Torino. Un capolavoro del giovane Vivaldi alla Tempia - Violino e Basso continuo
Rossella Croce

Domenica 5 dicembre alle ore 16, a Palazzo Barolo, via delle Orfane, 7, la stagione della “Stefano Tempia” presenta una vera chicca per gli appassionati del repertorio barocco meno noto, ossia sei delle dodici Sonate a violino e basso continuo op. 2 di Antonio Vivaldi, nell’interpretazione di Rossella Croce – violinista che chi segue i concerti dell’associazione corale torinese ha ascoltato di recente con l’Ensemble À L’Antica in un raffinato programma mozartiano – per l’occasione accompagnata da Guido Morini, cembalista e fondatore del celebre ensemble Accordone, e dalla violoncellista australiana Catherine Jones.

 

Verso la fine del 1708 l’editore veneziano Antonio Bortoli pubblicò un catalogo delle opere di imminente uscita, che comprendeva tra le altre cose le «Sonate a Violino e Violoncello del Sig. D. Antonio Vivaldi Opera Seconda». La precisazione del violoncello faceva pensare a una serie di opere per due strumenti senza basso continuo, un genere ancora poco usuale per quell’epoca, ma che poteva contare su alcuni apprezzabili precedenti come le Sonate op. 4 di Giuseppe Torelli, date alle stampe nel 1688.

 

Contrariamente a quanto annunciato, l’anno successivo Bortoli pubblicò le «Sonate a violino e basso per il cembalo» con due rilevanti sorprese: la prima rappresentata dalla mancanza dell’indicazione del numero d’opus (che sarebbe comparso nelle edizioni successive) e la seconda – molto più importante – costituita dalla scelta di abbandonare l’organico previsto in un primo tempo a favore dell’ampiamente collaudata forma della sonata solistica con basso continuo.

 

Nonostante gli sforzi compiuti dai musicologi, non è stato finora possibile stabilire con certezza le ragioni di quest’ultima decisione di Vivaldi, presa con ogni probabilità all’ultimo momento. Secondo alcuni studiosi, il compositore avrebbe preferito evitare i rischi legati a un genere ancora poco affermato tra i numerosi dilettanti che acquistavano le edizioni musicali, mentre altri hanno avanzato l’ipotesi che il Prete Rosso abbia voluto compiacere i gusti del dedicatario dell’opera, il re di Danimarca e Norvegia Federico IV, che il 29 dicembre del 1708 era arrivato a Venezia per immergersi nell’inebriante atmosfera del carnevale.

 

Sebbene oggi venga eseguita relativamente di rado, questa raccolta ottenne un grande successo, sicuramente superiore rispetto a quello con cui erano state accolte le Triosonate op. 1, come si può notare dalla pubblicazione tre anni più tardi di un’edizione molto elegante da parte dell’editore di Amsterdam Estienne Roger e dalla successiva uscita a Londra di una copia non autorizzata dall’autore del londinese John Walsh.

Sotto il profilo stilistico, queste opere presentano un’evidente affinità con le ultime sei Sonate op. 5 di Arcangelo Corelli, pubblicate a Roma nel 1700, che comunque Vivaldi reinterpretò con notevole personalità.

 

In particolare, la struttura di queste opere segue il modello della sonata da camera portata a vertiginosi livelli di perfezione dal compositore di Fusignano, con un preludio seguito da due o tre danze stilizzate come l’allemanda, la sarabanda, la corrente, la gavotta e la giga, che vengono comunque reinterpretate con un maggior grado di libertà sotto il profilo dei tempi, del ritmo e della melodia.

 

Tuttavia, rispetto al modello corelliano, Vivaldi non adottò una sequenza fissa per le danze, come si può notare soprattutto nel caso della giga, danza in tempo ternario dal carattere vivace, che veniva abitualmente utilizzata come brillante conclusione delle suite e che il compositore veneziano collocò subito dopo il Preludio nelle Sonate I e VIII e in terza posizione nella Sonata IX, tre opere che si chiudono tutte con una Corrente, altra danza veloce in tempo ternario erede diretta dell’antica Gagliarda.

 

In alcuni casi (Sonate II, III, IV e XII) le danze vengono sostituite da movimenti dal carattere astratto (una scelta che comunque non va in alcun modo vista come un avvicinamento al modello alternativo della sonata da chiesa), con i quali Vivaldi consente al violino di sfoggiare di volta in volta uno sbrigliato virtuosismo o una delicata vena elegiaca, garantendo in questo modo un ascolto tanto gradevole quanto variegato.

 

Tra i tempi dal carattere più brillante si segnalano in particolare i Capricci (Sonate IX e XII) e la Fantasia (Sonata XI), pagine irte di difficoltà tecniche e intrise di un fiero spirito virtuosistico, che probabilmente Vivaldi scrisse pensando soprattutto a se stesso.

 

Per finire, non si può non rilevare il ruolo molto importante che viene riservato agli strumenti del basso continuo, che in alcuni casi vengono chiamati a eseguire passaggi assai elaborati (è questo il caso – per esempio – del Preludio a capriccio della Sonata II) e più spesso si trovano a spartire la linea melodica con il violino o addirittura a fargli da controcanto, una scelta che a tratti conferisce a queste opere i connotati della sonata a tre e mette in luce la spiccata originalità di un compositore che appena due anni più tardi si sarebbe affermato a livello europeo con i dodici concerti dell’Estro armonico.

 

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Articolo pubblicato il 02/12/2021