La Festa delle Feste - Parte 3

Tra le tante vittime del Covid anche l’antico rito del Carnevale

5.  Lo scontro tra il Carnevale e la Quaresima 

 

Un elemento “aggiuntivo” alle feste del Carnevale può essere individuato nel motivo della battaglia tra la Quaresima e il Carnevale. Si tratta dello scontro tra due icone che sono una l’antitesi dell’altra e che nella trasfigurazione della battaglia necessitano di essere antropomorfizzate al fine di mettere meglio in evidenza la forza dello scontro:

 

CARNEVALE                                              QUARESIMA

Grasso                                                            Magro

Impuro                                                           Puro

Abbondanza                                                  Castità

Peccato                                                          Santità

 

“Rito di fertilità per garantire la morte dell’inverno e la rinascita della natura, rito di passaggio tra una fase e l’altra dei tempi dell’anno e della vita, categorizzazione cristiana o drammatizzazione di due istanze narrative generatesi l’una dall’altra, la personificazione del Carnevale e la sua vicenda interrotta dell’intervento della Quaresima organizzavano intorno ad esse stesse le vari fasi del cerimoniale carnevalesco” (M. Lecco, La battaglia di Quaresima e Carnevale, Parma 1990, pag. 9).

 

L’opposizione tra il Carnevale e la Quaresima, nella specifica dialettica etica medievale, assumeva i toni del conflitto sociale, conducendo alla vittoria della seconda, in quanto espressione vivida di quella morale cristiana a cui, per molti aspetti, il Carnevale si opponeva,

 

Ma la festa delle feste, anche dopo la sua condanna, non era comunque morta, riaffiorava nelle tradizioni popolari, trovando una propria nicchia di sopravvivenza anche nel bozzolo della religiosità.

Infatti, immediatamente dopo la rinascita di Cristo, ritornano il suono e il rumore, raccogliendo i canti di gioia cristiana e gli echi di esperienze tradizionali, spesso molto antiche.

 

Sappiamo che il rito ambrosiano, ancora attualmente, prescrive che nella messa della veglia pasquale – dopo il triplice annuncio “Cristo Signore è risorto”, cantato in crescendo dal celebrante – si suonino contemporaneamente per tre volte campane ed organo. Però ricordiamo che anche una rubrica del Messale romano prescriveva, dopo l’Ufficio delle tenebre, celebrato tutte la mattine del triduo santo, si “facesse un po’ di rumore”…

 

Monaci e fedeli rispondevano all’invito battendo i messalini sui banchi, pestando i piedi o maneggiando il crepitacolo: uno strumento che nella settimana santa sostituiva le campane e che può essere posto in relazione alla raganella utilizzata dai ragazzi durante Carnevale.

 

Già nel XI secolo vi sono fonti in questo senso. In sospensione tra religione e simbolismo folklorico, si ponevano i riti contadini che, in quel periodo, si svolgevano nei campi con cortei di gente che utilizzava vari strumenti per fare rumore e “svegliare” la natura.

 

Questo rito – che unisce simbolicamente la Pasqua al binomio fecondità/primavera – è stato particolarmente vivo in molti paesi d’Europa ed era affidato ai bambini che “chiamavano” la primavera.

L’esperienza si è mantenuta viva anche sotto il manto del cristianesimo. Ad esempio, in numerose località, quando le campane “del Gloria” avevano suonato la veglia di Resurrezione, i contadini correvano a legare con una corda o un ramo di vimini le piante da frutto, perché “tenessero i frutti”, in pratica cercavano con il linguaggio del simbolo di propiziarsi il raccolto.

 

Anche se a prima vista sembrerebbe trattarsi di uno dei tanti riti connessi alla primavera, in realtà questa tradizione pare ricordare che la Resurrezione di Cristo era ancestralmente legata all’idea di rinascita delle natura.

In quei giorni si pensava che le donne fossero in grado di concepire con maggiore facilità.

 

In numerose località, nel passato, era diffusa la tradizione di battere con dei bastoni le panche delle chiese, mentre i fedeli erano immersi in preghiera: il rito era detto “bat barabàn”, cioè “battere Barabba”.

Il concetto di rumore come espediente per allontanare il male è diffuso in molte culture; inoltre, nel folklore nostrano, alcuni strumenti popolari come raganella e i sonagli, erano considerati utili per scacciare il diavolo.

 

Per quanto riguarda i riti pasquali a cui abbiamo fatto riferimento, va detto che le varie forme di rumore risultano una sorta di giustificazione cristiana del fracasso apotropaico del sabato santo: emblematico che alcune di queste  esperienze fossero avviate dall’urlo “A morte Barabba”; oppure che i bastoni o ramoscelli  fossero detti “batticristi”; si ha notizia anche della pratica di battere con bastoni muri, banchi e confessionali delle chiese per fare allontanare il diavolo: momentaneo “padrone del mondo” dopo la morte di Cristo.

 

Spesso questi riti potevano anche assumere toni eccessivi, sfuggendo un po’ di mano a tutti; in un sinodo di Mantova del 1595 troviamo una condanna agli eccessi che potevano scaturire dal rito di “battere Barabba”:  “alcuni, specialmente  contadini, che non sono sufficientemente capaci di riconoscere gli inganni di satana,  arrivano a un tale grado di sfrontatezza che,  battendoli con un robusto bastone, fracassano seggiole, porte, banchi, gli stessi scranni dell’altare, e molti altri oggetti; che si mettono a suonare trombe e pifferi e a fischiare; che battono vomeri d’aratro, zappe e vari altri oggetti di ferro di quel genere; che producono sprazzi di fuoco, cavando scintille da una selce, oppure gettando sulla fiamma delle candele pece greca in polvere; e arrivano a profanare la casa di Dio suonando corni”…

 

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Articolo pubblicato il 12/02/2021