La Festa delle Feste - Parte 1

Tra le tante vittime del Covid anche l’antico rito del Carnevale

C’era un tempo in cui Carnevale corrispondeva a qualcosa di trasgressivo, era occasione per dare fondo alle ultime scorte alimentari, prima dello sforzo finale, in attesa della primavera. E poi era la nicchia momentanea per un attimo di festeggiamenti, mentre il periodo dedicato al silenzio e alla meditazione, rappresentato dalla Quaresima, era ormai alle porte.

Alla base della tradizione carnevalesca c’è quindi la necessità insita di rinnovo, di purificazione, attuata nel passaggio da uno stadio all’altro.

Nella psicologia di un gruppo il desiderio di rinnovarsi periodicamente, eliminando il peso del “male” accumulato è un impellente bisogno, necessario per propiziare il futuro e spesso i limiti di questi periodi sono connessi al calendario e alle sue alternanze.

 

Oggi il Carnevale, nelle sue tante espressioni rimaste impigliate nella tradizione popolare e sentite soprattutto dai più piccoli, ha perduto il volto originario, ha subito una rastremazione per tutta una serie di motivazioni. Ma quanto è venuta meno, secondo il nostro punto di vista, è soprattutto l’istanza collettiva orientata a cercare un momento di “festa grassa”, consacrata, pur nei limiti del consentito, alla trasgressione. Trasgressione che, passate le apoteosi medievali dirette alla messa in berlina di status morali e religiosi, in realtà si è sempre concentrata nella ritualizzazione di miti e nelle concessioni straordinarie alla gola.

 

Oggi la trasgressione è quotidiana e per quanto riguarda le concessioni straordinarie, non solo alla gola, in fondo le cronache dei mass media ne forniscono un bel campionario, tutti i giorni, più volte al giorno.

A sorregge il desiderio di festa è senza dubbio la tradizione, che con il rito rinnova, fa rivivere, qualcosa di relazionato strettamente al passato, forse qualcosa che ha che vedere con l’identità.

 

Un segno di quanto il Carnevale abbia perduto il suo ruolo primitivo legato alla trasgressione, lo forniscono gli scaffali dei negozi e dei supermercati in particolare che, nel corso degli anni, hanno sempre più ridotto lo spazio dedicato agli scherzi. Fialette puzzolenti, ragni e serpenti finti, con improbabili sigarette che scoppiettano, denti da Dracula e palloncini rumorosi, appartengono all’archeologia. Non hanno retto alla variazione del costume che non sente più la necessità di fare scherzi infantili e sceglie altre strade, tipiche di questi nostri tempi.

 

E così a vincere la sfida di mercato sono la maschera, il costume e soprattutto il fai da te horror. Infatti è proprio il mostruoso a farla da padrone sugli scaffali: maschere di gomma che si conformano al volto e che fanno sembrare belli gli zombi, vanno per la maggiore insieme a tutta una serie di optinal per intervenire direttamente sul soggetto.

Probabilmente si tratta di un effetto Halloween, che, comunque, ha creato una moda, portando l’orrido ad essere protagonista ed inventando un nuovo genere di trasgressione in sintonia con i tempi.

 

Praticamente appartenenti all’archeologia della cultura anche le maschere classiche italiane: se la scampa l’intramontabile Arlecchino, ma anche la geniale maschera bergamasca non regge la spinta dei mostri & C.

“È sempre un Carnevale”: così puntualizzava la strofa di una canzone di Lucio Dalla di qualche anno fa. Qualcosa di profetico perché, a ben guardare, oggi il Carnevale, non sembrerebbe aver un inizio, anche se ufficialmente possiede un periodo definito nel calendario occidentale.

 

Da un lato la consapevolezza, più o meno generalizzata, che oggi “c’è poco da scherzare”, dall’altra l’oggettiva dimostrazione che la trasgressione ha infranto il perimetro del calendario ed esplode fragorosamente tutti i giorni. In continuazione, producendo una sorta di narcosi per esorcizzare le paure e le angosce  di cui subiamo il peso.

Ognuno di noi sul Carnevale possiede una visione personale, condizionata soprattutto dal suo passato fanciullo, quando il “Carnevale era un’altra cosa”...

 

Allora le feste “si sentivano di più” come confermano quelli che di decenni ne hanno collezionati un po’: oggi il Carnevale ha un ruolo non sempre chiaro, che si estrinseca con maggiore aderenza al tessuto sociale e culturale di aree di provincia, dove comunque costituisce ancora un avvenimento importante, regolarmente relazionato al calendario locale, pur nell’osservanza di alcune tipologie comuni per tutti, come le date: unica regola che questa festa delle feste rispetta (se pur con qualche piccola eccezione). Il resto si autoalimenta con gli echi di trazioni autoctone e influenze diverse, non è indenne neppure alle adulazioni della modernità e alle sue figure riconosce un ruolo che, in un modo o nell’altro, riesce a metabolizzare all’interno del proprio tessuto simbolico.

 

1. Una definizione

 

Secondo una diffusa interpretazione, con Carnevale si intende quel periodo di tripudio e di festa che precede la Quaresima; il suo nome, in linea con l’interpretazione maggiormente condivisa, dovrebbe derivare da carnem levare: vale a dire il periodo che precede l’eliminazione della carne nei giorni quaresimali.

Carni vale, o Carovale, o ancora carne levamen, o addirittura carnalia, o currus navales, sono altri modi, non troppo sicuri, per dare una radice ad un’unica manifestazione il cui rituale pagano e quello cristiano convivono in una simbiosi fatta anche di echi di culti primaverili che, comunque, non si sono mai spenti.

 

Anche se le origini di questa festa sono per così dire “pagane”, il Carnevale ha trovato una propria collocazione nel calendario liturgico, in relazione ad una prescrizione ecclesiastica che lo pone tra l’Epifania e le Ceneri.

Unica variante concessa è il Carnevalone corrispondente al cosiddetto Carnevale Ambrosiano, che si conclude il primo sabato di Quaresima, quindi continua per quattro giorni ancora dopo la fine del Carnevale tradizionale.

 

Dalle fonti sappiamo che questa tradizione della Lombardia tendente a prolungare il Carnevale per qualche giorno avrebbe origine molti secoli fa: ma c’è chi propende anche per altre tesi, e rimanda la sua nascita indietro nel tempo, però con qualche rischio filologico. Al di là degli aspetti eminentemente tecnici, ricordiamo che la storia ci riporta numerosi esempi dei tentativi attuati per contrastare questa abitudine: sappiamo che neppure Ambrogio amava troppo questa pratica e, ad esempio, Ludovico il Moro si oppose in vari modi per cercare di arrestare la voglia di “far festa”dei milanesi che non ne volevano sapere di far morire il Carnevale, anzi…

 

Contro i trentasei giorni di Quaresima di Milano, periodo canonico per i primi secoli della Chiesa, si levarono molti teologi medievali che argomentarono, a partire dal V secolo, intorno al tema sostenendo che il periodo quaresimale doveva corrispondere necessariamente a quaranta, in ragione dei giorni che Cristo aveva trascorso nel deserto in digiuno.

 

San Carlo Borromeo si oppose con tutte le forze ai quattro giorni in più di Carnevale: a questa pratica “blasfema” oppose tutta una serie di preghiere e novene che aveva il ruolo di salvaguardare l’anima dei milanesi travolti dall’ebbrezza della festa. Gran parte della popolazione non fu d’accordo con il vescovo, e alla manifestazione di piazza parteciparono anche molti nobili ed esponenti della classe abbiente.

Lo scontro non fu senza effetti. Infatti i milanesi “festaioli” inviarono due messi dal papa per sostenere le loro ragioni: naturalmente il santo padre, che aveva ben altro a cui pensare, rispedì a casa i messi milanesi con le pive nel sacco.

Si cercò comunque una via di mezzo per mettere d’accordo le due fazioni: in sostituzione dei carri allegorici e della maschere, si organizzò, nella prima domenica di Quaresima, una sfilata di carrozze.

Contro il Carnevale Ambrosiano reagirono anche gli Spagnoli che, dopo la peste del 1630, emanarono una “grida” tendente ad accorciare quei fatidici quattro giorni i festeggiamenti milanesi: non ci riuscirono, come dimostra ancora oggi la tradizione…

La data d’inizio del Carnevale, nei vari calendari folkloristici, non è comune a tutte le località: in genere il giorno stabilito è il 17 febbraio (Sant’Antonio Abate), ma in alcune località la date prescelta è il 2 febbraio; in Sicilia l’inizio è stato fissato il giorno dell’Epifania.

 

2. L’assenza di un’origine univoca

 

Alcuni carnevali locali hanno assunto valenze riconosciute anche al di fuori della ristretta cerchia in cui si sono affermati (ad esempio quello di Bagolino, di Venezia, di Ivrea, tanto per citare i primi che riaffiorano alla memoria), trasformandosi in un’occasione turistica e assumendo toni di sagra e di festa popolare che, per alcuni aspetti, hanno spostato in parte il primitivo asse rituale, caricandosi con toni non sempre in armonia con l’originale fisionomia della festa.

 

È comunque difficile indicare con precise “un’origine” del Carnevale, poiché in questa tradizione entrano in gioco elementi diversi, che possono aver contribuito alla sua formazione e al suo dimensionamento, via via conformatosi anche in relazione alle varie istanze delle culture in cui ha preso forma.

Indubbiamente condizionante l’influenza dei Saturnali romani, basati soprattutto sul trionfo dell’inversione di regole e ruoli, in particolare su quel rovesciamento gerarchico che costituisce ancora l’ossatura portante del meccanismo caratterizzante le varie esperienze carnevalesche.

 

A dare sostanza al Carnevale possono anche aver contribuito echi di rituali agrari precristiani atti a favorire la propiziazione, ciò anche in relazione al periodo stagionale, posto a cardine tra l’inverno e la primavera. Spesso però l’influenza di queste tradizioni non è facile da scorgere, a differenza di altri rituali come, ad esempio, l’albero di maggio o i falò solstiziali.

 

I rituali carnevaleschi della tradizione popolare in genere presentano motivi in cui possiamo rintracciare un’intenzione di rinnovamento, quasi di rinascita, ponendosi come anello di congiunzione tra lo stadio precedente e quello futuro.

 

Alla base della tradizione carnevalesca c’è quindi la necessità insita di rinnovo, di purificazione, attuata nel passaggio da uno stadio all’altro.

 

Nella psicologia di un gruppo il desiderio di rinnovarsi periodicamente, eliminando il peso di un “male” accumulato è un impellente bisogno, necessario per propiziare il futuro e spesso i limiti di questi periodi sono oggettivamente connessi al calendario e alle sue alternanze.

 

(continua)

 

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Articolo pubblicato il 10/02/2021