La morte di Berlusconi e la fine della “Seconda Repubblica”.

Commento alla storia politica italiana dal 1994 al 2013.

Da un punto di vista politico, con la morte di Berlusconi, si chiude un ciclo storico: quello rappresentato dalla c.d. “Seconda Repubblica”.

Infatti, gli uomini politici che maggiormente caratterizzarono quell’epoca – ovvero Prodi per il centro-sinistra e Fini, Bossi e Berlusconi per il centro-destra – sono oramai, per il vero da alcuni anni (tranne proprio lo stesso Berlusconi che, unico, resisteva), politicamente inesistenti, o marginali.

Prodi non rientra neppure tra quelli che dovrebbero essere i “padri nobili” del centro-sinistra. Fini, dopo aver abbandonato il Popolo delle Libertà e fondato il partito “Futuro e Libertà per l'Italia” – che ebbe risultati elettorali pressoché nulli –, dal marzo 2013 non siede più in Parlamento. Bossi, a tutt’oggi onorevole, è stato sostituito da Salvini, il quale ha radicalmente mutato la linea strategica della Lega, spostando l’attenzione dalla tematica federalista a quella nazionale e di difesa dall’immigrazione.

Come si è detto, Berlusconi, pur acciaccato da criticità di salute e con una “Forza Italia” ridimensionata rispetto agli anni dell’apice, rimaneva l’ultimo di quei protagonisti sulla scena politica reale. Se dunque viene generalmente ritenuto che la “Seconda Repubblica” (la cui nascita coincide con la creazione di “Forza Italia” e le elezioni del 1994) abbia avuto termine con le consultazioni svoltesi nel 2013, da un punto di vista percettivo, la fine della “Seconda Repubblica” può venir collegata al decesso di Berlusconi.

Individuato il lasso temporale di inizio e di fine della “Seconda Repubblica” (quest’ultimo coincidente con il successo del “Movimento 5 Stelle” che portò il sistema politico a diventare “tripolare”), appare interessante individuare i tratti distintivi della “Seconda Repubblica”.

Un primo elemento è già stato menzionato: il bipolarismo. Nei quasi cinquant’anni della “Prima Repubblica”, per motivi preminentemente ideologici e geopolitici, il PCI non andò mai al governo. All’opposto, nella “Seconda Repubblica”, alla guida del Paese, si alternarono il “centro-destra” e il “centro-sinistra”.

Ulteriore elemento caratterizzante fu la “fine delle ideologie” (seguita alla caduta del muro di Berlino) e la nascita di “partiti personali”, incentrati intorno alla figura dei rispettivi leader: ciò, proprio a partire da “Forza Italia” di Berlusconi.

Terzo aspetto del periodo 1994-2013 fu l’indubbio impatto economico e politico seguito a una sempre più pervasiva globalizzazione, tra cui un ruolo fondamentale ebbe a giocare il processo di delocalizzazione produttivo e – dall’autunno 2008 – la crisi finanziaria internazionale seguita al fallimento della banca americana Lehman Brothers.

Si trattò di un contesto a cui i governi italiani, di “centro-destra” e “centro-sinistra”, pur con alcune differenziazioni, risposero con un mix di decisioni che andarono dall’implementazione della pressione fiscale a forti tagli alla spesa pubblica, da una progressiva precarizzazione di parte del mondo del lavoro a una significativa diminuzione del “welfare state”.

Quarto punto è certamente individuabile nel rapporto di tensione che, in quegli anni, vide spesso contrapposta la magistratura alla politica (e viceversa). Pur imprescindibile il principio che “tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge” – inclusi i politici – e che, in presenza di un reato, la magistratura debba procedere con indagini e, una volta provato il fatto, alle conseguenti condanne, è altrettanto vero che un’eccessiva conflittualità tra poteri dello Stato, a lungo andare, possa mostrare criticità.

Quinto elemento è dato dalla un’incrementata laicità della vita politica italiana rispetto a quanto avvenuto durante gli anni della “Prima repubblica”, viceversa ancorata a un partito di orientamento cattolico, quale era la Democrazia Cristiana.

Ulteriore fattore caratterizzante è ravvisabile nelle differenti modalità di comunicazione politica che imperniarono la “Seconda Repubblica”, rispetto alla “Prima Repubblica” e alla “Terza”, quest’ultima incentrata sul ruolo del web e dei social.

Infatti, mentre fare politica durante la “Prima Repubblica” significava dire organizzare comizi e feste di partito, volantinaggi e discussioni nelle sezioni e nei congressi, accaparrarsi le simpatie dei giornali e delle radio locali o della stampa nazionale, la comunicazione politica della “Seconda Repubblica”, in ultima analisi, è sostanzialmente televisiva.

Come notato da diversi studiosi, a diventare ripetutamente Presidente del Consiglio dei ministri, fu – non casualmente – il padrone del più grande gruppo televisivo privato. Ma non è soltanto una questione di proprietà: è qualcosa di più profondo. È un “cambiamento antropologico”, per dirla con Pasolini. A coglierlo è soprattutto Giovanni Sartori, in un libro – poi diventato un classico – dal titolo “Homo videns. Televisione e post-pensiero”, apparso nel 1997.

In realtà a mutare non fu soltanto il “luogo della comunicazione” (ad esempio, dalle piazze ai salotti televisivi), ma anche i “tempi della comunicazione”, necessariamente molto più brevi e, dunque, maggiormente incentrati su slogan o, comunque, su frasi e argomenti capaci di far immediata presa. Anche il linguaggio dovette necessariamente mutare e, a comprenderlo, forse più di tutti, fu proprio Berlusconi che ricorse a una dialettica semplice, facente largo uso ad un lessico calcistico.

Volendo giungere alla conclusione, gli anni dal 1994 al 2013 rappresentano oggi un mondo che, in larga misura, è cambiato negli attori politici e che il decesso di Berlusconi – che di quell’epoca fu indubbio rappresentante – va definitivamente a chiudere. Difficile dire se sia un periodo storico e politico da rimpiangere. Al lettore lascio la risposta. So solo che quelli che sono venuti dopo non mi pare abbiano fatto tanto meglio.

 

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Articolo pubblicato il 15/06/2023