Intervista alla Dott.ssa Maria Elena Rovere

Scopriamo insieme chi è la Dottoressa Rovere, candidata con la Lega alle Elezioni comunali più incerte della storia di Torino

 

 

Maria Elena Rovere, 55 anni, medico. Origini vercellesi, vive da molti anni a Torino. È candidata nelle liste della Lega al Consiglio Comunale di Torino. « Sono una mamma e un medico cardiologo», dice di sé. «Per anni ho lavorato all'ospedale Mauriziano. Attualmente sono primario di cardiologia a Novi Ligure e Tortona. Nella vita ho scelto di fare il medico perché considero un privilegio svolgere una professione di servizio».

 

 

Dottoressa Rovere, cosa l'ha spinta a candidarsi come consigliera per il Comune di Torino?

 

«È una decisione maturata dall'esperienza di decenni di attività ospedaliera. L'organizzazione della Sanità spetta alla Regione, ma le persone vivono nelle città. Spetta perciò al Comunersi di tutte quelle persone fragili che occupa specie di assistenza e di cure, dopo la dimissione da un ricovero. Ho scelto così di mettere a disposizione della mia città la mia competenza professionale e la conoscenza dei meccanismi che guidano il mondo della salute proprio per poter fare da collegamento fra il cittadino e la sanità regionale, per rendere la salute più vicina al cittadino».

 

 

La sanità in un'area metropolitana come Torino ha fama di grande qualità e vanta molte punte di eccellenza. Cosa manca?

 

«Rispetto a una realtà di provincia, nelle grandi città come Torino, trovo che manchi coordinamento e dialogo fra le diverse figure del mondo sanitario. Nel nostro Comune occorre creare quasi da zero una rete territoriale che coinvolga e organizzi le diverse figure: medici di famiglia, ospedali, cure domiciliari, strutture per la continuità assistenziale ei servizi sociali. Se un solo anello della catena salta, tutto rischia di essere compromesso. Come da anni purtroppo accade. Questo è uno dei motivi per cui durante la pandemia Torino è stata fra le città più colpite».

 

 

Su quale fronte, secondo Lei, si può intervenire con maggiore efficacia per rendere concretamente possibile questa riorganizzazione della sanità?

 

«Sicuramente sul versante della rivoluzione digitale. La progressiva digitalizzazione e la possibilità di dotare i pazienti di dispositivi portatili e indossabili, in grado di trasmettere dati clinici in tempo reale, sono le basi sulle quali progettare nuovi modelli per soddisfare da remoto, in tempo reale e in modo integrato una parte rilevante dei bisogni di salute».

 

Non è un po’ troppo fantascientifico, per la realtà quotidiana in cui viviamo?

 

«No. È un passo assolutamente realizzabile e non più rinviabile. Attualmente esistono tutte le condizioni per la compiuta realizzazione di un sistema che consenta al cittadino di essere preso in carico dalla nascita al fine vita, e nel quale ridefinire i percorsi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Il cosiddetto “fascicolo sanitario elettronico”, ad esempio, è un principio di partenza da implementare per arrivare a una ”Integrated Health Card”».

 

 

Di cosa si tratta, precisamente?

 

«È una card elettronica che contiene la storia clinica completa del paziente: dati anamnestici, accessi ambulatoriali e ospedalieri, piani di cura. È indispensabile che gli attori del Sistema Sanitario Nazionale abilitati possano inserire e consultare i dati in essa inseriti attraverso una rete informatica condivisa fra i vari livelli che abbiamo citato prima: medici di famiglia, strutture ambulatoriali territoriali, strutture ospedaliere, Rsa».

 

 

Come mai, fra tutti i movimenti in campo, ha scelto di candidarsi nelle liste della Lega di Salvini?

 

»Personalmente non sono mai stata iscritta ad alcun partito. Vengo da una famiglia cattolica, sono sempre stata di area di centro-destra, ma senza avere essere politiche. Da diverso tempo maturavo la scelta di potermi mettere in gioco. Ultimamente mi sono sentita attratta nel vedere la Lega avvicinarsi sempre più a un’ipotesi di un nuovo partito di centro, con una rinnovata visione moderata, centrista ed europeista: valori nei quali ho sempre creduto».

 

 

Cosa pensa di Paolo Damilano e perché lo sostiene come candidato Sindaco?

 

«Ritengo sia una persona competente e capace. Sono convinta che insieme si possa fare un ottimo lavoro. Entrambi non veniamo dalla politica di partito, ma abbiamo a cuore un progetto di sviluppo comune. Sogniamo che Torino possa tornare ad essere una grande città europea, che rispetta il proprio passato e abbia fiducia nel proprio futuro».

 

 

Come si immagina appunto il futuro per Torino?

 

«Io credo che lo sviluppo cittadino non possa che ripartire dalle sue enormi eccellenze e potenzialità. Il Politecnico e le altre eccellenze universitarie costituiscono per me il centro da cui far rinascere Torino. Non riuscirei ad immaginarmi luogo migliore dove individuare risorse per rilanciare la nostra città. Sogno una città costituita non da un centro e tante periferie ma dall’aggregazione di molti quartieri vivi».

 

 

Che cosa intende per “città costituita da quartieri vivi”?

 

«Con la pandemia i torinesi hanno ricominciato a vivere i propri quartieri. Hanno iniziato a desiderare di voler vivere in una città realmente policentrica e diffusa. Molte città del Nord Europa si caratterizzano per essere appunto metropoli incentrate su uno sviluppo equilibrato e policentrico, dove ogni cittadino possa raggiungere dalla propria abitazione, in pochi minuti, i servizi di base, le attività commerciali, le strutture per le attività sportive, ricreative e culturali».

 

 

Sembra un programma molto ambizioso. Come pensa si possa realizzare?

 

«Puntando su un nuovo tipo di mobilità e di inclusione. La salute dei cittadini passa anche attraverso la possibilità di muoversi rapidamente e in sicurezza. Io mi impegnerò personalmente per far sviluppare nuove infrastrutture che diano lavoro e per creare un sistema di trasporti a basso impatto ambientale, integrati con mezzi di micro-mobilità individuale».

 

 

Non vorrà mica proporci nuove piste ciclabili e monopattini che invadono le corsie?

 

«Assolutamente no! Ritengo il sistema della precedente amministrazione un modello di sviluppo disordinato e fallimentare. Il mio modello si incentra su un’azione quotidiana che includa competenze, lavoro e solide infrastrutture. Io credo in una città pienamente democratica e realmente ecosostenibile, capace di azzerare le barriere architettoniche e sensoriali, di ascoltare e di rispondere alle necessità delle diverse istanze del territorio. La nostra città ha ancora tanti spazi culturali in attesa di recupero. Per rivalorizzare questi luoghi non si può prescindere dal trasporto e dal collegamento fra di essi. Solo così potremo far ritornare nuovi eventi in città, con enormi ricadute positive in termini economici, occupazionali e sul turismo».

 

 

Uno dei problemi più sentiti per la riqualificazione dei quartieri è la sicurezza. Che cosa intende fare al riguardo?

 

«La posizione storica dei partiti di centro-destra sul tema è fondata sul rafforzare la presenza di Forze dell’Ordine nelle zone più disagiate della Città per accrescere la percezione di legalità e presidio del territorio. Tuttavia penso che non sia l’unica soluzione al problema. Personalmente credo che, oltre all’azione diretta e sacrosanta delle forze di Polizia, serva anche un piano di sviluppo dei quartieri periferici che includa azioni atte ad una rigenerazione urbana inclusiva»..

 

 

Che cosa intende?

 

«Una riqualificazione che comprenda nuove aree a misura d’uomo, attività di scolarizzazione, sportive e culturali trasversali per le varie fasce di età.  La rigenerazione delle periferie passa anche attraverso la crescita personale e la possibilità di avere progettualità degli abitanti».

 

 

 

Questo si inserisce quindi nella sua proposta di creare una città policentrica?

«Assolutamente sì».

 

 

Ormai tutti i partiti – da sinistra a destra – convergono sulla necessità di arrivare a una transizione ecologica e a un’economia che sia “green” senza portare alla decrescita ma a un modello innovativo di sviluppo. Come intende declinare questo concetto per Torino?

 

«Credo fermamente che Torino possa diventare una delle capitali europee della sostenibilità ambientale. Anche in Italia, le città oggi sono i motori trainanti per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Torino possiede un settore universitario all'avanguardia, capacità imprenditoriali e l'entusiasmo necessari per questa nuova sfida, in grado di generare nuovi posti di lavoro grazie al settore in espansione dell'economia sostenibile».

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Articolo pubblicato il 24/09/2021