Torino. Musica per Flauto e Arpa tra XVIII E XIX secolo
Nicolò Capone e Linda Veo

Domenica 7 novembre la Stefano Tempia propone a Palazzo Carignano un raffinato programma cameristico eseguito dai giovanissimi Nicolò Capone e Linda Veo.

La stagione concertistica dell’Accademia Corale “Stefano Tempia” prosegue il suo ciclo domenica 7 novembre alle 16 in una sede d’elezione come Palazzo Carignano (ingresso euro 5 più biglietto del museo di 5 euro), con un raffinato programma per flauto e arpa, che vedrà protagonisti i giovanissimi Nicolò Capone e Linda Veo.

 

L’arpa vanta una storia lunga e molto affascinante, che affonda le sue radici nella più remota antichità, come rivelano alcuni vividi rilievi sumeri ed egizi e il ritrovamento di due strumenti a 13 corde nella tomba del faraone Ramsete III (1218-1155 a.C.). Qualche secolo più tardi, l’arpa divenne uno dei simboli più emblematici della civiltà ebraica, un fatto che trova conferma nelle numerose citazioni contenute nella Bibbia – in particolare nel libro dei Salmi, dove viene spesso associata alla figura del re David – e nei celebri versi «arpa d’or de’ fatidici vati / perché muta dal salice pendi?» contenuti nel coro Va’ pensiero del Nabucco verdiano.

 

Dopo un periodo di oblio, dovuto in gran parte al fatto che gli antichi greci e romani le anteposero la lira e la cetra, l’arpa ricomparve nelle tradizioni popolari di parecchi paesi dell’Europa settentrionale (prima tra tutti l’Irlanda, di cui è tuttora un emblema molto amato), per poi riprendere un ruolo di primo piano in ambito colto, venendo inclusa in veste solistica nell’Orfeo di Claudio Monteverdi ed entrando spesso a far parte delle compagini del basso continuo, soprattutto in area romana.

 

Nei primi anni del XVIII secolo una serie di miglioramenti – tra cui l’inserimento dei pedali – garantì all’arpa maggiori risorse tecniche ed espressive, che nel giro di qualche decennio le spalancarono prospettive molto promettenti.

 

In particolare, lo strumento riuscì a conquistarsi gradualmente un posto di spicco nei raffinati salotti della nobiltà e della borghesia più agiata e – soprattutto – un repertorio solistico, che poté contare sull’apporto di compositori di primo piano, tra cui Jan K?titel Krumpholtz (1747-1790) e Jan Ladislav Dussek (1760-1812), che portò all’altare ben due celebri virtuose d’arpa, per le quali scrisse una serie di opere di grande bellezza. In ogni caso, la maggiore fortuna salottiera dell’arpa giunse dalle numerose trascrizioni di celebri opere, che la videro spesso affiancata da altri strumenti, come il violino e il flauto.

 

Il programma di questo concerto delinea una brillante panoramica delle opere che venivano eseguite nei salotti dall’arpa e dal flauto traverso – strumento che tra il XVII e il XIX conobbe una radicale evoluzione tecnica, fino a giungere allo strumento concepito da Theobald Boehm, dal quale è disceso il flauto moderno – spaziando tra i capolavori del passato e gli autori allora in attività.

 

Tra i primi si segnalarono Johann Sebastian Bach e suo figlio Carl Philipp Emanuel, più il secondo che il primo per la verità, visto che il sommo Cantor lipsiense cadde in un lungo oblio subito dopo la sua morte, dal quale venne strappato nella prima metà del XIX secolo dal prepotente ritorno di fiamma originato dalla storica esecuzione della Passione secondo Matteo diretta l’11 marzo del 1829 da Felix Mendelssohn.

 

Carl Philipp Emanuel godette invece di una duratura notorietà, grazie alla sua spiccata personalità, che gli permise di concepire l’Empfindsamer Stil (stile sensibile), che avrebbe influenzato potentemente lo Sturm und Drang e il Primo Romanticismo. La differenza tra padre e figlio si avverte in maniera molto nitida nelle due sonate in programma, tanto introversa e proiettata verso il futuro quella di Carl Philipp Emanuel quanto ancora legata a stilemi barocchi la Sonata BWV 1033 di Johann Sebastian, la cui paternità è stata peraltro messa in dubbio da diversi musicologi.

 

Sebbene oggi sia conosciuto soprattutto per la sua produzione operistica, Gaetano Donizetti si dedicò con profitto anche al repertorio cameristico, scrivendo opere di notevole valore, tra le quali spiccano i 17 quartetti per archi. Composte con ogni probabilità da un Donizetti poco più che ventenne, le due brevi sonate per flauto e arpa presentano una scrittura dai toni chiaramente lirici, come si può notare nella cantabilità distesa e struggente del Larghetto della Sonata in sol minore.

 

Per finire, l’abbinamento flauto-arpa non può prescindere dal celebre Concerto K. 299 di Mozart, opera che il grande Salisburghese scrisse a Parigi per il duca Adrien-Louis de Bounières, flautista dilettante di buon talento, e per sua figlia maggiore Marie-Louise-Philippine. Per quanto sia privo di una scrittura virtuosistica, questo concerto ottenne un grande successo e può essere apprezzato anche con le sole parti dei solisti, che nell’Andantino intrecciano un dialogo di ammaliante bellezza.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 06/11/2021