Ddl Zan: una legge ideologica e fortemente discriminatoria

In queste settimane molti amici mi hanno scritto per sapere cosa penso del Disegno di Legge che mira ad introdurre nuove misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità meglio noto come Ddl Zan.

Innanzitutto va premesso che una persona con un minimo di sale in zucca non si sognerebbe mai di aggredire, fisicamente o verbalmente, qualcuno solo per il suo sesso, il suo genere, il suo orientamento sessuale, la sua identità di genere o per una sua disabilità. Ma, in secondo luogo, bisogna capire bene che cosa si intende per “identità di genere”.

L’identità di genere è una cosa confusa e poco scientifica secondo cui non esistono più solo il genere maschile ed il genere femminile ma, bensì, decine di altri generi. Alcuni studiosi del tema ne sono arrivati a contare fino a 58. Posso dunque affermare che l’identità di genere, o come viene più comunemente propagandata, l’ideologia gender è quella teoria che mira ad eliminare l’identificazione sessuale originale – ossia maschio e femmina – per far spazio a nuove forme di identità dove la coscienza dell'individuo è fluida e confusa.

Nella legge Zan l’identità di genere viene definita come la “percezione di sé”. Questo apre un vaso di Pandora difficile da richiudere perché se un uomo – indipendentemente dal fatto che abbia compiuto oppure no la cosiddetta transizione di genere (percorso transessuale) – un mattino si sveglia e dichiara di percepirsi donna va, a tutti gli effetti, trattato come tale.

Laura Tecce, giornalista de “La Notizia”, intervistata da La7 sul tema ha detto: “La Legge Zan dice espressamente che conta “la percezione di sé” a prescindere dal sesso biologico. Ecco, io vorrei ancora appartenere al mio sesso biologico e non vorrei che una legge entrasse nel mio intimo, nell’intimo delle persone, e vorrei anche capire perché dobbiamo porre sempre l’accento sulle discriminazioni. Più si pone l’accento sull’orientamento sessuale e più si creano le discriminazioni. Un fatto su cui io voglio porre l’accento è che un uomo non è una donna e non lo sarà mai. Non lo sarà mai anche se si sente donna”.

Queste parole mi hanno dato lo spunto per una riflessione. Cosa potrebbe accadere se in Italia un uomo domani mattina si alzasse autopercependosi donna e una settimana dopo si risvegliasse con la percezione che il sesso biologico con il quale è nato gli corrisponde nuovamente? Capiamo bene che questa fluidità di genere può solo creare problemi nella vita di ogni giorno.

Mi spiego meglio. Mario (nome simbolico) lunedì mattina si sveglia e si autopercepisce donna. Va al lavoro e si pone il primo problema: deve usare lo spogliatoio maschile o quello femminile? Secondo problema: deve accedere alle mansioni maschili o a quelle femminili? In alcuni contratti di lavoro, infatti, le donne hanno una riduzione dei carichi di lavoro dovuti alla loro condizione muscolo-scheletrica. Bene. Il lunedì seguente Mario si sveglia e percepisce che il suo sesso biologico gli corrisponde nuovamente. Va al lavoro e di nuovo deve traslocare l’armadietto nello spogliatoio maschile, tornare ad esercitare le mansioni maschili, ecc… Proviamo a pensare se in un’azienda ci fossero una dozzina di dipendenti come Mario. L’imprenditore non avrebbe altro da fare che seguire ed assecondare la sua autopercezione di genere per non incorrere in querele e lungaggini processuali senza fine. Capiamo bene che tutto ciò è semplicemente folle!

La senatrice Paola Binetti, laureata in medicina e chirurgia, specializzata in pedagogia medica, psicologia e psichiatria, neuropsichiatria infantile e in psicologia clinica, intervistata dal “Quotidiano Nazionale” ha dichiarato: “Il concetto di identità di genere è un concetto tutto da definire, il mondo scientifico se io pongo la domanda sull'identità di genere, non sa cosa dirmi. Mentre l’oggettività è un fatto facilmente riscontrabile da più persone, la soggettività del sentirsi appartiene tanto all'intimità di una persona che non può essere definita da un articolo di legge. Cosa voglio dire con questo? Che non è importante come io mi sento, perché comunque violenza non te la posso fare. [Nel presentare la legge] abbiamo fatto un esempio, quello dei bambini che per un processo di assimilazione si sentono simili al loro cucciolo. Non è che se ti senti un cucciolo allora fa differenza fra la violenza a un bambino e la violenza a un animale. Sappiamo benissimo che non esiste differenza, non si può fare violenza a un animale, per nessun motivo”.

Chi compie il processo di transizione per passare dal genere maschile a quello femminile (e viceversa) viene seguito da psicologi e psichiatri quindi l’opinione della dottoressa Binetti è più che autorevole su questa materia visto che possiede entrambe le specializzazioni e le insegna in ambito accademico.

Ora, perché la sinistra italiana e i sostenitori del Ddl Zan non accettano di rimuovere dall’articolo numero 1 della legge la terminologia “identità di genere”?

In fondo – e lo sanno bene – ciò che tiene fermo il testo di legge in Commissione Giustizia del Senato è proprio il fatto che l'identità di genere serve a discriminare ed esporre a querela chi – non in linea con l'ideologia gender – rifiuta di definire donna chi biologicamente donna non è o uomo chi biologicamente uomo non è.

A decidere chi fra i contendenti è nel giusto è il giudice che – con tutta questa discrezionalità – rischia di favorire la fazione di quanti in virtù dell’autopercezione del gender si sentono intoccabili. Ecco perché in molti dibattiti si parla di dittatura gender.

Nella speranza di aver risposto a quanti mi chiedevano un’opinione in merito, concludo sperando che si arrivi presto ad una modifica dell’articolo 1 del DdL Zan e che la sinistra abbandoni la questione ideologica abbracciando quella sociale.

Andrea Elia Rovera

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Articolo pubblicato il 05/06/2021