Gioielli strumentali del Seicento Italiano

Il canale YouTube SoloClassica Channel presenta martedì 20 aprile un concerto dell’Accademia del Ricercare incentrato sul repertorio strumentale italiano del XVII secolo.

Martedì 20 aprile alle ore 18.30 il canale YouTube SoloClassica Channel trasmetterà un concerto dell’Accademia del Ricercare, che accompagnerà gli appassionati di rarità barocche in un incantevole excursus nel repertorio strumentale italiano del XVII secolo.

 

Quando si parla di musica barocca italiana, il pensiero corre spontaneamente al mare magnum di opere vocali sacre e profane che furono scritte da compositori famosissimi e virtualmente sconosciuti tra l’inizio del XVII e la metà del XVIII secolo. Si tratta di una visione del tutto comprensibile, che però rischia di fare passare in secondo piano la produzione strumentale.

 

In effetti, nei sessant’anni che separano la pubblicazione del Primo libro delle Sonate concertate in stil moderno del veneziano Dario Castello (1621) dall’uscita delle Sonate a tre op. 1 di Arcangelo Corelli (1681) il nostro paese assistette alla fioritura di una rigogliosa letteratura strumentale, che con il compositore di Fusignano avrebbe finito per diventare un ineludibile modello di stile per tutti i paesi europei.

 

Purtroppo, questa vastissima messe di opere – tra le quali si celano parecchi capolavori – continua a godere di una fama che non rende nemmeno lontanamente giustizia alla sua bellezza, che si basa sempre su una spiccata vena melodica e in alcuni casi rivela una certa propensione per le atmosfere drammatiche delle opere serie che proprio in quel periodo stavano cominciando a conquistare i palcoscenici delle principali nazioni europee – nel 1645 il pubblico parigino tributò un grandissimo successo alla Finta pazza di Francesco Sacrati, prima opera italiana andata in scena in un paese da sempre poco ben disposto verso le creazioni del genio italiano.

 

Il programma di questo concerto evita per una volta i maggiori centri musicali dell’epoca – Napoli, Roma e Venezia – per portarci alla scoperta di alcuni autori attivi in città che nel corso del XVII secolo conobbero un lungo periodo di splendore, in gran parte grazie alla munificenza dei loro signori.

 

Nato nel 1616 a Luzzara, cittadina che all’epoca faceva parte dei domini dei Gonzaga di Mantova, Maurizio Cazzati godette ai suoi tempi di una vasta fama, che trova piena espressione nelle 66 opere che fece pubblicare in 35 anni di prolificissima carriera. Nel 1657 al quarantunenne compositore venne offerto il posto di maestro di cappella della Cattedrale di San Petronio di Bologna, dove ottenne il consenso dei maggiorenti locali e – di conseguenza – l’invidia dei musicisti attivi in città, al punto da spingere Giulio Cesare Arresti a scrivere contro di lui un velenoso pamphlet e a impedirgli di essere accolto nella prestigiosa Accademia Filarmonica.

 

Questa palese ostilità non gli impedì però di avviare un imponente lavoro di riforma della musica liturgica e di distinguersi anche nell’attività didattica (tra i suoi allievi più illustri si segnala Giovanni Battista Vitali) e nel campo editoriale, di cui comprese la fondamentale importanza con largo anticipo rispetto alla maggior parte dei musicisti suoi contemporanei.

 

Nel 1671 il compositore si trasferì nella più tranquilla Mantova, dove assunse gli incarichi prima di maestro da camera della duchessa Isabella poi quello ancora più prestigioso di maestro di cappella della Chiesa di Santa Barbara, posto che mantenne fino alla sua morte, avvenuta il 28 settembre del 1678.

 

Sebbene la sua produzione comprenda un gran numero di opere sacre e liturgiche, oggi Cazzati è conosciuto soprattutto per la sua produzione strumentale, che sotto il profilo stilistico si pone a metà strada tra la linea tracciata dagli autori della generazione precedente e un insopprimibile gusto per la novità, un carattere che si può notare chiaramente nelle due belle sonate dell’op. 35, raccolta pubblicata a Bologna nel 1665, che continua a essere ancora oggi una delle sue opere più conosciute ed eseguite.

 

A breve distanza da Bologna sorge Modena, splendida città che si mise in grande evidenza grazie alla casata d’Este, che la governò per cinque secoli, dal 1288 con Obizzo II al 1796, quando Napoleone la fece entrare nella Repubblica Cispadana. Nel 1671 entrò a far parte dell’orchestra di corte Giovanni Maria Bononcini, violinista e compositore che si era fatto le ossa con Marco Uccellini, uno dei più grandi maestri del violino della prima metà del XVII secolo.

 

Nel giro di poco tempo Giovanni Maria riuscì a inserirsi molto bene nell’ambiente musicale modenese, ottenendo nel 1673 l’ambito incarico di maestro di cappella della Cattedrale di Santa Maria Assunta in Cielo e San Geminiano, edificio progettato verso la fine dell’XI secolo dal celebre architetto Lanfranco e impreziosito dalle sculture del grande Wiligelmo.

 

Nel corso della sua carriera Bononcini diede alle stampe otto pregevoli raccolte di opere strumentali e il celebre Trattato musico prattico, ma – per ironia della sorte – la sua fama postuma è stata oscurata dalle luminosissime stelle dei suoi due figli, Antonio Maria e Giovanni, quest’ultimo tra i maggiori autori dei primi anni del XVIII secolo, capace di rivaleggiare a Londra con Georg Friedrich Händel e di chiudere poi la sua carriera – purtroppo in uno stato di grave bisogno – a Vienna, dove l’imperatrice Maria Teresa gli concesse una (magra) pensione.

 

Il più famoso dei tre compositori in programma è senza dubbio Alessandro Stradella, un genio dalla vita dissipata, che concluse tragicamente la sua esistenza nel 1682 a Genova, ucciso dal pugnale del sicario del nobile Giovanni Battista Lomellini, che lo accusava – a buona ragione – di avere sedotto sua sorella durante le lezioni di musica. Nei suoi 39 anni di vita, Stradella ci ha lasciato un corpus di opere sterminato, che comprende soprattutto lavori vocali, tra cui otto opere serie, sei pregevolissimi oratori e quasi 200 cantate da camera, ma conta anche una trentina di sonate e triosonate, alle quali si aggiungono le sinfonie d’apertura delle opere e degli oratori.

 

La relativa scarsità di queste opere viene però largamente compensata dalla loro scrittura innovativa, che seppe stupire i contemporanei e venne apprezzata da molti musicisti della giovane generazione, che in molti casi trassero ispirazione a piene mani dallo stile di un compositore che è stato paragonato da molti – sia per la genialità dell’opera, sia per la vita tormentata, sia per la tragica fine – al Caravaggio.

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Articolo pubblicato il 20/04/2021