetto che fossero allietate tutt’al più da qualche canzone popolare o dallo strepito che proveniva dall’aia. Per l’aristocrazia laica o religiosa invece l’ostentazione del potere e del censo era imprescindibile in ogni circostanza, e tanto più era efficace quanto più era effimera: dilapidare un patrimonio per un banchetto era la perfetta rappresentazione del proprio status.

 

Dai Granduchi di Toscana alla nobiltà francese, nessuno lesinava gli sforzi affinché l’evento si imprimesse per sempre nella memoria dei presenti, che spesso lasciavano una testimonianza scritta delle loro impressioni. E il migliore terreno di coltura per la haute cuisine sarà proprio la corte di Luigi XIV, dove la gastronomia diventerà una sorta di liturgia con i suoi officianti, uno dei quali, il celebre François Vatel, fu così compreso della sua missione da scegliere il suicidio anziché sopportare l’onta del fallimento per non avere approntato un banchetto perché il pesce non era arrivato in tempo dalle coste dell’Atlantico».

 

A questo punto non possiamo esimerci dal dare qualche informazione sui due “invitati della serata”, a partire dal meno noto, ossia Isaac Posch. «Valente organista, oltreché organaro, di Isaac Posch si sa poco – come non di rado accade per molti musicisti del Rinascimento o del Barocco – forse anche perché morì poco più che trentenne negli anni in cui infuriava la Guerra dei Trent’Anni. Nonostante questo, fece però in tempo ad assorbire nella sua Austria alcuni degli influssi della musica strumentale che stava dilagando nell’Italia settentrionale, a cui l’area germanica sarà particolarmente sensibile per tutto il Seicento, soprattutto nel campo della sperimentazione del linguaggio idiomatico di un nuovo protagonista della scena musicale: il violino. I suoi Musicalische Tafelfreud furono pubblicati nel 1621 e si inscrivono in quel vero e proprio genere che fu la musica da tavola.

 

Del resto, anche le piccole corti del futuro impero austro-ungarico gareggiavano con quelle italiane nel dare lustro alle loro manifestazioni. Di Biber sappiamo di più, persino che due dei suoi nomi, Heinrich e Franz, potrebbero essere l’esito di una supposta permanenza in un collegio dei Gesuiti, all’epoca tra le massime autorità nel campo dell’educazione. Ignazio di Loyola e Francesco Saverio erano infatti i due fondatori dell’ordine.

 

Se così fosse, si spiegherebbe quella vocazione alla trasgressione che talvolta scaturisce come reazione alla rigida disciplina che regnava nei collegi gesuitici (“perinde ac cadaver” era il celebre motto della Compagnia di Gesù), trasgressione che si manifestò in Biber attraverso l’estremo sperimentalismo del suo violinismo e le sue vicende biografiche, che non rispecchiarono sempre una cieca obbedienza ai superiori. In ogni caso, la musica della Mensa sonora rinuncia programmaticamente a questo sperimentalismo in favore di una maggiore godibilità, più epicurea e meno intellettuale, come richiedevano le circostanze. I tempi di danza che formano le sei suites, nella loro brevità e incisività, accompagnano così la scansione delle portate, in una sorta di interazione tra gusto e udito».

 

La nostra bella chiacchierata si chiude con l’immancabile domanda sui progetti futuri. Cosa riserva il futuro a Gabriele Raspanti e all’Harmonicus Concentus? «Le risponderò con una battuta: il nostro futuro, e non solo quello musicale, è ancora in mente Dei. L’auspicio è che questa pandemia, oltre a farci riflettere sui valori veri della nostra esistenza, rimescoli un po’ le carte della grande e piccola progettazione musicale e ci faccia ripartire con qualche speranza in più e qualche certezza in meno».

 

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Articolo pubblicato il 11/12/2020