Mass media e caduta del governo Draghi: riflessioni sul rapporto tra comunicazione e italiani.

A fronte della costante osannazione da parte di bel numero di quotidiani, il SuperMario nazionale – dipinto quale “uomo della provvidenza” – non sembra godere di tutta quella stima come ci vogliono far credere.

Dalla nascita della repubblica l’Italia ha visto susseguirsi 67 governi: corrispondenti a una media di un anno e due mesi cadauno. Neppure l’esecutivo guidato da Mario Draghi, pur sostenuto da una larghissima maggioranza, ha fatto eccezione: nato nel febbraio 2021 è durato un anno e cinque mesi.

Eppure, durante i giorni della crisi che ha portato alle dimissioni di Draghi, i giornali (perlomeno quelli a maggiore diffusione nazionale, specie Il Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 Ore e La Stampa) hanno veicolato l’opinione che, senza Draghi, l’Italia sarebbe stata un paese finito, incapace di affrontare i propri problemi.

Parallelamente, i “giornaloni” italiani hanno trasmesso l’idea di un Draghi quale “uomo della provvidenza”, ovvero di colui che – solo – avrebbe potuto condurre le sorti del nostro “povero paese” (povero sul serio vista l’impennata del numero delle famiglie in povertà assoluta e relativa certificata dall’ISTAT a seguito della pandemia e della galoppante inflazione che sta erodendo il nostro tenore di vita).

Viceversa, coloro che si sono opposti alla prosecuzione dell’esecutivo Draghi sono stati qualificati con toni spezzanti e denigratori, di chi non sa quello che si fa e dice: un’armata brancaleone di cui sarebbe (evidentemente) meglio non fidarsi.

Insomma, non si è verificato quel racconto oggettivo e imparziale che si sarebbe aspettati da “mezzi d’informazione” che mirino a essere tali, dove la parola “informazione” – da dizionario Treccani – corrisponde a “notizia, dato o elemento che consente [al lettore] di avere conoscenza più o meno esatta di fatti, situazioni, modi di essere”. È andato invece in scena il contrario: il “giusto” è stato contrapposto all’ingiusto, il “bene” al male, quello che si riteneva “onorevole” al disdicevole.

Come se non bastasse, è stata propagandata l’idea che, recarsi alle urne, peraltro con qualche mese d’anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura, rappresentasse sventura foriera di chissà quali disastri, quando il passaggio elettorale, in un paese che si dica democratico, rappresenta l’espressione massima della sovranità popolare. Inoltre, stabilito già a fine settembre il giorno in cui ci recheremo alle urne, il rinnovo del Parlamento non precluderà né l’approvazione della legge di bilancio né di beneficiare dei fondi riconducibili al PNRR.

Vero è che, negli ultimi anni, sia andato spesso di moda scegliere Presidenti del Consiglio non espressione della volontà popolare: da Giuliano Amato (1992-1993) a Carlo Azeglio Ciampi (1993-1994), da Lamberto Dini (1995-1996) a Mario Monti (2011-2013), da Giuseppe Conte (2018-2021) a Mario Draghi. Ma ciò che preoccupa di più non è neppure (e tanto) questo in un paese che ha deciso di non eleggere né il Presidente della Repubblica né il capo del governo. Quello che non torna è il perdurante e fastidioso ossequio che i “giornaloni” hanno dimostrato nei confronti di “capi tecnici” – evidentemente a loro graditi –, da Monti a Draghi, che hanno presentato alla stregua di “salvatori della patria”, di “miti”, di “viceré”, senza i quali il paese non saprebbe cavarsela.

Sia chiaro: che i mass media influenzino l’opinione pubblica è fatto notorio. È sempre stato così e sempre sarà. Tuttavia, già durante la pandemia e, dopodiché con la guerra russo-ucrania, qualcosa nel rapporto tra italiani e media si è rotto. Da quanto si apprende dal sito di ADS (Accertamenti Diffusione Stampa), che si occupa di certificare i numeri di vendita dei quotidiani, si apprende che, nel maggio 2022, il Corriere della Sera abbia avuto una tiratura di 145.550 copie, a fronte di 151.000 registrate nel dicembre 2021.

Dal suo canto, La Repubblica, nel maggio 2022, vendeva 81.750 copie al giorno, quando nel dicembre 2021 erano 98.700, mentre Il Sole 24 Ore – il terzo quotidiano più letto d’Italia – è crollato dalle 78.680 copie del dicembre 2021 alle 24.520 del maggio 2022. Se poi si prende in considerazione l’anno 2013, il tracollo è addirittura impietoso: Il Corriere della Sera si attestava a 464.000 copie al giorno, La Repubblica a 382.000, Il Sole 24 Ore a oltre 325.000: praticamente 11 volte i lettori che adesso decidono di scegliere questo giornale.

Da ciò si potrebbe concludere – e ciò purtroppo è vero – che gli italiani leggano poco, ma è altresì probabile che, una parte importante di persone non si riconosca più in quel tipo d’informazione e vada alla ricerca di fonti alternative, rappresentate dai social o da canali televisivi quali ByoBlu. Ciò è successo in maniera evidente a partire dal periodo pandemico, per poi proseguire durante l’attuale conflitto russo-ucraino.

E il trend non pare differente neppure per quel che concerne le simpatie nei confronti di Draghi. A fronte della costante osannazione da parte di un bel numero di quotidiani, il SuperMario nazionale – dipinto quale “uomo della provvidenza” dalle doti demiurgiche – non sembra godere di tutta quella stima come ci vogliono far credere. Infatti, i più recenti sondaggi dimostrano che il centro-destra (che, nella sua componente di Fratelli d’Italia, non ha appoggiato Draghi) sia al 47% dei voti, di contro a neppure un 30% del centro-sinistra, dove Enrico Letta, Luigi Di Maio e Matteo Renzi sono stati i più convinti e pedissequi sostenitori di Draghi, tanto da voler far propria, in termini di programma elettorale, la c.d. “agenda Draghi”.

Si ha dunque l’impressione che esista una discrasia tra quello che è il sentire di una significativa parte del paese e ciò che si legge dalle pagine di taluni giornali. Naturalmente c’è anche chi a quella narrativa aderisce parola per parola. Ci mancherebbe: ogni posizione è assolutamente rispettabile e legittima.

Il fatto è che “opinione” è termine diverso nel significato da quello di “informazione” e che sarebbe intellettualmente più onesto riferirsi ai nostri giornali (e mass media in generale) alla stregua di “mezzi di opinione”, ovvero di una tra le diverse visioni della vita che si possono avere. Il distinguere ciò che sia “oggettivo” da quello che risulti “soggettivo” – si creda – non è questione di poco conto, soprattutto in una società, come la nostra, in cui la comunicazione, se non è tutto, poco ci manca.

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Articolo pubblicato il 26/07/2022